Il 21 agosto 1964 a Milano viene proiettato per la prima volta “Le pistole non discutono”. Il film, diretto da un abile artigiano delle pellicole d’avventura come Mario Caiano, è il secondo western dopo “Duello nel Texas” prodotto dalla Jolly Film di Arrigo Colombo e Giorgio Papi che hanno come partner la spagnola Trio Film e la tedesca Constantin. L’impegno economico è notevole. Il costo preventivato è di duecentoquaranta milioni di lire, trenta dei quali rappresentano il cachet concordato con il “vecchio” cow boy statunitense “prestato” da Hollywood Rod Cameron. Sono tanti soldi, ma la società di produzione romana pensa di poter ottimizzare l'investimento utilizzando le scene e i macchinari per girare un altro lungometraggio. Si tratta di un western a basso costo diretto da Sergio Leone il cui obiettivo principale è quello di arrotondare gli incassi della Jolly Film. In realtà il destino ha in serbo una sorpresa. Il film di Leone, uscito nelle sale circa un mese dopo il film di Caiano con il titolo “Per un pugno di dollari”, segna l’inizio del “western all’italiana”, un genere destinato a lasciare un segno importante nella storia del cinema. “Le pistole non discutono”, invece, resta nella memoria collettiva come “l’ultimo western prima di Leone”, cioè l’ultimo esempio di una produzione italiana di film western “d’imitazione americana”. Nonostante la fama che lo circonda “Le pistole non discutono”, è un film decisamente meno “americano” di quanto si possa ritenere. Non è poi così strano visto che nel cinema, come in ogni ambito culturale, nulla nasce all’improvviso e la genialità del singolo in genere accelera e sintetizza processi che sono già in atto. Il western all’italiana non fa eccezione. Se Sergio Leone può essere considerato il primo a definire in modo compiuto i “codici di genere”, altri in quegli stessi mesi concorrono a fissarne contorni e ambiti, come Sergio Bergonzelli con “Jim, il primo” o Sergio Corbucci con il suo “Minnesota Clay”. In questo quadro il film diretto da Mario Caiano nonostante il suo impianto decisamente tradizionale come il protagonista anziano alla John Wayne o l’arrivo della cavalleria nel finale dovrebbe essere rivalutato. Anch’esso, infatti, contiene innovazioni che in qualche modo anticipano alcune caratteristiche del western all’italiana. È il caso, per esempio, della figura di Billy, il bandito paranoico che legge la Bibbia, più vicino ai cattivi senza sfumature degli “attori di parola” del cinema mitologico italiano cui si sono ispirati Leone e i suoi epigoni che ai complicati cattivi hollywoodiani. Decisamente più in linea con il western all’italiana che con la tradizione “americana” appare poi l’ostentazione delle ferite, con il sangue rosso vivido, nelle sequenze della morte di Billy colpito dal coltello di Santero o della cauterizzazione della ferita di George. In linea con questa impostazione appare anche la violenza esibita nel massacro finale dei banditi messicani.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
21 agosto, 2020
21 agosto 1964 - L’ultimo western italiano prima della rivoluzione di Leone
Il 21 agosto 1964 a Milano viene proiettato per la prima volta “Le pistole non discutono”. Il film, diretto da un abile artigiano delle pellicole d’avventura come Mario Caiano, è il secondo western dopo “Duello nel Texas” prodotto dalla Jolly Film di Arrigo Colombo e Giorgio Papi che hanno come partner la spagnola Trio Film e la tedesca Constantin. L’impegno economico è notevole. Il costo preventivato è di duecentoquaranta milioni di lire, trenta dei quali rappresentano il cachet concordato con il “vecchio” cow boy statunitense “prestato” da Hollywood Rod Cameron. Sono tanti soldi, ma la società di produzione romana pensa di poter ottimizzare l'investimento utilizzando le scene e i macchinari per girare un altro lungometraggio. Si tratta di un western a basso costo diretto da Sergio Leone il cui obiettivo principale è quello di arrotondare gli incassi della Jolly Film. In realtà il destino ha in serbo una sorpresa. Il film di Leone, uscito nelle sale circa un mese dopo il film di Caiano con il titolo “Per un pugno di dollari”, segna l’inizio del “western all’italiana”, un genere destinato a lasciare un segno importante nella storia del cinema. “Le pistole non discutono”, invece, resta nella memoria collettiva come “l’ultimo western prima di Leone”, cioè l’ultimo esempio di una produzione italiana di film western “d’imitazione americana”. Nonostante la fama che lo circonda “Le pistole non discutono”, è un film decisamente meno “americano” di quanto si possa ritenere. Non è poi così strano visto che nel cinema, come in ogni ambito culturale, nulla nasce all’improvviso e la genialità del singolo in genere accelera e sintetizza processi che sono già in atto. Il western all’italiana non fa eccezione. Se Sergio Leone può essere considerato il primo a definire in modo compiuto i “codici di genere”, altri in quegli stessi mesi concorrono a fissarne contorni e ambiti, come Sergio Bergonzelli con “Jim, il primo” o Sergio Corbucci con il suo “Minnesota Clay”. In questo quadro il film diretto da Mario Caiano nonostante il suo impianto decisamente tradizionale come il protagonista anziano alla John Wayne o l’arrivo della cavalleria nel finale dovrebbe essere rivalutato. Anch’esso, infatti, contiene innovazioni che in qualche modo anticipano alcune caratteristiche del western all’italiana. È il caso, per esempio, della figura di Billy, il bandito paranoico che legge la Bibbia, più vicino ai cattivi senza sfumature degli “attori di parola” del cinema mitologico italiano cui si sono ispirati Leone e i suoi epigoni che ai complicati cattivi hollywoodiani. Decisamente più in linea con il western all’italiana che con la tradizione “americana” appare poi l’ostentazione delle ferite, con il sangue rosso vivido, nelle sequenze della morte di Billy colpito dal coltello di Santero o della cauterizzazione della ferita di George. In linea con questa impostazione appare anche la violenza esibita nel massacro finale dei banditi messicani.
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