Alle ore 22,20 di giovedì 29 gennaio 1959 sul palcoscenico del Festival di Sanremo sale Jula De Palma, all’anagrafe registrata con il nome di Iolanda De Palma, una ragazza milanese di ventisette anni che da tempo non fa dormire sonni tranquilli a bigotti e moralisti. Cinque anni prima, infatti, in un’intervista rilasciata al settimanale “Sorrisi e Canzoni” quando le era stato chiesto se ammettesse il divorzio, invece di allinearsi alla tesi ufficiale dell’indissolubilità del matrimonio o trincerarsi dietro a un riserbo sospetto (il massimo della dissociazione consentito in quel periodo) aveva candidamente risposto: «Si, nel senso di non creare situazioni illegali in un matrimonio sbagliato». Nata nell’ambiente del jazz e scoperta da Lelio Luttazzi, che a soli diciotto anni l’ha aiutata a entrare nel ristretto gruppo dei cantanti della Rai, si è conquistata stima e simpatia per il suo stile ispirato alle grandi vocalist del jazz e la voce carica di sensualità. Considerata una delle più innovative cantanti della musica leggera italiana di quel periodo è però insofferente alle limitazioni. Per questa ragione piace molto al pubblico e meno a impresari e manager che vivono ogni sua esibizione pubblica con il fiato sospeso. Nonostante tutto in quella serata del 29 gennaio 1959 non ci sembrano esserci motivi di preoccupazione. Jula De Palma deve cantare Tua, una canzone composta da Pallesi e Malgoni che in gara viene eseguita anche dalla voce tranquilla di Tonina Torrielli, l’ex operaia di una fabbrica dolciaria soprannominata “la caramellaia di Novi Ligure”. Eppure quando la ragazza sale sul palcoscenico del Festival succede qualcosa di particolare. La sensualità sbarca per la prima volta sul proscenio del festival musicale più popolare d’Italia. Fin dalle prime note la sua voce si muove su tonalità inusuali, di derivazione jazzistica. Profonda e sensuale, quasi impercettibile sussurra confidenziale «Tua, tra le braccia tue...» in solitudine, accompagnata soltanto dal contrabbasso. È una voce nuda, cioè senza accompagnamento orchestrale, che si riveste progressivamente con l’ingresso successivo dei vari strumenti. Dopo il contrabbasso tocca alla batteria, che entra in punta di... spazzola, per non turbare l’atmosfera e poi via via gli altri ma senza mai coprire la voce che, come un serpentello, si avviluppa alle note con grazia tentatrice. La sua straordinaria interpretazione, ricca di sensualità, viene accusata di essere «...scandalosa al limite dell’offesa al pudore». L’accusa oggi può far sorridere ma nell’Italia bigotta degli anni Cinquanta c’è poco da scherzare. Alla Rai e ai giornali arriva una lunga serie di lettere di protesta. Una tra le molte che vengono rese pubbliche finisce per restare emblematica dell’epoca. È di una donna che si definisce “una sposina” e chiede addirittura l’intervento della magistratura contro la “scandalosa cantante” perchè il suo modo di cantare potrebbe configurare il reato di “istigazione all’adulterio”. Un incauto critico giornalista scrive che la ragazza ha eseguito la canzone «...come se fosse in camera da letto» e altri non perdono l’occasione per rilevare come il morbido e leggero vestito da sera indossato per l’occasione assomigli a una camicia da notte. Insomma sulla testa della povera Jula De Palma si scatena una vera e propria tempesta mediatica che rischia di travolgerla. Poi finalmente il Festival finisce con Tua che si piazza al quarto posto. Le polemiche invece continuano ancora per un po’ anche se la casa discografica della cantante accetta di modificare il passaggio «Tua/sulla bocca tua/finalmente mia...» in «Tua/ogni istante tua/dolcemente tua...». Se l’accorgimento consente al disco di evitare rischi non così accade a Jula De Palma che da quel momento si vede oggetto di censure ripetute. Non viene bandita dalla scena radiotelevisiva italiana come accadrà a Mina, ma nei suoi confronti l’Italia bigotta e codina dell’epoca mette in atto una serie di “ritorsioni” e “dispetti” che finiscono per condizionarne la carriera. Per anni le viene attribuita la fama di essere un “personaggio incontrollabile” sul piano caratteriale e una cantante troppo snob per il grande pubblico. In realtà è una delle pochissime interpreti che dopo essere arrivate alla musica pop dal jazz non tradiscono le proprie origini ma tentano di mettere in relazione i due differenti generi musicali. Nonostante tutto nella sua lunga carriera partecipa a varie manifestazioni musicali e pubblica molti dischi, tra cui due divertenti EP intitolati Quando una ragazza si chiama Jula 1 e Quando una ragazza si chiama Jula 2 oltre a un album ispirato al jazz dei suoi primi anni intitolato Whisky e Dixie. Nel 1972 dà l’addio al palcoscenico con un recital al Teatro Sistina di Roma accompagnata dall’orchestra di Gianni Ferrio e nel 1974 si esibisce per l’ultima volta in televisione cantando una divertente versione di Tulipan con Raffaella Carrà e Mina nel programma “Milleluci”. Qualche tempo dopo decide di lasciare l'Italia con il marito Carlo Lanzi per stabilirsi in Canada. Le sue qualità interpretative e la sua ecletticità musicale le valgono il rispetto della critica e un buon successo di pubblico. A dispetto delle emarginazioni e delle censure con il passare degli anni la sua figura artistica è stata rivalutata anche nel confronto con le interpreti più popolari dell'epoca.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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