Il 26 aprile 1921 è un sabato. La serata tiepida che anticipa l’estate invoglia a uscire e i genitori di Luciano Tajoli non sono diversi dal resto del mondo. Mamma Antonia chiede a papà Francesco di accompagnarla a fare quattro passi. «Luciano dorme come un ghiro come sempre. Lasciamo la porta socchiusa e chiediamo alla vicina di controllarlo ogni tanto, nel caso si svegliasse, ma sai bene che non succede mai. Fino a domani mattina il piccolo dormirà». Il giorno dopo è domenica e Francesco non deve andare a lavorare. Prende sottobraccio la moglie ed esce con lei nella strada. Quando rientrano il campanile ha già battuto il tocco delle undici e mezza. Ringraziano la vicina e si preparano ad andare a letto. Mamma Antonia, come sempre, si china sul piccolo Luciano per stampargli sulla fronte un silenzioso bacio della buonanotte. Quando le labbra sfiorano la pelle del bambino riceve un’impressione di calore. Allunga una mano per controllare: Luciano ha la fronte molto calda. Sembra abbia la febbre. Chiama papà Francesco. «Aiutami, Luciano è ammalato. Potrebbe essere qualcosa di grave!». L’uomo cerca di tranquillizzarla. Insieme cercano freneticamente il termometro, gli misurano la temperatura e la linea argentea del mercurio si ferma in prossimità del segno che indica i quaranta gradi. Il bambino, che nel frattempo si è risvegliato, si lamenta debolmente. L’uomo si riveste e corre nella notte a cercare aiuto. Alle due ritorna accompagnato dal medico di famiglia. Luciano ora piange forte e agita le manine come volesse liberarsi da qualcosa che lo disturba. Il medico lo visita, ma appare perplesso: «Non so. Non riesco a capire. Stomaco, polmoni e vie respiratorie sono a posto. Apparentemente il bambino non ha niente. Non ci resta che seguire il corso della malattia e attendere...» La febbre che sembra consumare Luciano Tajoli non accenna a diminuire e il piccolo si lamenta sempre più forte, come se il suo corpo fosse attraversato da un dolore acutissimo. Gli strilli arrivano in strada, attraversano le vie sonnacchiose del quartiere quasi volessero chiedere aiuto. Tutti capiscono che in casa Tajoli c’è qualcosa che non va. Alle prime luci dell’alba i vicini si precipitano nel piccolo appartamento pronti a offrire aiuto e, soprattutto, consigli alla giovane coppia. Mamma Antonia, disperata di fronte al pianto continuo del piccolo implora papà Francesco di cercare un altro medico, uno che possa capire cos’ha suo figlio, cosa lo ha ridotto così, quale sia la ragione del male che lo tormenta. «È domenica. Come faccio a trovare un medico? Oltre al nostro non ne conosco nessuno. E poi il nostro ha detto che dobbiamo aspettare...». Interviene una vicina: «Glielo do’ io l’indirizzo di un dottore bravo, ma abita in centro...». L’uomo memorizza le indicazioni e, nella mattina un po’ distratta del giorno di festa, corre come un pazzo per la città deserta a cercarlo. Con l’arrivo del nuovo medico sembra ripetersi un film già visto. Visita accuratamente il bambino, lo ausculta e poi allarga le braccia: «Non capisco. È uno strano male. Non vorrei che... ma no... Eppure potrebbe essere. Non vorrei allarmarla, signora, ma da quello che ho letto, alcuni sintomi sembrano quasi quelli della ‘paralisi infantile’. È una malattia nuova che sta dando luogo a varie epidemie. La chiamano poliomielite e non è facile da curare. Ma prima di fasciarci la testa stiamo a vedere...». La donna prega e veglia accanto alla culla mentre passano lente le ore di quella triste domenica. Verso sera la febbre inizia a calare. Il bambino si lamenta sempre meno e pian piano il viso riprende i colori normali. «È passata. Guarda Francesco, sta meglio. Altro che paralisi infantile, il mio bambino è guarito. Dio, che paura...» Lo prende in braccio, lo appoggia in piedi sul tavolo e, con terrore, si accorge che Luciano non fa più forza sulle gambe. Lo alza e lo rialza ma i due arti si afflosciano e ricadono inerti. È poliomielite.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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