Il 10 dicembre 2002 Ute Lemper inizia a Udine una breve tournée italiana destinata poi a toccare Venezia, Bologna e Milano. Le sue straordinarie qualità vocali sono note, così come la sua ecletticità artistica che le consente di passare con disinvoltura dal repertorio jazz e pop alle esibizioni con la London Symphony Orchestra. C'è, però, un lato di questa straordinaria artista da molti avvicinata a Marlene Dietrich che il pubblico italiano conosce poco. Ute Lemper non è soltanto una voce, ma una donna impegnata, capace di scelte provocatorie e coraggiose, soprattutto contro il pericoli del risorgente neonazismo nel suo paese d'origine e nel mondo. La provocazione più eclatante risale a qualche anno prima quando, in diretta televisiva da Berlino, osò aggiungere la sua voce all'esecuzione dell'inno nazionale tedesco, declamando un proclama contro il razzismo. Non è un mistero che i tedeschi la ritengano un personaggio scomodo e imbarazzante, da applaudire, ma anche da temere. Nessuno è profeta in patria, tantomeno lei. I suoi connazionali si spellano le mani durante i concerti, ma non amano quella donna affascinante che mette il dito sulle piaghe della storia e sulle ingiustizie sociali. Ute Lemper per la Germania è una presenza fastidiosa che non si è fatta condizionare dal successo e ama ricordare ai tedeschi ciò che essi vorrebbero per sempre rimuovere. Lei, del resto, ha detto più volte di non riconoscersi in alcun patria e qualche anno fa ha "osato" replicare direttamente a chi voleva mummificarla nel ruolo del "nuovo Angelo Azzurro": «Non sono la nuova Lola e non mi sento tedesca. In Germania non sei quello che vali e quello che vuoi esprimere. Meglio vivere a Parigi». La sua patria è il mondo e l'arte è per lei un'esperienza globale aperta a molteplici interessi che vanno dalla danza alla pittura, dal giornalismo alla recitazione, spesso mescolati con l'impegno politico e sociale. La sua vita artistica è lo specchio di questa sua multiforme capacità di espressione. In Ute oggi convivono felicemente gli studi di canto dell'infanzia, quelli all’Accademia della Danza di Colonia e alla Scuola d’Arte Drammatica di Vienna, le esibizioni nei piano-bar a quindici anni, l'esperienza punk con la Panama Drive Band, i musical e l'amore per Kurt Weill. Si mescolano e convivono con la disinvoltura di chi ritiene l'arte un mezzo per comunicare, oltre che per esprimersi. L'amore per Weill nasce proprio dalla voglia di rompere con gli schemi classici del sentimentalismo romantico: «Le canzoni di Weill sono intrise di sehnsucht (malinconica nostalgia), ma in esse il romanticismo è continuamente rotto dall'aggressività e non diventa mai sentimentalismo…» E a chi le ricorda che questa è una peculiarità del popolo tedesco lei risponde che «questo stato d'animo non è solo dei tedeschi, lo si ritrova nei norvegesi, in Strindberg, come pure negli scrittori russi…. In fondo è sempre presente in chi vive in situazioni limite sottoposto a forti pressioni emotive». La voglia di non restare prigioniera di stereotipi ne alimenta l'intera esperienza artistica combinando la musica a interessanti parentesi cinematografiche, con registi come Peter Greenaway e Robert Altman, alla danza, il suo primo amore cui torna con uno spettacolo di Maurice Bejart, alla pittura e alla parola scritta. Nonostante tutto, però, non possiamo neanche noi sfuggire al parallelo con Marlene Dietrich. Nonostante le sue resistenze (sappiamo che non ci amerà più), ci sono ragioni fondate nel fatto che per una parte della critica e per l'opinione pubblica Ute Lemper sia sempre più Dietrich, soprattutto oggi. Troppi i segni evidenti per non farci caso: una rapida e folgorante scalata al successo, un fascino che va al di là della pur notevole avvenenza, e uno sguardo che ipnotizza. A tutto ciò si aggiunge anche il distacco dal paese d'origine per una scelta esistenziale (gli invidiosi la chiamano snobistica) supportata da motivi politici. Ieri la Dietrich scelse di lasciarsi dietro alle spalle la Germania rifiutando di cantare per i nazisti e la sua più che una fuga divenne una scelta di campo. Oggi Ute Lemper accompagna il suo rifiuto di scegliere una patria con la insopprimibile voglia di non assistere indifferente a ciò che accade. Il suo non è soltanto un rifiuto, ma un impegno contro quei vizi che di volta in volta ama chiamare con il loro nome: intolleranza, razzismo o neonazismo. Il 10 dicembre 2002 arriva in Italia per regalare un po' della sua arte a un paese come tanti di quel mondo che lei considera la sua unica vera patria.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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