22 febbraio, 2019

22 febbraio 1968 – I Genesis, cinque diciottenni di belle speranze


Sono tutti studenti diciottenni i cinque componenti dei Genesis, un gruppo sconosciuto che il 22 febbraio 1968 pubblica per la prestigiosa Decca Records il suo primo singolo: un morbido brano acustico intitolato The silent sun. Il prodotto non sembra di quelli destinati a restare nella storia del rock e negli uffici della casa discografica inglese c’è chi storce il naso: «Dilettanti senza futuro. Ma chi li ha trovati?» La scoperta del gruppo, avvenuta quasi per caso, si deve a Jonathan King, uno degli uomini del reparto artistico della Decca. La storia inizia, infatti, qualche mese prima quando King resta colpito da uno dei tanti nastri quotidianamente inviati alla casa discografica da artisti desiderosi di farsi conoscere. Rintraccia il recapito della band che ancora non ha un nome e invita i suoi componenti a farsi sentire. Scopre così che il gruppo è formato da cinque allievi della Charterhouse Public School di Godalming nel Surrey che in precedenza facevano parte di due diverse band scolastiche: i Garden Wall e gli Anon. Il cantante si chiama Peter Gabriel, il tastierista Tony Banks, il batterista Chris Stewart e i chitarristi Anthony Phillips e Mike Rutherford. Jonathan King ha l’impressione che dietro alla timidezza e all’aria un po’ dimessa dei ragazzi ci siano idee e preparazione. Li invita quindi a continuare e li scrittura per un paio di dischi, incurante dello scetticismo di altri responsabili della produzione della Decca. Il singolo pubblicato il 22 febbraio 1968 passa inosservato, quasi a dar ragione agli scettici e non avrà miglior fortuna neppure il successivo The silent sun. Deciso a non ammettere lo sbaglio King convince Peter Gabriel e compagni a lavorare a un album, From Genesis to Revelation, che viene rapidamente stroncato dalla critica nonostante brani decisamente originali come Am I very wrong?. Stanco e demoralizzato King getta la spugna mentre i ragazzi, ormai senza più contratto discografico, tornano agli studi. Tony Banks e Mike Rutherford sembrano i più decisi a chiudere definitivamente con la musica, ma Gabriel non demorde. Un po’ per divertimento, un po’ perché nessuno ha di meglio da fare il gruppo, con qualche cambiamento, non si scioglie e continua a suonare. Due anni dopo sotto la guida carismatica di Peter Gabriel saranno proprio Banks e Rutherford, insieme al chitarrista Steve Hackett e al batterista Phil Collins a fare dei Genesis uno dei gruppi più originali tra i protagonisti del rock progressivo dei primi anni Settanta.

20 febbraio, 2019

21 febbraio 1976 - Il bis sanremese di Peppino Di Capri


Il 21 febbraio 1976 Peppino Di Capri vince per la seconda volta nella sua carriera il Festival di Sanremo con Non lo faccio più. La manifestazione, pur lontana dai fasti di un tempo, sembra lentamente recuperare prestigio. Qualche stupore destano le eliminazioni di personaggi come Rosanna Fratello, che interpreta in modo molto sensuale il brano Il mio primo rossetto e Romina Power, in gara con Noi due, una canzone scritta da lei stessa insieme al marito Al Bano, entrambe alla vigilia considerate sicure protagoniste della rassegna sanremese. Crescono anche le vendite dei dischi, grazie soprattutto a Linda bella Linda dei Daniel Sentacruz Ensemble, destinata a diventare il ‘tormentone’ musicale della primavera del 1976. Questa edizione del Festival ha poi anche il pregio di riproporre all’attenzione del pubblico Peppino Di Capri, uno dei geniali protagonisti della canzone italiana degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Nato nel 1939 a Capri, il cantante, il cui vero nome è Giuseppe Faiella inizia molto presto a suonare nei night club e a sedici anni vince, con la sua band, i Rockers una gara televisiva per voci nuove. Nel 1959 entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti con Nun è peccato, il primo di una lunghissima serie di successi. Formidabile interprete di un’azzeccata miscela tra il dialetto partenopeo e i ritmi d’oltreoceano stabilisce un vero e proprio record entrando, dal 1959 al 1964, per ben trentaquattro volte consecutive in hit parade. Nel 1963 dopo aver dominato la vetta della classifica con la sua versione di Don't play that song, vince il Cantagiro. Nel 1970 trionfa in quella che resta nella storia come l’ultima edizione del Festival di Napoli con Me chiamme ammore, in coppia con Gianni Nazzaro. A partire dal 1971 la sua storia artistica si incrocerà più volte con quella del Festival di Sanremo.



