Il 24 luglio 1937 nasce a Nichelino, in provincia di Torino, Piera Bensi, destinata a conquistare una grande popolarità in Francia con il nome d’arte di Pierette. La grande epopea degli chansonnier non sarebbe riuscita a superare i limiti del tempo e dello spazio se non avesse potuto contare su una lunga sequenza di interpreti capaci di innervarne le canzoni con nuovo vigore, nuovo slancio e nuovi stili. È stato scritto che qual grande periodo musicale è figlio anche della capacità della Francia di influenzare e inglobare artisti provenienti da paesi diversi come il danese Ulmer, l’armeno Aznavour, il belga Brel, il russo Gainsbourg, l’americana Josephine Baker, l’ebreo greco Georges Moustaki, gli italiani Montand, Reggiani, Rina Ketty e molti altri. Tutti francesi eppure tutti “stranieri”. È difficile per chi vive al di fuori dei confini francesi capire e assimilare i concetti di una cultura che è, insieme, nazionalista e aperta alle innovazioni e ai contributi esterni. Sembra un paradosso ma è la realtà. In parte una delle ragioni che stanno alla base di questo perenne laboratorio di cultura è la leggendaria ospitalità della Francia che, dalla rivoluzione in poi, non ha quasi mai negato un tetto e un posto dove rifugiarsi ai perseguitati di tutto il mondo. Grazie al “diritto d’asilo” arrivano nel “territorio libero” francese personaggi come la Baker, Moustaki, Aznavour o Montand. Altri invece vengono attratti dalla vivacità di un tessuto artistico che non alza muri ma si apre ai figli di tante culture aiutandoli a innestarsi sulla tradizione e a regalarle nuova linfa. Come è già stato scritto la Francia non è l’unico paese che nel corso della sua storia ha aperto le frontiere a profughi e popoli diversi, integrandoli e inserendoli nel proprio tessuto sociale, ma è l’unico la cui struttura culturale, soprattutto quella musicale, ha saputo attingere e innervarsi di nuove sfumature senza perdere contatto con le radici. In parte è accaduto negli Stati Uniti con il rock & roll, nato dalla fusione tra le musiche dei coloni bianchi e i ritmi degli schiavi neri, ma è stato un fenomeno per molti aspetti casuale e irripetibile. In Francia invece è proprio la struttura del sistema culturale che riesce ad attirare nuovi stimoli grazie alla sua duttilità inserendo nella schiera degli chansonnier i “nuovi francesi” provenienti da varie parti del mondo. Se oggi la polvere del tempo non è ancora riuscita a coprire e a cancellare brani scritti quasi un secolo fa il merito non è soltanto della straordinaria vivacità delle composizioni ma anche della capacità degli interpreti di mescolare il nuovo con l’antico, i ritmi moderni con la melodia della tradizione, realizzando una fusione che appare ogni volta miracolosa. Un’importanza fondamentale assumono anche le voci delle cantanti, les chanteuses, melodiose creatrici di emozioni capaci di filtrare le canzoni attraverso la loro sensibilità aggiornandole e adeguandole alle esigenze del pubblico e dello scorrere del tempo. A loro Jean Cocteau rivolge l’omaggio poetico più famoso dell’epoca degli chansonnier: «Parigi cesserebbe di essere Parigi se lo strascico notturno del suo lungo vestito/non fosse inghirlandato da queste meravigliose cantanti…/ragazze che ne interpretano l’anima poetica con grande amore e profondità». Sono proprio queste “meravigliose cantanti” a possedere il segreto e la magia di fermare il tempo. Sono le loro voci che rendono immortali i brani degli chansonnier riproponendoli a un pubblico di uomini e di donne che in qualche caso non erano neppure nati quando venivano composte. A loro va il merito di non aver rinchiuso in un museo le emozioni in musica di un periodo fantastico. Tra queste cantanti c’è Pierette, la voce che nei locali della turbolenta e affascinante Marsiglia degli anni Settanta ha ridato nuova vita e nuovo splendore a un repertorio che rischiava di essere cancellato dal delirio della disco-music. Come spesso accade la carriera artistica della giovane Piera inizia quasi per caso negli anni Cinquanta quando partecipa più per gioco che per convinzione a un concorso canoro per dilettanti e lo vince. Della giuria fanno parte alcuni