Il 30 luglio 2004 i Têtes de Bois presentano il loro nuovo lavoro intitolato Pace e male. Visto il successo ottenuto con l’album Ferré, l’amore e la rivolta potevano vivacchiare di rendita sfruttando ancora per un po’ il “giocattolo” Ferré attingendo alla corposa produzione del cantautore francese, ma il gruppo non è fatto così. Il suo volo non è quello degli uccelli rapaci che girano in tondo attorno alla preda. Non ci sono prede, ma passioni, nel cuore di questa band che da tempo viaggia lungo le imperscrutabili rotte degli stormi migranti. «Ferré ce l’abbiamo sempre vicino, è nel nostro cuore e nella nostra musica – ci dice Andrea Satta, la voce del gruppo non solo sul palco – viaggia con noi sulle nuove strade. È un amico vivo, un compagno d’avventure, e gli amici e i compagni non si mummificano nel ricordo». E così dopo due anni ci regalano Pace e male, un doppio album che ha il sapore della strada, degli spazi liberi, il gusto del confronto e della contaminazione unito alla leggerezza del pensiero aperto. «In questa avventura abbiamo imbarcato un sacco di amici, ciascuno dei quali ha regalato un pezzo di sé». Sono davvero tanti e diversi gli apporti in voci, idee e suoni, un lungo elenco che comprende musicisti come Daniele Silvestri, Mauro Pagani, Ugolino e Antonello Salis, attori come Paolo Rossi e Marco Paolini, giornalisti ad assetto variabile come Gianni Mura e un ex ciclista, Davide Cassani. Come sempre il lavoro dei Têtes de Bois fa impazzire gli ostinati amanti delle classificazioni rigide. C’è di tutto, rock, classica, teatro, strada, un caleidoscopio musicale in cui tutto si mescola senza violenza per generare nuovi e differenti colori. È musica colta che parla della realtà quotidiana, la racconta attraverso piccole storie che in cui vive la forza dei grandi temi, dal lavoro (Buongiorno Arturo) alla guerra, all’imperialismo (Abbasso Nixon), alla critica sociale. A ben vedere è proprio questa capacità di raccontare la realtà minuta attraverso il linguaggio poetico l’eredità vera di Ferré, un modo di farlo rivivere rifuggendo dagli scimmiottamenti delle cover. È anche un modo di legare il presente con il passato senza trasformare quest’ultimo in un album di fotografie, perché, come ricorda Andrea Satta, la memoria è un elemento strategico nella battaglia per cambiare lo stato delle cose possibili: «La memoria è l’elemento che può fare la differenza in un mondo in cui il video, i sistemi di comunicazione e di persuasione di massa tendono a cancellare la capacità di discernere e di pensare. Anche l’indignazione è pilotata. Spesso mi sorprendo a pensare che quando non ci sarà più mio padre che è stato in campo di concentramento anche il nazismo diventerà una figurina innocua. Mi fa paura un mondo in cui i mass media controllano anche la nostra capacità critica, scegliendo i temi sui quali scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica. Il nostro lavoro sulle storie, sulle piccole vicende quotidiane è un modo di recuperare la memoria guardando avanti, di uscire dal sapere enciclopedico, la vera tragedia della cultura di questo tempo che riduce a sintesi e cancella la molteplicità». Chissà, forse è per questo che l’album è doppio, per non cadere nella trappola della sintesi forzata…
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