L’11 aprile 1977 muore Jacques Prévert, poeta, sceneggiatore, scrittore, ma soprattutto punto di riferimento del mondo culturale francese per decenni. «Allora, il loro dio, il loro oracolo, il loro maître à penser, era Jacques Prévert, di cui veneravano le pellicole e le poesie, di cui provavano a copiare il linguaggio e le atmosfere spirituali. Anche noi gustavamo le poesie e le canzoni di Prévert. Il suo anarchismo sognante e un po' stralunato ci catturava completamente» Così Simone de Beauvoir nel suo romanzo “L’età forte” parla di quel miscuglio di artisti, vagabondi, perdigiorno, poeti e cantanti che si incontra, si innamora, si lascia e vive nei caffè di Saint-Germain des Prés. Non è un omaggio, ma una testimonianza della capacità di Prévert di liberarsi dalla rigidità delle divisioni dell’arte per essere insieme poeta, paroliere, sceneggiatore, dialoghista e, soprattutto, curioso esploratore di tutte le forme possibili di comunicazione poetica. Vive l’esperienza artistica con la stessa intensità di un amore appena nato e non si fa mai irreggimentare da una moda, da una linea editoriale o anche soltanto dalla necessità di dare continuità a un impianto artistico salutato dal successo. La sua avventura artistica è una lunga corsa su una strada non asfaltata, con i piedi che mordono il terreno, evitano i sassi, si bagnano nelle pozzanghere e s’impolverano nei tratti asciutti. E quando la strada gli appare troppo diritta tende a scartare, come fanno i cavalli di razza o i lupi inseguiti dai cacciatori. La sua creatività non ha padroni e diffida delle gabbie, soprattutto di quelle ideologiche e se ha l’impressione di essere intruppato fugge veloce come il vento. «Reclutato a forza nella fabbrica delle idee/ho resistito /mobilitato allo stesso modo nell'esercito delle idee/ho disertato». In questi pochi versi, rubati a Choses et autres, la sua ultima raccolta pubblicata nel 1972, c’è il senso di una vita assaporata fino all’ultimo sorso evitando l’omologazione e il conformismo, ma spargendo a piene mani perle preziose che luccicano vivide e inattaccabili dalla patina del tempo. Tra esse ci sono anche le canzoni, oltre mille, destinate a entrare nel repertorio di interpreti come Juliette Gréco, i Frère Jacques, Serge Reggiani, Mouloudji, Catherine Sauvage, Yves Montand ed Edith Piaf, per citare soltanto i primi che la memoria riporta a galla. Brani come Les feuilles mortes e Barbara hanno fatto poi il giro del mondo nelle esecuzioni di artisti come Frank Sinatra, Bing Crosby o Miles Davis. «Egli viene dalla vita e non dalla letteratura». La definizione di Jacques Prévert data dallo scrittore Georges Ribemont-Dessaignes cerca di chiarire perfettamente il senso della creatività artistica di un uomo che ha sempre detto di voler essere poeta senza diventare letterato. La vita è un avventura misteriosa e la sua inizia il 4 febbraio 1900 a Neuilly-sur-Seine, cittadina del dipartimento della Senna dove nasce da in un ambiente piccolo borghese e un po’ bigotto. Sua madre è originaria dell'Alvernia mentre suo padre è bretone e proprio in Bretagna il piccolo Jacques trascorre diversi anni della sua infanzia. Sono anni apparentemente spensierati anche se un po’ soffocanti viste le rigide regole imposte dalla famiglia molto attenta alle convenzioni. È comunque in questo periodo che Prévert respira a pieni polmoni l’aria della cultura e delle tradizioni popolari bretoni destinate a influenzare molto la sua opera negli anni della maturità. Curioso frequentatore di quegli spazi di confine che stanno tra letteratura e spettacolo, dopo aver terminato gli studi per guadagnarsi da vivere si adatta a vari lavori. Nel 1922 dopo il servizio militare si stabilisce a Parigi in una casa al 54 di Rue del Château a Montparnasse destinata a diventare un po’ il punto di ritrovo di un pezzo importante del movimento surrealista. Tra i più assidui ci sono Michel Leiris, Robert Desnos, Antoine-Marie-Joseph Artaud, Louis Argon, Georges Malkine, Raymond Queneau e quell’André Breton che si diletta a giocare a fare il leader