Il 20 aprile 2002 muore Francis Lemarque. Poeta, musicista, amico di Jacques Prévert, Lemarque è uno dei più politicizzati animatori musicali delle notti dell’intellettualità parigina oltre che uno dei simboli musicali della Parigi degli chansonniers. Ha scritto storie di vita, brani di protesta e feroci satire contro la società che lo circonda eppure la sua popolarità nel mondo si regge ancora oggi quasi esclusivamente su À Paris, un suo brano divenuto uno standard internazionale nell’interpretazione di decine di artisti. Lui non se n’è mai lamentato anche se quella canzone più di una volta ha rischiato di non rendere giustizia a un percorso artistico come il suo, stretto tra un romanticismo poetico di stampo antico e la concretezza di un impegno politico che si evolve nella quotidianità. Nel ricchissimo repertorio ha canzoni d’amore, quadri poetici di angoli di Parigi, invettive contro la guerra e composizioni di grande impegno sociale. La sua penna, così dolce quando racconta i sentimenti, sa farsi avvelenata quando scrive brani che si oppongono all’assurdità della guerra e delle sue regole come Quand un soldat o Le general. Considerato un po’ l’erede del leggendario cantastorie Aristide Bruant con le sue canzoni ha saputo dare voce e raccontare la Parigi che vive fuori dal cono di luce delle grandi vetrine, delle insegne dei locali e delle strade troppo illuminate della “ville lumière”. Francis Lemarque nasce il 25 novembre 1917 a Parigi. All’anagrafe è registrato come Nathan Korb, figlio di una delle migliaia di coppie di giovani ebrei arrivati in Francia dopo essere fuggiti dall’incubo dei ricorrenti “pogrom”, i massacri antisemiti che periodicamente infiammano i paesi dell’Europa dell’Est. Rose, sua madre è nata in Lituania mentre il padre Joseph arriva dalla Polonia. Oltre a Nathan la coppia ha altri due figli: Maurice e Rachel. L’infanzia trascorre senza troppi scossoni nel quartiere della Bastille (la Bastiglia), dove il padre ha un apprezzato laboratorio di sartoria e dove la famiglia vive in un appartamento situato al primo piano di un palazzo in Rue de Lappe, proprio sopra il Bal de Trois Colonnes, uno dei più frequentati locali da ballo della zona. Il piccolo Nathan è affascinato dalla musica del “bal musette” che ogni sera gli entra nelle orecchie e lo culla fino a quando il sonno se lo porta via. La vera scuola dei piccoli Korb è la strada nella quale trascorrono gran parte del tempo lasciato libero dall’altra scuola, quella dove si impara a scrivere e a far di conto. Nathan non impara molto di più perchè nel 1928 a soli undici anni è costretto a lasciare libri, matite, banchi e compagni per andare a lavorare in un’officina Finisce presto l’infanzia per i ragazzi e le ragazze della Bastille e la vita vera bussa alla loro porta quando i figli dei quartieri più ricchi non hanno ancora imparato a farsi da soli il nodo alle stringhe delle scarpe. Nel 1933 la tubercolosi si porta via suo padre. Lasciati soli i due giovani maschi della famiglia Korb decidono di provare a cambiare la loro vita. Cresciuti nell’ambiente del bal musette e affascinati dal mondo della musica e dello spettacolo entrano a far parte di Mars, un ensemble di sperimentazione musical teatrale collegato ai Gruppi Ottobre e alla Federation des Théâtres Ouvriers de France (Federazione dei Teatri Operai di Francia). Proprio nell’ambito di quell’esperienza i fratelli Korb danno vita a un duo musicale che, su suggerimento del poeta Louis Aragon, chiamano Les Frères Marc. Nel 1936 sull’onda del nuovo ed eccitante clima creatosi in Francia quando le sinistre arrivano al potere con la breve esperienza del Fronte Popolare, il duo composto da Nathan e da suo fratello si esibisce nei luoghi delle lotte operaie, nelle fabbriche e nelle piazze. In quel periodo la cerchia dei loro estimatori si allarga progressivamente fino a comprendere anche Jacques Prévert divenuto grande amico soprattutto di Nathan. È proprio il poeta a far conoscere ai due fratelli il musicista Joseph Kosma che per alcuni mesi diventa il loro pianista negli spettacoli dal vivo. Lo scoppio della seconda guerra mondiale cambia tutto, soprattutto per una famiglia ebrea