personaggi di spicco del mondo musicale dell’epoca. Tra loro ci sono gli autori Giovanni D’Anzi, Carlo Alberto Rossi e Norberto Caviglia che hanno parole di elogio per la ragazza e le pronosticano un futuro luminoso in qualità di cantante: «Lei ha talento. Lo metta a frutto». Piera non se lo fa dire due volte. Tenace e determinata inizia non si sottrae alla fatica dello studio e dell’esercizio vocale. Tanto impegno dà subito i primi risultati e la ragazza vince il festival della canzone piemontese che si svolge a Torino al Teatro Alfieri. È il viatico definitivo per il mondo della canzone e Pierette diventa una delle cantanti più presenti sui cartelloni dei locali torinesi. Il suo repertorio attinge alla tradizione melodica di tutto il mondo e, in particolare, alle suggestioni che arrivano dalla Francia degli chansonnier. Nel 1961 mentre si esibisce al Moulin Rouge di Torino si accorge che tra il pubblico c’è Gilbert Bécaud, uno dei suoi autori preferiti. Pierette decide di cambiare la scaletta e anticipare un paio di brani composti dall’importante spettatore. Con un po’ di emozione intona le prime note e le prime parole di Le mur (Y a toujours un côté du mur à l'ombre/Mais jamais nous n'y dormirons ensemble/Faut s'aimer au soleil/Nus comme innocents/Se moquant des saintes âmes qui grondent nos vingt ans...) poi si rilassa e la sua voce diventa ferma, sicura e seducente come sempre. Al termine Bécaud l’applaude convinto. Lei ringrazia e si lancia in Croque mitoufle, un brano scritto da Bécaud nel 1958 e inserito nella colonna sonora del film omonimo diretto da Claude Barma nel quale il cantante recita al fianco di Michel Roux, Micheline Luccioni e Mireille Granelli. Al termine dell’esibizione Gilbert Bécaud si complimenta con lei e la invita ad andare a Parigi, ma la ragazza è costretta a declinare l’invito perchè i suoi impegni non glielo permettono. Il rifiuto opposto da Pierette all’invito di Bécaud per un’esibizione parigina non è frutto di spocchia o presunzione. La cantante, infatti in quel periodo ha già sottoscritto una serie di contratti che prevedono anche la sua esibizione di fronte a Mohammad Reza Pahlavi, l’ultimo Scià di Persia. A dividere gli impegni con lei ci sono anche personaggi di fama internazionale come Jacqueline François, la più famosa interprete di Mademoiselle de Paris, Harold Nicholas e altri. Pierette allaccia anche una fraterna amicizia con Farah Diba, la terza e ultima moglie del sovrano persiano. In quel periodo incontra poi il musicista Carlo Alessandri, un uomo che si rivela determinante per la sua carriera artistica e per la sua vita sentimentale. Pierette, infatti, entra a far parte della sua formazione orchestrale come voce solista e nel 1965 lo sposa. Proprio con l’ensemble di Alessandri si esibisce in moltissimi locali notturni di vari paesi europei. Negli anni Settanta, con un ritardo di una decina d’anni sull’invito di Bécaud arriva finalmente in Francia. Dopo una lunga serie di applaudite esibizioni al cabaret Le Rêve di Parigi si trasferisce sulle sponde del Mediterraneo diventando una delle stelle di prima grandezza delle notti musicali di Marsiglia. Il grande successo marsigliese di Pierette coincide con un periodo molto turbolento della città meridionale francese. Il clima che si vive nei locali è molto simile a quello portato sul grande schermo nel 1972 dal regista Josè Giovanni con il film “La scoumoune”, uscito in Italia con il titolo de “Il clan dei marsigliesi” e interpretato da Claudia Cardinale, Jean-Paul Belmondo e Michel Constantin. La malavita e le gang erano una componente stabile delle serate nei locali. «Erano i padroni della notte e c’era sempre un tavolo a loro riservato anche quando il locale era stracolmo di pubblico». Così ricorda quegli anni Pierette che si esibisce soprattutto al mitico Real Club di rue de Catalans. Negli anni Ottanta la sua attività diminuisce progressivamente fino al ritiro dalle scene. Oggi Pierette vive tra “le vieux port” di Marsiglia e la residenza della sua famiglia di origine a Rivanazzano, in provincia di Pavia.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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