del movimento. Nella seconda metà degli anni Venti gli amici cominciano a far circolare i suoi primi testi poetici, anche se per la prima pubblicazione occorre attendere il 1930 quando Prévert pubblica sulla rivista "Bifur" la sua composizione Souvenirs de famille on l'ange gardechiourme (Ricordi di famiglia ovvero l'angelo aguzzino), considerata un po’ il suo battesimo artistico. Gli anni Trenta sono pervasi da grande passione, con curiosità sempre nuove e sperimentazioni anche azzardate in quelli che sono destinati a diventare i campi privilegiati del suo interesse artistico: poesia, canzone, teatro e cinema. Tra il 1932 e il 1936 si dedica intensamente al teatro lavorando a tempo pieno con il Gruppo Ottobre, una compagnia appartenente alla Federazione Teatro Operaio, un’organizzazione che ha lo scopo di promuovere opere teatrali di impegno sociale. Proprio per il Gruppo Ottobre Prévert scrive Marche ou crève (Marcia o crepa), un brano che negli anni successivi diventerà quasi un inno dell’antifascismo militante. Nonostante gli impegni teatrali non trascura né la poesia, né il cinema né la canzone. Proprio in questi anni, infatti, vedono la luce soggetti e sceneggiature di film come “Lo strano dramma del dr. Molineaux” e “Il porto delle nebbie” diretti dal suo carissimo amico ed estimatore Marcel Carné. Sono l’inizio di un’attività di soggettista e sceneggiatore destinata a regalare al mondo lungometraggi come “Les disparus de Saint-Agil” di Christian-Jacques e Pierre Laroche, o “Alba tragica”, “Le porte della notte” e “Mentre Parigi dorme” di Marcel Carné. Sempre con Carné nella Francia occupata dai nazisti girano “L’amore e il diavolo” e, soprattutto “Amanti perduti”, ancora oggi considerato uno dei capolavori del cinema mondiale. Sempre in quegli anni vedono la luce anche le canzoni nate da poesie musicate da Joseph Kosma che caratterizzeranno l’epoca degli chansonniers. Nei primi mesi del 1946 Jacques Prévert pubblica “Paroles”, uscita in Italia con il titolo “Parole”, la sua prima raccolta compiuta di poesie ed è come se un turbine di vento si abbattesse sulla letteratura e sulla cultura francese. I giovani che dopo quattro anni di occupazione feroce e di clandestinità trovano in quelle composizioni una risposta alle loro aspirazioni, alla sete di libertà e al desiderio rilasciare un segno nella vita. Niente resta più come prima, neppure Jacques Prévert che capisce di essere diventato un punto di riferimento per un pezzo della cultura del suo paese e ci gioca un po’ anche se non mancano detrattori come Albert Camus che lo definiscono un “guignol del marciapiede che si prende per Goya”. Il pubblico, però, è tutto con lui. Accade così che quel quarantacinquenne autore cinematografico le cui poesie erano apprezzate e diffuse quasi esclusivamente tra i frequentatori di quella piccola porzione di Parigi compresa il Café de Flor, il Lipp, il Deux Magots e le librerie più intellettuali del Quartiere, diventa una sorta di “vate” di Saint-Germain-des-Prés, una stella ammirata e riverita. Jacques Prévert ha il pregio di non prendersi mai, in nessun momento così tanto sul serio da credere davvero a queste storie. Gioca con il suo personaggio, qualche volta se ne serve, ma non ne resta prigioniero. Fino all’ultimo continua a frequentare quei territori diversi che ha ormai imparato a conoscere e nei quali si sente a casa sua: il cinema, il teatro, la poesia e la canzone. Non si innamorerà mai della televisione e alla fine degli anni Sessanta, quando si è ormai trasferito nella sua dimora di Omonville-la-Petite, nel dipartimento della Manche capisce di avere allevato un nemico mortale: un cancro al polmone. Accetta la sfida e cerca di resistere nel suo eremo isolato in cui di tanto in tanto lascia entrare alcuni degli amici più cari come Serge Reggiani, Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau e pochi altri. Lunga e dolorosa la battaglia di Jacques Prévert contro l’osceno aggressore termina l'11 aprile 1977 con la sua morte.
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