Il 23 gennaio 1951 muore Alibert, uno dei personaggi fondamentali dell’Operetta Marsigliese al punto che c’è chi ha sostenuto che senza di lui quel genere non avrebbe neppure superato i confini della città nella quale è nato e che gli ha dato il nome. Sono osservazioni difficili da commentare perchè prive della possibilità di controprova. Appare certo, invece, il contrario. Pochi dubbi invece sussistono sul fatto che senza l’esplosione improvvisa della passione per l’operetta del pubblico parigino, probabilmente il segno lasciato da Alibert nella storia dello spettacolo francese e parigino in particolare sarebbe stato molto più leggero. Sia come sia è andata così e oggi insieme a Jules Muraire, in arte Raimu, e a Fernand Contandin, in arte Fernandel, Alibert compone il cosiddetto “trio dei marsigliesi”, una piccola pattuglia di uomini di spettacolo provenienti dal meridione della Francia che, a partire dagli anni Trenta, ha saputo conquistare Parigi. Le biografie raccontano che Henri Allibert, il futuro Alibert, è nato a Carpentras. In realtà il piccolo Henri vede la luce il 3 dicembre 1889 a Loriol-du-Comtat, un piccolo borgo a circa cinque chilometri da Carpentras. La sua infanzia non è diversa da quella di altri bambini dell’epoca. Vive in una famiglia che, pur senza avere particolari difficoltà di sostentamento, non può permettersi follie. Frequenta la scuola senza grandi problemi ma anche senza particolari eccellenze. Alla noia e alla fatica dello studio e della scrittura preferisce le lunghe giornate passate a giocare nella via con i suoi coetanei. Il bambino non dà particolari problemi ai genitori che lo lasciano fare consapevoli che, prima o poi, l’età dei giochi e delle corse a perdifiato è destinata a lasciare il posto alla vita vera, fatta di lavoro, tante preoccupazioni, poche speranze e nessuna illusione. Il piccolo Henri cresce così nella strada. Nella polvere delle vie del suo paese d’origine impara a tenere testa ai prepotenti, a coltivare e mantenere vivo un bene prezioso come l’amicizia e a essere solidale fino in fondo con i compagni d’avventure e di giochi. Quando compie quindici anni, però, si ritrova a dover affrontare il primo, vero, importante cambiamento della sia vita. I suoi genitori, infatti, si trasferiscono ad Avignone, una città che dista circa trenta chilometri dal paese natìo. Quella distanza, che oggi può essere percorsa da un’auto in poco più di una ventina di minuti, all’inizio del Novecento è un viaggio che dura qualche ora. Per un ragazzo di quindici anni che è costretto ad abbandonare gli amici e i luoghi dove è cresciuto sapendo di non tornarci più, è una separazione difficile, un cambiamento che pesa come un esilio. A chi arriva da Loriol-du-Comtat, o anche da Carpentras, Avignone può apparire come una grande e inesplicabile città. Lo spaesato quindicenne Henri Allibert ha l’impressione che in quelle vie ricche di storia così lontane e diverse da quelle in cui sono nati i giochi e le amicizie infantili stiano finendo i suoi sogni. Non è così. Ad Avignone finiscono i giochi ma i sogni sono destinati a irrobustirsi e a muoversi su nuovi e inaspettati scenari. Proprio nei caffè della città e poi in quelli dei dintorni, Henri muove i primi passi come intrattenitore. Il suo modello è Mayol, al secolo Felix Mayol l’uomo con la houppette, il ciuffetto di capelli sopra la fronte, che ha lanciato La mattchiche, l’adattamento francese di una canzone spagnola, un ballo birichino che costringe due corpi a stare molto vicino e che diventa di gran moda nelle notti parigine del 1905. Henri ne ripropone le canzoni, lo stile, ne copia i movimenti, i gesti, i vestiti e si fa crescere proprio sopra alla fronte un ciuffo di capelli identico al suo. Il pubblico si diverte alle sue esibizioni e, locale dopo locale, successo dopo successo, il giovane intrattenitore arriva a Parigi. Alla fine del 1908, pochi giorni dopo il suo diciannovesimo compleanno, si esibisce per la prima volta sul palcoscenico prestigioso del Bobino. Non riscuote un successo travolgente, ma il pubblico parigino finisce per affezionarsi a questo giovanissimo emulo di Mayol ed Henri resta nella capitale