L’11 febbraio 1925 muore Aristide Bruant, universalmente considerato un po' il “padre nobile”, l’antesignano degli chansonnier. Alcuni suoi brani in particolare hanno dato origine alla cosiddetta “chanson sociale”. Quasi tutti i protagonisti della canzone francese del Novecento gli sono in qualche modo debitori, non soltanto quelli che più manifestamente si sono abbeverati alla sua inesauribile fonte inserendo nel proprio repertorio brani da lui composti. Anche la sua figura alta, avvolta nel “tabarro”, il lungo mantello nero a copertura totale, resa immortale da Tolouse-Lautrec, non passa inosservata e negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento ispira gran parte degli interpreti maschili dei cabaret di tutta Europa, Italia compresa. A quell’immagina sembra ispirarsi, per esempio, nel nostro paese Gino Franzi, lo “scettico blu”, il fustigatore dei vizi e delle differenze di classe, dominatore dei palcoscenici negli anni Venti e Trenta, la cui popolarità è tale da renderlo praticamente inattaccabile anche dalla solerte e invasiva censura fascista. Aristide Bruant non è soltanto uno chansonnier, ma scrittore, poeta e animatore oltre che gestore di Cabaret divenuti rapidamente il luogo di ritrovo di artisti e creativi d’ogni risma e inclinazione. Nel suo lavoro artistico scompare la distinzione tra canzone colta, ballata popolare e critica sociale. Cessa anche la separazione tra musica e poesia in una sorta di ponte simbolico tra la Francia di fine Ottocento e quella dei trovatori che si esibivano nelle corti feudali. Tutto, per Aristide Bruant, può diventare canzone, dai sentimenti alla descrizione di un luogo, alla rabbia per le ingiustizie, alla denuncia, alla critica sociale. La struttura dei suoi brani è spesso quella tipica dei cantastorie, basata sul “rimodellamento”, una tecnica che prevede di comporre testi diversi su un pugno di melodie sempre uguali. Con qualche approssimazione si dice che nella sua carriera abbia dedicato una canzone a ogni quartiere di Parigi. Aristide Louis Armand Bruand, questo è il nome vero del futuro Aristide Bruant, nasce a Courtenay il 6 maggio 1851. La sua infanzia trascorre tranquilla in una famiglia della media borghesia che non ha problemi finanziari. Al piccolo Aristide non manca nulla e l’unica preoccupazione di quel periodo sono i severi insegnanti che accompagnano il suo corso di studi regolari a Sens. Quando arriva per la prima volta a Parigi ha soltanto dodici anni. Sono i suoi genitori a portarlo con loro nella capitale francese dove si sono trasferiti provvisoriamente nel tentativo di risolvere una serie di difficoltà economiche nate da alcuni errori nella gestione del patrimonio famigliare. Il bambino ascolta i discorsi preoccupati dei suoi genitori sul patrimonio famigliare che si sta rapidamente consumando. Pur se non ne capisce ancora interamente il significato ne coglie il senso d’angoscia e di preoccupazione. Quelle sensazioni resteranno per sempre impresse nella sua memoria e saranno alla base di molte tra le composizioni più drammatiche e vivide di critica sociale. Purtroppo la permanenza nella capitale francese non serve a migliorare le condizioni economiche della famiglia Bruand né a risolverne i problemi. Ben presto la situazione precipita. Dopo anni di tranquillità economica i Bruand sono costretti a darsi da fare per sopravvivere. Anche per il piccolo Aristide a Parigi la vita cambia in peggio da un giorno all’altro. Non ci sono soldi per continuare gli studi e la sua nuova scuola è la strada del quartiere popolare dove la sua famiglia si è trasferita. Ben presto però il tempo per i giochi nella via si riduce fino a quasi scomparire. Anche lui deve dare il proprio contributo alla sopravvivenza della famiglia. Aristide si ritrova così a fare piccole commissioni per un procuratore legale, un vecchio amico di suo padre che cerca di dare una mano alla famiglia Bruand. Non è un gran lavoro e, soprattutto, non gli dà nessuna soddisfazione. Per questa ragione nel 1858, a diciassette anni, decide di fare di testa sua e si fa assumere come apprendista in una gioielleria. Nell’Europa turbolenta di quegli anni le guerre non sono certo una rarità. All’alba del 1870 