Il 24 maggio 1941 muore improvvisamente a Marsiglia la cantante Berthe Sylva, una delle protagoniste di primo piano della canzone francese degli anni Trenta. Ancora oggi, a decenni di distanza dalla sua scomparsa, la sua vita e, soprattutto, la sua morte sono fonte costante di supposizioni, ipotesi, illazioni in una mescola in cui diventa arduo distinguere tra fantasia morbosa e verità. Di questa situazione la cantante è, insieme, vittima e complice. È vittima perchè molto spesso le vicende vere o inventate della sua vita finiscono per oscurarne le notevoli qualità artistiche ma è anche complice perchè gran parte delle ricostruzioni scandalistiche nasce da sue misteriose allusioni a episodi drammatici, avventurosi ed esotici svoltisi negli anni che precedono il suo successo visto che Berthe Sylva è divenuta popolare soltanto dopo aver compiuto i quarant’anni. Le leggende sul suo personaggio nascono anche dal fatto che la sua stella ha brillato così intensamente da consumarsi in uno spazio temporale brevissimo. Una decina d’anni, infatti, separano il primo approdo al successo dalla scomparsa della cantante. In mezzo c’è la straordinaria avventura di un’artista che ha saputo conquistare il cuore di milioni di francesi grazie alle sue qualità vocali, e alla capacità quasi istintiva di adattarsi e utilizzare al meglio le innovazioni tecnologiche dell’epoca, dall’introduzione del microfono alle tecniche di registrazione. Il mistero di Berthe Sylva comincia dalla ricostruzione storica della sua nascita che secondo alcuni sarebbe avvenuta a Saint Brieuc nel 1886 e secondo altri a Lambézellec, un comune che oggi fa parte del territorio di Brest, il 7 febbraio 1885. Sua madre si chiama Anne Poher e suo padre Joseph Faquet. Quest’ultimo è un marinaio e, secondo la leggenda, sarebbe stato lontano da casa il giorno in cui sua figlia vedeva la luce. La piccola, registrata all’anagrafe con il nome di Berthe Francine Ernestine Faquet, cresce nelle strade del suo borgo natale. Le condizioni della famiglia non sono tali da consentire grandi illusioni sul futuro e la bambina è costretta ben presto ad abbandonare i giochi e le compagnie della sua età per dedicarsi al lavoro. Si racconta che mentre le sue coetanee sono ancora impegnate ad accudire le bambole, lei passi gran parte del suo tempo a fare commissioni per le signore che affidano i loro lavori di casa alla madre. Pian piano la bimbetta impara anche a spolverare, rassettare, lavare, insomma riesce a cavarsela in tutti i “mestieri di casa” che fanno della madre una delle più apprezzate “bonnes” (domestiche) del borgo dove vive. La piccola Berthe impara talmente bene che viene assunta a tempo pieno come “bonne” quando non ha ancora compiuto i quattordici anni. Siccome la famiglia che richiede i suoi servigi abita nella cittadina di Saumur, la ragazza lascia paese natale e genitori per andarsene a vivere da sola presso i suoi nuovi padroni. Di questo periodo, pettegolezzi a parte, non si sa con certezza quasi niente. L’unico elemento di verità è che Berthe negli anni seguenti resta incinta e dà alla luce un bambino di cui si disfa con grande rapidità. Il piccolo, registrato all’anagrafe con il nome di Henri, viene praticamente abbandonato e affidato alla famiglia d’origine di Berthe in quel di Lambézellec. Sempre secondo la leggenda la madre non avrebbe mai più avuto contatti con lui, salvo tre incontri quasi casuali e senza seguito ed Henri, divenuto adulto, abbia saputo della morte della madre assolutamente per caso e molto tempo dopo. Henri non è l’unica creatura messa al mondo da Berthe Sylva. Dopo di lui nasce anche Emilienne, una figlia ugualmente inaspettata e prontamente abbandonata a un gruppo di parenti disponibili a occuparsene. Quanto ci sia di vero e quanto di leggenda nella storia degli abbandoni nessuno può dirlo con certezza anche perchè, come raccontano i biografi e i cronisti dell’epoca quando si chiedevano a Berthe Sylva spiegazioni o informazioni su quel periodo della sua vita la risposta era sempre la stessa: «Lascia perdere, prendi un bicchiere e bevi