Il 27 ottobre 1962 in una Milano blindata muore investito da una camionetta della polizia Giovanni Ardizzone. La sua sola colpa è quella di essere lì per manifestare a favore della pace. Sono giorni difficili e la terra è sull'orlo della catastrofe nucleare. In quella che passerà alla storia come la "crisi dei missili", gli Stati Uniti fanno suonare le trombe di guerra contro un piccolo stato "canaglia", colpevole di aver cacciato le multinazionali nordamericane e di avere scelto la via socialista: Cuba. Nell'immaginario collettivo è la Cuba dei "barbudos", di Fidel Castro, Che Guevara e Camilo Cienfuegos, la "Isla grande" che ha dimostrato al mondo come anche nel cortile di casa degli imperialisti sia possibile dare un senso concreto a parole come libertà, socialismo e comunismo. Come sempre, come oggi, anche allora c'è chi non se ne accorge, chi guarda indeciso, chi si schiera dalla parte del più forte e chi si mobilita, oltre che per la pace, anche per l'autonomia e l'indipendenza di Cuba socialista. Tra questi ultimi c'è Giovanni Ardizzone, il ventunenne figlio unico del farmacista di Castano Primo, un borgo nelle vicinanze di Milano. Studente universitario, iscritto al secondo anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia, frequenta il collegio universitario Fulvio Testi ed è un militante comunista. La sua vita quotidiana non è diversa da quella di tanti giovani di oggi. Le sue giornate passano veloci scandite da discussioni, volantinaggi, riunioni, cinema e musica. Quando, come, in tante altre città italiane, la Camera del Lavoro di Milano organizza una grande manifestazione pacifista e di protesta contro l'aggressione statunitense, Giovanni e i suoi compagni sono, come sempre, in prima fila. È il 27 ottobre 1962, un sabato d'autunno. In piazza c'è molta gente e sono tanti, tantissimi i giovani. Dopo il discorso del segretario della CGIL è previsto un corteo per le vie del centro storico di Milano. Alla partenza non c'è particolare tensione. Nonostante la nutrita presenza di polizia, in particolare del Terzo Battaglione della Celere, corpo speciale di intervento anti-manifestazioni, giunto appositamente da Padova, non si registra alcun incidente. Quando la testa del corteo arriva in piazza del Duomo, però, il clima muta all'improvviso. Senza alcuna ragione plausibile la polizia riceve l'ordine di disperdere i manifestanti pacifisti. Scoppia un inferno di cariche, pestaggi, mentre il rombo dei motori delle jeep diventa la colonna sonora di un terrore del tutto ingiustificato. Impreparati all'attacco a freddo i manifestanti tentano di reagire con lanci di pietre e bastoni, ma il rapporto di forza è impari. Le gimkane motoristiche li costringono a rifugiarsi nelle vie adiacenti alla piazza alla mercé dei poliziotti che si scatenano in una vera e propria caccia all'uomo. Dove gli spazi sono più larghi le camionette si gettano a pazza velocità contro i partecipanti al corteo senza fermarsi davanti a nulla. Giovanni Ardizzone viene investito e travolto davanti alla Antica Loggia dei Mercanti, di fronte al Duomo. Poco più in là altri due partecipanti al corteo restano al suolo. Sono il muratore Nicola Giardino di 38 anni e l’operaio Luigi Scalmana, di 57 anni. Da subito si capisce che per il giovane studente non c'è nulla da fare. Giovanni Ardizzone muore poche ore dopo in ospedale. Agli altri due feriti va meglio. Dopo essere stati in fin di vita per alcuni giorni, riusciranno a riprendersi. La notizia dell'uccisione di Giovanni fa il giro della città. Nella notte tra il sabato e la domenica, gruppi di giovani operai, studenti e cittadini arrivano alla spicciolata nel luogo dove è stato ucciso, si siedono per terra e danno vita a una silenziosa veglia. Il giorno dopo, domenica 28 ottobre, i piccoli gruppi sono diventati una folla impressionante che occupa gran parte della Piazza del Duomo e dei dintorni. Il luogo dell'assassinio è sommerso da fiori e cartelli. I parlamentari comunisti e della sinistra presentano note di protesta e interrogazioni urgenti contro una versione "ufficiale" del ministero dell'interno, avallata da gran parte della stampa che parla di “banale, per quanto spiacevole, incidente stradale”. Lunedì 29 ottobre gli operai delle fabbriche milanesi entrano in sciopero e nelle università e nelle scuole superiori di Milano e hinterland vengono sospese le lezioni in segno di protesta contro l’assassinio di Ardizzone. Nella notte tra lunedì e martedì la foto del giovane caduto viene collocata nel vicino Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza, dove continua il pellegrinaggio della popolazione milanese e lombarda. L'emozione e lo sdegno per l'assassinio non si fermano, però, a Milano. In tutto il paese vengono indetti scioperi e manifestazioni di studenti e operai. Giovanni Ardizzone non resta solo neppure nel suo ultimo viaggio. Il giorno dei funerali Castano Primo è invaso da migliaia di persone, arrivate da ogni parte d'Italia per dare l'estremo saluto al giovane comunista caduto combattendo per la pace. Ispirandosi alla vicenda di Giovanni, il cantautore Ivan Della Mea scrive la sua Ballata per l’Ardizzone.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento