Il 14 maggio 2004 si svolge il primo dei due concerti romani con i quali gli Assalti Frontali presentano al loro pubblico l’album HSL. Il titolo va spiegato. HSL significa “Hic Sunt Leones”, lì ci sono i leoni, è meglio stare alla larga. Così i cartografi dell’Impero Romano contrassegnavano le aree africane fuori dal controllo del “loro” ordine. Che i leoni ci fossero davvero o meno non era poi così importante, l’essenziale era evidenziare che in quelle zone le legioni romane non garantivano nulla. L’acronimo HSL viene poi utilizzato dai “conquistadores” per segnare sulle mappe nautiche gli approdi da evitare nei loro traffici coloniali. Naturalmente a loro agio nei territori ribelli gli Assalti Frontali hanno scelto questa sigla per il nuovo album, il primo dopo cinque anni e dopo la rottura con la BMG. Cinque anni, un secolo, anzi un millennio, lo separano dal precedente Bandit sia per i testi che per il clima. Militant A, il deus ex machina del gruppo, che il 14 e 15 maggio è in concerto a Roma, conferma: «Il disco è diverso perché diversa è l’aria che si respira oggi. Bandit è del 1999 e risente del clima autunnale di quel periodo tormentato in cui il capitalismo trionfante sembrava non avere limiti. Noi stessi, io per primo, ragionavamo come un nucleo di resistenza culturale di lunga durata. C’era un po’ il senso del ripiegamento sia nella musica che nei testi. HSL invece raccoglie l’esplodere di un grande movimento internazionale, dei milioni di persone che nel cuore dei paesi occidentali hanno iniziato a far scricchiolare il nuovo ordine unipolare, la sua folle politica guerrafondaia e a gridare che un altro mondo è possibile». Quanto ha influito in questa svolta la rottura con una major come la BMG? «Chi lo sa? L’unica cosa certa è che dopo la rottura abbiamo preso il materiale registrato e l’abbiamo buttato iniziando a lavorare su un progetto nuovo». Alla fine avete ritrovato un filo antico, visto che questo album sembra il più vicino, per atmosfere e immediatezza, all’ormai storico Batti il tuo tempo. «È vero. Abbiamo abbandonato i codici da tribù, è esplicito, diretto e ci sembra stia conquistando anche i figli di quelli che ci seguivano ai tempi del nostro primo album». È una bestemmia chiamarlo pop? «No, se per pop si intende la capacità di entrare in rapporto con il pubblico abbattendo senza tanti filtri». Un bell’aiuto arriva anche dal groove dei Brutopop che pompa potente su ogni pezzo... «Ci sono loro, ma c’è anche l’energia che ci trasmette la salutare mobilitazione di questi anni». È naturale per chi ha sempre cercato di battere il suo tempo, ma questo che tempo è? «È il tempo dell’indignazione, della rivolta, della mobilitazione per fermare la guerra, mandare a casa i guerrafondai e cambiare il sistema. Ogni giorno che passa la guerra è più vicina e bisogna fermarla». Pessimista? «No, tutt’altro. La seconda potenza mondiale, quella che si mobilita nelle piazze di tutto il mondo può vincere, qui come in Spagna e ovunque. Un anno fa sono diventato padre di una bellissima bambina, ti pare che io possa essere pessimista?».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento