Il 26 febbraio 1971 l’attore e cantante Fernandel muore consumato da un tumore nel suo appartamento sull’avenue Foch di Parigi. Popolarissimo anche in Italia dove il pubblico lo identifica con il personaggio cinematografico di Don Camillo, in Francia è un protagonista di primo piano della storia dello spettacolo. «Mi chiedete se sono legato a Don Camillo? Come potrei non amare quel personaggio? Pensate che avevo come partner Gesù Cristo...». Così Fernandel rispondeva a chi osava insinuare che in fondo vestire i panni del prete “da battaglia” della bassa padana nato dalla fantasia di Guareschi lo stesse annoiando. La noia nella sua concezione del lavoro non esiste perchè, come ripete mille volte nel corso della sua carriera, è felice di aver trasformato in un lavoro la più grande passione della sua vita: il palcoscenico. Attore, cantante, fantasista, intrattenitore, ballerino, fin dagli inizi della sua carriera non c’è ruolo nel quale non si sia sperimentato con buoni risultati. Famoso per le sue per le sue folgoranti battute («Il pastis è come le tette. Una non basta e tre sono troppe!» o «De Gaulle? Credo che sia l’unico francese che nel mondo è più popolare di me») Fernandel insieme a Jules Muraire, in arte Raimu, e Henri Allibert, in arte Alibert compone il cosiddetto “trio dei marsigliesi”, una piccola pattuglia di uomini di spettacolo provenienti dal meridione della Francia che, a partire dagli anni Trenta, è riuscita nel non facile compito di conquistare le scene di Parigi. Fernand Joseph Désiré Contandin, in arte Fernandel, nasce a Marsiglia l’8 maggio 1903. Il suo primo vagito risuona al n° 72 di Boulevard Chave nell’appartamento dove in quel periodo vive la sua famiglia. I suoi genitori tirano avanti come possono. Suo padre canta nei caffé concerto e l’intera famiglia vive ai margini del mondo dello spettacolo. «A cinque anni avevo già corso e giocato in tutte le quinte, i retroscena e i camerini dei migliori e dei peggiori luoghi di spettacolo di Marsiglia... Ero affascinato in particolare da tutto ciò che aveva a che fare con la canzone e spesso insieme a mio fratello Marcel giocavo a ripetere le pose e i gesti che mio padre faceva in scena. Giocavo ma imparavo perchè io eseguivo e mio fratello mi correggeva...». Il figlio di un artista poi non può perdere troppo tempo a scuola per cui il rapporto del piccolo Fernand con l’istruzione è saltuario e ricco di fughe e ravvedimenti. Il suo sogno resta sempre il palcoscenico dove debutta prestissimo interpretando al Teatro Chave il ruolo che più gli riesce in quel periodo, cioè quello di... bambino nel dramma “Marceau ou les enfants de la révolution”. È poco più di un gioco ma gli applausi del pubblico gli piacciono e rafforzano la sua convinzione che quella sia la strada giusta per lui. Poco tempo dopo arriva anche la sua prima esibizione canora. Avviene sul palcoscenico dello Scala, un locale che diventerà poi famoso con il nome di Eldorado, dove in una pausa dell’esibizione del padre canta M.lle Rose di fronte a un pubblico che l’applaude convinto. Il piccolo Fernand ci prende gusto. Canta un paio di brani in un gala al Châtelet, poi al Palace de Cristal quindi al Variétés in quello che lui stesso definirà in futuro «il primo tour della mia vita effettuato in una serie di locali che distano qualche centinaio di metri l’uno dall’altro». Di giorno la scuola e la sera sul palcoscenico. La sua famiglia non naviga nell’oro ma per un bambino di quell’epoca la vita potrebbe essere peggiore. Tutto sembra funzionare senza intoppi fino al 1915 quando alla vigilia di quella che i posteri chiameranno Prima Guerra Mondiale il padre viene chiamato sotto le armi. Fernand ha dodici anni e la sua vita cambia improvvisamente. La famiglia ha bisogno anche del suo aiuto per tirare avanti. Trova un posto come fattorino nell’agenzia di Rue St. Ferréol della Banque Nationale de Crédit e corre in giro per la città in cambio di 25 franchi al mese. Qui conosce Jean Manse, un amico che resterà con lui per tutta la vita. Terminata l’esperienza come fattorino, il giovane Fernand Contandin si adatta a una lunga serie di lavori passando dal saponificio Bellon alla cartiera Granger, alla società elettrica e tante altre esperienze. Nonostante