«Direte che sono un sognatore, ma non sono l'unico». Questa frase presa in prestito dal testo di Imagine è incisa sul basamento della statua in bronzo di John Lennon realizzata dallo scultore José Villa Soberon che viene inaugurata l’8 dicembre 2000, in un parco dell'Avana, a Cuba. La scultura, che lo ritrae in camicia, seduto su una panchina, sarebbe piaciuta al buon Lennon. Non possiamo, però, giurare sulla sua approvazione per le celebrazioni del ventennale della sua morte a pochi mesi dal suo sessantesimo compleanno, festeggiato proprio nello stesso anno perché «quelli come lui non muoiono mai». Avrebbe probabilmente irriso i sacerdoti degli "anniversari-ombra". Le sue celebrazioni postume sembrano un paradosso ma non lo sono. Sono figlie dei tempi. È il destino dei poeti mediatici di questi anni confusionari sempre in bilico tra emozioni, eventi e mercato. E forse un po' di ragione ce l'ha anche sua sorella Julia che, con rabbia, chiede alle autorità di Liverpool di annullare le commemorazioni ufficiali della morte perché «non si celebra un assassinio».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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