Gli esperti della polizia calcolano in più di settantacinquemila il numero dei fans che il 18 agosto 1977, giorno dei funerali di Elvis Presley, circondano Graceland, la favolosa villa di Memphis nella quale il re del rock and roll ha vissuto fino agli ultimi giorni della sua vita in una situazione di alienante, pur se dorata, solitudine. Quella che è accorsa a dargli l’ultimo saluto è una folla disperata e piangente, non aliena da gesti di isteria, che mette in difficoltà anche il nutritissimo servizio d’ordine. A parte i soliti contusi e gli innumerevoli svenimenti, il bollettino della giornata contempla anche due morti, due ragazze travolte da un’automobile sbucata da chissà dove e piombata improvvisamente sulla folla. Tutta questa gente preme sui cordoni di sicurezza. Non capisce perché non può partecipare ai funerali. È costretta a viverli a distanza di sicurezza, ai margini della cerimonia ufficiale, cui sono stati ammesse solo centocinquanta sceltissime persone. La salma di Elvis Presley viene inumata nel cimitero di Forest Hill a Memphis. Il quarantaduenne re del rock and roll è morto due giorni prima, all’alba del 16 agosto, stroncato da un collasso cardiaco dopo essere stato trovato dalla sua compagna Ginger Alden privo di sensi e con il viso affondato nella moquette del corridoio che porta in bagno. Immediatamente trasportato al Baptist Memorial Hospital di Memphis è spirato intorno all’una e mezza del pomeriggio. Con lui se ne va uno dei simboli della grande rivoluzione musicale degli anni Cinquanta, nata con l’esplosione del rock and roll. Il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, esprimendo il suo cordoglio per la scomparsa, dichiara «La morte di Elvis Presley priva il nostro paese di una parte importante della sua cultura. Egli è stato unico ed irripetibile... La sua musica e la sua personalità hanno saputo fondere il country dei bianchi con il blues dei neri cambiando per sempre la cultura del popolo americano».
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