con me!» Nonostante la difficoltà di discernere tra le storie e le leggende che si raccontano su Berthe Sylva, un dato sembra certo. Il suo debutto nel mondo della spettacolo avviene intorno al 1910, quando si è da poco liberata di Henri. Anche le testimonianze di questo periodo però sono contraddittorie e scontano un eccesso di illazioni e chiacchiere spesso messe in giro dalla stessa cantante negli anni seguenti. Si racconta di una serie di tournée che l’avrebbero portata a esibirsi sui palcoscenici di mezzo mondo, dall’America del Sud alla Russia, dalla Romania all’Egitto. A riprova che non sono tutte esagerazioni o ricostruzioni fantasiose c’è una foto realizzata negli anni della Prima Guerra Mondiale nella quale è raffigurata al fianco della celebre chanteuse Eugénie Buffet e dello chansonnier cieco René de Buxeuil. Proprio in quegli anni si fa conoscere e apprezzare per le sue doti interpretative dal taglio fortemente drammatico con canzoni come Mon gosse, Je n’ai qu’un maman o Ne quittez jamais votre enfant (Non abbandonate il vostro bambino), una sorta di scherzo del destino per lei, che s’è liberata così rapidamente dei suoi figli. Il tempo passa e la sua carriera appare simile a quella di tante cantanti da cabaret e da bistrot, apprezzate e applaudite dagli abitatori della notte ma pressoché sconosciute al grande pubblico. La svolta, inaspettata, arriva nel 1928 quando Berthe ha già superato la boa dei quarant’anni e si sta esibendo, con il solito buon successo, al “Caveau de la Republique” di Parigi. L’artefice delle sue fortune è il fisarmonicista e compositore Léon Raiter. L’ascolta cantare nel locale, ne resta impressionato e le chiede di esibirsi ai microfoni di Radio Tour Eiffel in uno spazio musicale da lui condotto e prodotto da un altro fisarmonicista che risponde al nome di Maurice Privas. La cantante, un po’ sorpresa, accetta e nel suo debutto radiofonico interpreta Les roses blanches, una canzone scritta dallo stesso Léon Raiter su un testo di Charles Louis Pothier. Il risultato è inaspettato e quasi incredibile. L’emittente riceve migliaia di lettere inviate da ascoltatori entusiasti che chiedono di poter riascoltare la voce di Berthe. La forza di penetrazione della radio ha trasformato la cantante del “Caveau de la Republique” in una star a più di quarant’anni. Dopo Les roses blanches Berthe Sylva lancia altre due canzoni nate dalla vena malinconica di Léon Raiter, On n’a pas tous les jours vingt ans e Grisante folie, entrambe destinate al successo. Nel 1929 registra per la Odéon il primo disco di una serie lunghissima. Si calcola che in tutta la sua carriera la cantante abbia registrato circa quattrocentocinquanta brani. Per tutti gli anni Trenta la sua popolarità tocca vertici altissimi e non mancano episodi di vera e propria follia da parte dei suoi ammiratori. Nel 1935 i fans marsigliesi in preda al furore parossistico dopo una sua esibizione distruggono le poltroncine dell’Alcazar e tentano di sfondare la porta del suo camerino per poterla toccare. Il successo non ne cambia però lo stile di vita, disordinato e sempre più spesso condizionato dall’amicizia con l’alcol . I soldi finiscono con stessa rapidità con la quale sono stati guadagnati. A volte molto più velocemente. Quando i nazisti occupano Parigi lei si rifugia a Marsiglia dove nel 1940 il suo nome fa bella mostra di se sul cartellone dell’Alcazar per oltre quindici giorni di repliche. Proprio in quella stessa città l’anno dopo muore. Succede all’improvviso il 24 maggio 1941. Non son passati che pochi mesi dalla sua ultima esibizione e qualche anno dai grandi trionfi eppure Berthe Sylva muore povera e praticamente sola. Con la fine dei soldi sono scomparsi quasi tutti gli amici. Ad accompagnarla nel suo ultimo viaggio verso il cimitero Saint Pierre di Marsiglia ci sono soltanto cinque persone due delle quali sono lo chansonnier Darcelys, suo fedele amico da sempre, e l’impresario Hervais, l’ultimo amore della sua vita.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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