le difficoltà, però, non abbandona il mondo dello spettacolo e affianca l’attività lavorativa con le esibizioni come cantante e caratterista nei caffé-concerto dove si diverte a mettere esageratamente in mostra il suo profilo equino e gioca a prendersi in giro. In quegli anni corteggia assiduamente Henriette, la sorella minore del suo amico Jean Manse. Proprio la madre dei due ragazzi diventa l’artefice inconsapevole del nome d’arte del ragazzo. Racconta lo stesso Fernandel che la donna, divertita dall’insistenza con il quale il giovane frequenta Henriette, quando lo vede arrivare lo saluta dicendo «Voilà le Fernand d’elle» (Ecco il suo (di Henriette) Fernand!). Proprio da questa frase nasce lo pseudonimo di Fernandel destinato ad accompagnarlo per sempre. Il 4 aprile 1925, a ventidue anni non ancora compiuti, sposa Henriette e poi parte per il servizio militare. Quando torna a casa è padre e non ha più un lavoro. La salvezza arriva da Louis Valette, il direttore dell’Odéon che lo scrittura per sostituire un’artista contestato dal pubblico. Lui sale sul palco e sciorina tutto il repertorio di canzoni e gags rodato nei caffé-concerto. Tra il pubblico che l’applaude con grande entusiasmo c’è Jean Faraud, il direttore della Paramount francese che gli propone un contratto per animare gli intervalli nelle sale gestite dalla sua società. L’avventura con la Paramount inizia il 19 marzo 1927 a Bordeaux, poi prosegue a Nizza, Lille e, dopo un lungo peregrinare nelle varie città francesi, nel dicembre del 1927 arriva finalmente al mitico Bobino di Parigi. La sua esibizione dura esattamente dodici minuti ma lascia il segno visto che gli frutta un contratto per ben diciannove settimane di animazione degli intervalli al cinema Pathé. Nel 1929 quando torna al Bobino è ormai un artista affermato. Nel 1931 fa il suo debutto cinematografico interpretando un piccolo ruolo nel film “Le Blanc et le noir”, seguito da una partecipazione a “On purge bébé” di Jean Renoir. Nello stesso anno Bernard Deschamps gli affida il ruolo del protagonista nel film “Le Rosier de Madame Huston”, dove interpreta per la prima volta il ruolo di giovanotto ingenuo che diventerà un po’ la sua specialità negli anni successivi. Nonostante il successo cinematografico Fernandel non lascia né la musica né gli spettacoli di varietà. Come lui stesso racconterà in seguito «Di giorno giravo e di sera mi esibivo in scena». Nel 1933 partecipa a un applaudissimo tour che lo porta in tutti i migliori teatri del territorio francese, dall’Eldorado di Marsiglia all’Elysée Palace di Vichy al Bobino e alle Folies-Bergère di Parigi. Interpreta anche numerose commedie musicali, molte delle quali finiranno poi sullo schermo. Nel 1934 Marcel Pagnol lo vuole nel suo film “Angéle” nel quale è costretto per la prima volta nella sua carriera a cimentarsi con successo in un ruolo drammatico. Il risultato è lusinghiero e ne rafforza il prestigio e la popolarità. Per esplicita ammissione di Fernandel «Grazie a Pagnol sono stato costretto a dimostrare innanzitutto a me stesso se avessi o no la stoffa dell’attore». Sempre nel 1934 torna con successo di fronte al difficile pubblico delle Folies-Bergère al fianco di una vedette come Mistinguett. Nella seconda metà degli anni Trenta il suo successo sembra destinato a non conoscere fine ma le nubi di guerra che s’addensano sulla Francia gli cambiano la vita. Richiamato sotto le armi viene aggregato al “servizio cinematografico” dell’esercito francese. La guerra diventa una tragedia con i terribili anni dell’occupazione tedesca, del governo collaborazionista e dello smembramento della nazione. Fernandel non collabora con i nuovi potenti ed è costretto a lasciare le scene. Torna da trionfatore dopo la Liberazione e la fine della guerra ritrovando immediatamente il successo sia nel cinema che nei teatri di varietà. Il pubblico non l’ha dimenticato. In Italia il suo nome è legato all’interpretazione di Don Camillo nei film della serie omonima tratta dai romanzi di Guareschi. Alla fine della carriera si cimenta nella regia e fonda insieme a Jean Gabin la casa di produzione Ga-Fer.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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