che abita nella Parigi occupata dai nazisti. Nel 1940 Nathan riesce a sfuggire alla rete degli occupanti e dei loro collaboratori e si rifugia a Marsiglia, in quel periodo zona libera. Qui incontra Jacques Canetti, uno dei più geniali impresari dell’epoca che gli dà una mano e qualche consiglio. Sembra sia stato proprio lui a suggerirgli il nome d’arte di Francis Lemarque e a trovargli qualche scrittura nelle colonie francesi del Nord Africa dove si esibisce accompagnato dalla chitarra di Django Reinhardt. I tempi non consentono però distrazioni o, peggio, diserzioni. Quando gli arriva la notizia che sua madre è stata deportata con altri milioni di ebrei, capisce che non si può più stare a guardare nell’attesa che tutto passi. Lascia musica ed entra nella Resistenza con il falso nome di Mathieu Horbet. Catturato viene rinchiuso in prigione. Non ci resta per molto. Liberato con un po’ di fortuna e tanta inventiva torna in azione guidando un gruppo di combattenti con il nome di Lieutenant Marc. Dopo la Liberazione di Parigi Francis Lemarque torna nella capitale giusto in tempo per vivere la febbrile ed eccitante esperienza della Comune artistica di St. Germain-des-Prés dove musica, poesia, letteratura, pittura, cinema e teatro cercano e trovano ogni giorno nuove suggestioni. Per sbarcare il lunario raggranella qualche scrittura e si esibisce come cantante in cabaret come la Rose Rouge o l’Echelle de Jacob e come attore in teatri d’avanguardia come il Théâtre de l’Humour o il Théâtre de Poche. Nel 1946 assiste quasi per caso a un concerto di Yves Montand, un talentuoso interprete d’origine italiana che gode della protezione e del sostegno di Edith Piaf. Colpito dalla straordinaria verve comunicativa di quel cantante prova a scrivere alcuni brani disegnandoli sulle sue caratteristiche vocali e interpretative. Nelle sue intenzioni dovrebbero restare poco più di un semplice esercizio quasi scolastico visto che non conosce di persona Montand e, soprattutto, non si sente assolutamente all’altezza del compito. Tutto finirebbe lì se quel diavolaccio di Jacques Prévert non ci mettesse lo zampino. Proprio il poeta, infatti, fa incontrare il compositore con Montand spingendolo, nonostante la timidezza, a fargli ascoltare i suoi brani. Nasce così una collaborazione che, nella seconda metà degli anni Quaranta, sarà benedetta dal successo straordinario di brani come Ma douce vallée, Bal petit bal e, soprattutto, À Paris. Nel 1949 Francis Lemarque, ormai considerato uno dei grandi autori di successo della canzone francese, pubblica anche i primi dischi come interprete. Timido e refrattario alle regole ferree delle sale di registrazione si fa convincere dopo lunghe insistenza dal suo vecchio amico e protettore Jacques Canetti verso il quale ha un debito di riconoscenza. Canetti è convinto che le canzoni di Lemarque, se interpretate dall’autore, possano conquistare un pubblico diverso e più raffinato di quello che segue Yves Montand. Ha ragione lui. Francis Lemarque entusiasma la critica e nel 1951 vince per prima volta il prestigioso Prix Charles-Cross. Il successo non ne cambia l’impostazione artistica sempre tesa a sposare la poesia dei sentimenti con l’impegno politico e sociale. È un impegno il suo che non si limita alla scrittura o all’adesione ideale. Spesso e volentieri partecipa alle iniziative pubbliche del Partito Comunista al quale resta a lungo legato pur senza mai iscriversi. Instancabile e appassionato lavoratore non si lascia incantare dalle lusinghe del successo e non sente il peso del tempo che passa. Nel dicembre del 1996 i principali interpreti della canzone francese di quel periodo lo invitano a salire sul palcoscenico dell’Auditorium des Halles di Parigi per una serata dedicata alle sue composizioni. Il tempo però non gli è amico. Uno dopo l’altro gli uomini e le donne che l’hanno accompagnato nella sua lunga carriera se ne vanno e il 20 aprile 2002 anche lui chiude per sempre gli occhi a Varenne-Saint-Hilare, in quella casa ai bordi della Marna che dagli anni Cinquanta era diventata il suo rifugio.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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