03 febbraio, 2019

3 febbraio 1968 – A Sanremo vincono due cantautori


Il 3 febbraio 1968, a sorpresa, un cantautore vince per la prima volta il Festival di Sanremo. Un anno dopo la morte di Luigi Tenco un artista della stessa scuola, Sergio Endrigo, sale sul podio più alto della rassegna sanremese. In coppia con lui c’è un altro personaggio emblematico della nuova musica di quel periodo: il brasiliano Roberto Carlos. La tragica morte di Tenco sembra aver cambiato molte cose e non è stata, almeno dal punto i vista musicale, inutile. I primi a cogliere le novità sono i critici che salutano nel risultato un segno d’apertura alle nuove tendenze e sottolineano come la vincitrice Canzone per te, non rientri negli "exploit da Festival", ma si inserisca a pieno titolo nella migliore produzione della malinconica vena del cantautore istriano. Tenco a parte, c'è da rilevare come quell'edizione del Festival risenta un po' del clima generale della società italiana, ricco di fermenti e ribellioni che di lì a poco sfoceranno in un vero e proprio movimento di contestazione generale al sistema. La vittoria di Endrigo non è l'unica novità di un Festival che vede la presenza di alcuni personaggi di primo piano della musica nera di quel periodo, come Shirley Bassey, Dionne Warwick e, soprattutto, Wilson Pickett e Earta Kitt. Proprio all'esplosivo Pickett viene affidato, in coppia con Fausto Leali, Deborah un brano "nero" nato dalla penna di Paolo Conte, altro cantautore per la prima volta a Sanremo. Per la cronaca quel Festival segna anche, almeno come autore, la presenza sanremese di Lucio Battisti. Il ragazzotto di Poggio Bustone è l'autore della mielosa Una farfalla impazzita, nobilitata da una buona interpretazione di Johnny Dorelli e dell'ormai ex idolo delle teen-ager Paul Anka. Il vero colpo grosso è però la contemporanea presenza di due leggende del jazz come Louis Armstrong e Lionel Hampton. Il primo interpreta in coppia con Lara Saint Paul Mi va di cantare, un motivetto vagamente dixieland che può contare sull'accompagnamento della band di Hengel Gualdi, mentre il secondo è incaricato di ripetere al vibrafono, riarrangiandole, tutte le canzoni in gara. Le piacevoli anomalie di questa edizione sessantottina del Festival trovano la loro sintesi proprio nella vittoria di Sergio Endrigo, un cantautore per il quale le canzoni d'amore non sono un ostacolo all'impegno politico e sociale. Non a caso presterà qualche anno dopo la sua immagine alla campagna elettorale dello PSIUP, il Partito Socialista di Unità Proletaria.


01 febbraio, 2019

1 febbraio 1973 – Il giamaicano bianco Chris Blackwell punta sul reggae


«Il reggae è una delle migliori espressioni della cultura del mio paese. Credo che valga la pena di investire qualche soldo per favorirne la diffusione, anche perché sono convinto che questa musica possa sfondare sul mercato americano». Così il 1 febbraio 1973 Chris Blackwell, il manager giamaicano bianco proprietario della casa discografica Island Records, annuncia la sua intenzione di creare la Mango Record, un’etichetta interamente dedicata agli interpreti del reggae. La decisione è importante perché è destinata ad aprire le porte del mercato statunitense a un gran numero di artisti giamaicani fino a quel momento al margine del music business e a influenzare profondamente l’evoluzione musicale degli anni Settanta. La scelta è in linea con la missione di questo originale produttore che negli anni ha dimostrato di saper fondere con successo l’amore per le musiche della propria terra con la capacità di fare affari. Chris Blackwell fonda la Island in Giamaica nel 1958 producendo un album del pianista cieco Lance Hayward, anche se il primo successo discografico arriva soltanto l’anno dopo con Boogie in my bones di Laurel Aitken. Ben presto si sente stretto nei confini dell’isola che gli ha dato i natali e a partire dal 1962 si trasferisce in Gran Bretagna. Il suo obiettivo iniziale è quello di conquistare il mercato della comunità degli immigrati giamaicani e tra i primi dischi della sua produzione britannica c’è un singolo Judge not di un certo Robert Marley. Per una distrazione dello stampatore il nome del cantante sull’etichetta destinata al mercato inglese viene, però, storpiato in Robert Morley. Blackwell non se ne accorge nemmeno. Nel 1964 è uno dei principali artefici del successo internazionale dello ska pubblicando My boy lollipop di Millie Small, ma non rinuncia a dire la sua anche sulla scena del pop e del rock inglese. Produce lo Spencer Davis Group e, dopo il suo scioglimento, accompagna Stevie Winwood, che lui considera l’artista più geniale della band nella nuova avventura con i Traffic. Non dimentica, però, la musica giamaicana. Nel 1969 trasforma lo sconosciuto Jimmy Chambers in Jimmy Cliff, star della scena musicale internazionale, ma ci rimane male quando se ne va perché «le major pagano di più» di quanto possa pagare lui. Fortunatamente non passerà molto tempo prima che un altro giamaicano, uno strano tipo di nome Bob Marley, bussi alla sua porta...