per una nutrita serie di esibizioni nei vari caffè concerto. Alla prima stagione segue la seconda e poi la terza finché Henri Allibert, il giovane cantante arrivato dal meridione della Francia, chiamato semplicemente Alibert sui manifesti e sui cartelloni, diventa una presenza fissa nei locali di Parigi. Nel 1913 viene scritturato per uno spettacolo di varietà che lo porta in tournée nei teatri delle città francesi. Tra le tappe c’è anche l’Alcazar di Marsiglia, la città più vicina ai luoghi dove è nato e dove ha vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Per l’occasione molti degli amici di un tempo affollano il teatro e gli tributano un successo inaspettato e commovente. Il successo dell’esibizione all’Alcazar di Marsiglia rinfranca Alibert e lo convince definitivamente delle sue possibilità. Per la verità avrebbe anche voglia di rinnovare il repertorio, magari affrancandosi dal ruolo del “giovane imitatore di Mayol” dal quale comincia a sentirsi un po’ soffocato, ma non può. Non sono d’accordo con lui gli impresari che, in Francia come altrove, tendono in genere a sfruttare fino all’ultimo le fortune di un personaggio prima di investire e rischiare su qualche novità. Nel 1914 però la sua carriera si interrompe bruscamente. Alibert, la stella nascente del varietà francese, ridiventa Henri Allibert per l’ufficio di leva che gli invia una cartolina di reclutamento. L’Europa sta per piombare nella prima delle due grandi guerre del Novecento e, come milioni di altri giovani del continente, anche lui è costretto a partire per il fronte. Nel 1917, quando torna a casa dalla guerra, Alibert è un uomo diverso, provato dall’esperienza vissuta nonostante una decorazione ottenuta per i servizi resi alla patria. Intenzionato a lasciarsi alle spalle il più rapidamente possibile i ricordi del fronte si rituffa nel lavoro. Accantonata l’imitazione di Mayol comincia a farsi apprezzare come cantante e intrattenitore negli spettacoli di rivista. Nel 1918 il suo nome affianca quello di Georgius sul cartellone dell’Alcazar di Marsiglia, nel 1920 è al Concert Mayol e all’Eldorado. Nello stesso anno pubblica anche su disco Jazz Band partout, il brano di maggior successo del suo repertorio. Nel 1924 è all’Olympia, nel 1925 al Théâtre de l’Empire con Yvette Guilbert e poi all’Européenn. Nel 1927 si esibisce anche sul palcoscenico delle Folies Bergère. Nel 1928 ottiene un grande successo con il brano Mon Paris scritto da Vincent Scotto e nel 1929 mette in scena “Elle est à vous”, la prima operetta della sua carriera. È l’inizio di una nuova fase della sua vita artistica che lo vedrà diventare il protagonista assoluto della miglior stagione di un genere che i francesi chiameranno “operetta marsigliese”. La sua voce dolce, il suo sorriso e il suo ottimismo conquistano la Francia che affolla i teatri per assistere a operette come “Au pays du soleil” del 1932, “Arènes joyeuse” del 1934, “Trois de la marine” del 1935, “Un de la Canebière” del 1935 e tante altre. Anche il cinema si accorge di lui e gli affida parti importanti in commedie di successo. La sua attività non si ferma neppure negli anni dell’occupazione nazista e ciò gli crea qualche difficoltà nel periodo successivo alla Liberazione quando non pochi l'0accusano di collaborazionismo. A partire dal 1945 abbandona progressivamente il palcoscenico per dedicarsi maggiormente alla composizione. Alla fine degli anni Quaranta assume anche la direzione di vari teatri, in particolare del Théâtre des Deux-Ânes. Pensa anche di mettersi a fare l’impresario, affascinato dall’idea di scoprire nuovi talenti e accompagnarli al successo, ma è un progetto che non vedrà mai la luce. La morte lo sorprende a Marsiglia il 23 gennaio 1951 quando è da poco entrato nel suo sessantaduesimo anno di vita. Il suo corpo viene tumulato nel cimitero marsigliese di Saint Pierre, lo stesso che ospita anche le spoglie mortali di altri grandi protagonisti dello spettacolo originari di quella città, come Rellys, Vincent Scotto, Charles Helmer Ponge e l’affascinante Gaby Deslys.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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