La sera del 7 dicembre 1968 a Milano è prevista la tradizionale “prima” che apre la stagione lirica del Teatro della Scala. Da anni la borghesia milanese ha trasformato questa occasione in un evento di grande mondanità in cui fare sfoggio di ricchezza ed eleganza. Il clima che si respira in città, però, è diverso dal solito. Nelle scuole si vive un periodo di grande fermento con una lunga serie di assemblee e di occupazioni. Sono gli universitari i più attivi in un movimento che, malgrado le contraddizioni, sta abbandonando l’aspetto un po’ folcloristico di contrapposizione generazionale per assumere sempre più i caratteri di un aperto rifiuto del sistema. Gli studenti, senza grande clamore, si sono dati appuntamento proprio nella Piazza della Scala con un passaparola che non è sfuggito alle autorità preposte a garantire l’ordine costituito. Per “prevenire incidenti” nel pomeriggio la polizia ha iniziato a presidiare la piazza con discrezione, anche se nessuno pensa che ci sia davvero una situazione di pericolo. Gli organi di stampa e le autorità considerano improbabile l’eventualità di una massiccia contestazione e prevedono piuttosto la presenza un po’ goliardica di qualche colorito gruppetto marginale. Il pomeriggio scorre via tranquillo e, mentre scendono le prime ombre della sera, gli scarni gruppetti di ragazzi e ragazze arrivati alla spicciolata sembrano confermare le tranquillizzanti previsioni della vigilia. Man mano che le ore passano però il loro numero cresce tanto che la Questura manda altri agenti di polizia a rafforzare il contingente della piazza. Nel frattempo arrivano i primi spettatori. Una salva di urla, fischi e sberleffi è il saluto con il quale vengono accolti dai giovani. I ragazzi e le ragazze, trattenuti a stento dal robusto cordone di poliziotti, bersagliano gli abiti eleganti e le pellicce della “Milano bene” con un nutrito lancio di uova e di ortaggi. Nonostante qualche inevitabile momento di tensione la polizia si limita a controllare, mentre il leader del movimento studentesco Mario Capanna al megafono invita gli agenti a ribellarsi agli ordini ricevuti e a schierarsi dalla parte dei giovani. La serata è destinata a restare a lungo nella memoria del capoluogo lombardo.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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