scoppia quella che resterà nella storia come Guerra Franco Prussiana. La vita a Parigi si fa ancora più dura e la famiglia Bruand decide di tornare a Courtenay mentre Aristide, arruolato dall’esercito, partecipa alla guerra con la divisa dei “franchi tiratori”. Quando la guerra finisce trova un posto di lavoro come spedizioniere in una compagnia ferroviaria del Nord della Francia. Più o meno nello stesso periodo inizia a scrivere le prime canzoni e a cantarle in pubblico. La data della sua prima esibizione si è persa nel tempo e le fonti divergono. C’è chi dice che Aristide abbia cominciato a cantare le sue canzoni nei cabaret a partire dal 1873 e chi invece sostiene che il debutto sulle scene sia avvenuto due anni dopo, nel 1875. Di certo c’è che in quel periodo il cantante sostituisce la “d” del cognome con la “t” diventando per sempre Aristide Bruant. Il suo primo repertorio è composto quasi esclusivamente da canzoni leggere, divertenti e in qualche caso salaci e licenziose. Comincia a pensare di chiudere il suo rapporto con la compagnia ferroviaria per dedicarsi esclusivamente alla canzone quando, nel 1880, l’esercito si accorge che, nonostante la sua partecipazione alla guerra Franco Prussiana, Aristide non ha ancora saldato completamente il suo debito con la divisa. Alla sua ferma militare mancano, infatti, ben ventotto giorni! Richiamato passa un mesetto scarso nei ranghi del 113° Reggimento di stanza a Melun. Approfitta dalla sosta per comporre alcune canzoni, compresa la famosa V’là l’cent-treizième qui passe dedicata ai suoi commilitoni. Chiusa la parentesi militare riprende la vita di sempre cantando nei cabaret e nei caffé concerto. Nel 1880 conosce e diventa amico di Jules Jouy, un operaio, poeta, chansonnier e attivista politico destinato ad avere un ruolo importante nella sua evoluzione artistica e nel suo destino. È proprio lui infatti a trovargli la prima scrittura al cabaret Chat Noir di Boulevard Rochechouart, in quel periodo di proprietà di Rodolphe Salis, un uomo attento alle novità che dà spesso spazio ai nuovi artisti della zona di Montmartre. Aristide Bruant e le sue canzoni diventano un’attrazione fissa del locale. La relativa tranquillità della sua vita dura poco. Un giorno un paio di teppistelli mettono a soqquadro il Chat Noir uccidendo un cameriere e malmenando il proprietario che, spaventato, decide di chiudere il locale e riaprirlo in Rue Laval, una zona decisamente più tranquilla. Aristide coglie l’occasione, rileva i locali lasciati liberi da Rodolphe Salis e apre un proprio cabaret, il Mirliton. È il 1894 quando i primi tre clienti del locale entrano e vengono accolti da... insulti e imprecazioni lanciate loro da Bruant in persona. Nasce così la leggenda del Mirliton, un locale alla moda, ritrovo di artisti e abitatori della notte disposti a farsi maltrattare dalle imprecazioni e dai lazzi di Aristide Bruant. La popolarità del poeta e chansonnier cresce a dismisura in tutta Parigi grazie anche ai manifesti realizzati dal suo amico Tolouse-Lautrec. Non si dedica solo alla canzone. In quegli anni lavora alla realizzazione di un vero e proprio dizionario dell’Argot, l’idioma della strada che lui considera una vera e propria lingua sviluppatasi parallelamente al francese insegnato nelle scuole. Il suo è un lavoro serio di ricerca che viene però snobbato dalle istituzioni culturali ufficiali poco disposte a dare spazio a un personaggio eclettico come lui. Aristide vive male questa situazione e dopo la lunghissima e trionfale tournée in Francia e in vari paesi europei del 1895 decide di dedicare sempre meno tempo alla musica per occuparsi di più di scrittura e di ricerca. Nonostante i propositi non lascia mai completamente il palcoscenico sul quale torna di tanto in tanto per offrire al pubblico applauditissimi récital mescolando i suoi vecchi brani con nuove canzoni. L’ultimo concerto è del 1924, qualche mese prima della morte che avviene a Parigi l’11 febbraio 1925.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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1 commento:
Valido. Bello risentire Aristide.
Grazie a chi ha conservato questi tesori.
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