Il 14 luglio 2003 muore André Claveau, un artista che ha attraversato da protagonista nel bene e nel male oltre cinquant’anni di storia dello spettacolo francese. Amato per la sua voce, ma soprattutto per le sue straordinarie performances radiofoniche, quando i nazisti occupano la Francia abbozza e diventa uno degli animatori della principale radio di propaganda degli occupanti e del governo da loro insediato. Processato e condannato per collaborazionismo, dopo aver scontato la pena di un periodo di interdizione dall’attività artistica, torna a esibirsi e, a differenza di altri artisti di quel periodo, viene perdonato dal pubblico che l’accoglie con l’affetto di sempre. La sua voce fa innamorare più di una generazione e il fascino delle sue interpretazioni conquista anche il cinema, soprattutto negli anni Cinquanta, pervasi dell’entusiasmo, dalle speranze di ricostruzione e soprattutto dalla voglia di lasciarsi alle spalle la dura eredità della guerra. Claveau capisce questi sentimenti, li annusa quasi istintivamente e riesce a rimettersi in carreggiata dopo il non breve periodo d’assenza forzata dalle scene che per altri artisti è stato fatale. In Italia il grande pubblico si accorge di lui relativamente tardi, nel 1958, quando con la canzone Dors, mon amour, vince inaspettatamente l’Eurofestival o, se lo si vuole chiamare con il suo nome completo, il Festival della Canzone Europea al quale partecipano gli artisti dei vari paesi dell’Europa televisiva collegata dall’Eurovisione. André Claveau nasce a Parigi il 17 dicembre 1911, anche se qualche biografia corretta da uffici stampa un po’ compiacenti sposta la sua nascita al 1915. Figlio di un tappezziere viene presto indirizzato verso studi attinenti alla professione del padre. Quando porta ancora i pantaloni corti viene ammesso nella scuola della Compagnie des Arts Français in rue du Faubourg Saint-Honoré, un luogo prestigioso dal quale si dice escano gli scenografi e i decoratori di scena “più bravi del mondo”. Vero o no, il giovane André Claveau dimostra di avere un certo talento e cerca di trarne subito qualche vantaggio disegnando gioielli, scenografie teatrali e manifesti di personaggi dello spettacolo. La sua passione segreta è, però, il canto. Con la sua voce da baritono leggero si cimenta in canzoni e brani d’opera per gli amici o quando gli capita. Per molto tempo l’idea che la canzone possa diventare l’unica professione della sua vita non lo sfiora nemmeno per sbaglio nemmeno nei sogni. Sono gli amici a insistere perché cominci a pensare alla possibilità di farne una professione, magari affinando con lo studio e la pratica le già notevoli tecniche vocali. Alla fine, come spesso succede, è il caso a decidere per lui. L’elemento decisivo è rappresentato da “Premières chances”un concorso per cantanti dilettanti organizzato dalle poste parigine nel 1936 al quale partecipa più per gioco che per ambizione. Canta la canzone Chez moi, il pubblico l’applaude calorosamente e la vittoria è sua. Da quel momento inizia la sua carriera musicale e la sua corsa verso il successo che, come lui stesso ha raccontato, non è arrivato improvvisamente, ma si è costruito passo dopo passo. Per un paio d’anni si esibisce nei locali notturni accompagnato dal suo amico pianista Alec Siniavine mentre il suo nome pian piano cresce d’importanza sui manifesti che annunciano i protagonisti della serata. Nel 1938 fa anche il suo debutto nel cinema con il film “Champions de France”. Alla fine del decennio il suo stile personalissimo che si colloca a metà tra quello dei crooners d’oltreoceano e quello dei baritoni d’operetta, gli vale il soprannome di “Principe della Chanson de Charme”. Tra i protagonisti della notte parigina con all’attivo récital nei locali più prestigiosi e conosciuti come il Mogador, il Pacra e l’Européen, quando la capitale viene invasa dalle truppe d’occupazione con la croce uncinata sugli stendardi non cambia le sue abitudini. Non è tra le persone che si accalcano ai bordi delle strade per applaudire i nuovi padroni, ma non è neppure tra coloro che sono disposti a rinunciare alla carriera pur di non essere complice. Come una parte degli artisti della sua generazione fa finta di non occuparsi di politica e continua a lavorare come se niente fosse. Non ha particolare simpatia per gli occupanti e i loro manutengoli francesi, ma non per questo pensa sia un suo dovere opporsi. A partire dal 1940 diventa il conduttore e l’animatore di una trasmissione musicale su Radio-Paris, l’emittente controllata dagli occupanti nazisti, che lo fa diventare popolarissimo in particolare tra il pubblico femminile. In quel periodo centra un successo dopo l’altro con canzoni come Tout en flânant, J’ai pleuré sur tes pas, Évangeline e, soprattutto la versione maschile di quell’Attends-moi mon amour che appartiene anche al repertorio di Léo Mariane e nella quale si percepisce la malinconia di chi vive in un paese dove i destini delle persone sfuggono al loro controllo e sono in balia degli eventi. Con la Liberazione Parigi si libera di un incubo e comincia a fare i conti con se stessa e con coloro i quali hanno collaborato con l’occupante tedesco. C’è chi si è macchiato di crimini anche feroci, chi ha collaborato senza partecipare materialmente ad alcun crimine ma li ha tollerati quando non coperti e chi, come André Claveau, non si è proprio curato di ciò che accadeva, come se l’artista potesse vivere in una sorta di mondo separato da quello in cui vivono i comuni mortali. La sua unica difesa è l’ammissione di una colpa inconsapevole. La corte incaricata di giudicarlo prende per buona questa impostazione e decide di non infierire. Alla fine del procedimento che lo riguarda non c’è né la condanna a morte né il carcere ma un decreto che gli impedisce di esibirsi in locali pubblici, alla radio o davanti alla cinepresa fino ai primi mesi del 1946. Per altri artisti questa decisione finisce per essere la pietra tombale di una carriera, ma per Claveau no. Quando torna il pubblico non l’ha dimenticato e, soprattutto, è disposto ad accettarlo per quello che è. Come agli inizi della sua carriera ricomincia senza fretta passando dall’operetta ai locali e infine a Radio Luxembourg dove ritrova il pubblico sempre entusiasta delle sue ammiratrici. Alla fine degli anni Quaranta André Claveau è di nuovo uno degli artisti di maggior successo della scena musicale francese. A conferma di questo fatto c’è il contratto siglato nel 1949 con la casa discografica Polydor, per la quale inciderà brani destinati a restare nella storia e nell’immaginario della generazione del dopoguerra come Étoile des neiges, Cerisier roses et pommier blanc, Gigi, Fou de vous, Domino, Sous une ombrelle à Chantilly e tanti altri tra i quali spicca La petit diligence con cui vince il Gran prix du Disque del 1951. Per tutti gli anni Cinquanta i successi si susseguono a ritmo costante mentre anche il cinema si avvale della sua popolarità e della sua simpatia affidandogli ruoli in linea con il suo personaggio in vari film. Nel 1958 vince il già citato Eurofestival e poi comincia a capire che i tempi stanno cambiando. All’alba degli anni Sessanta anche in Francia arrivano gli echi della rivoluzione del rock and roll mentre una nuova generazione di chansonniers sta approdando al successo. A differenza di altri artisti che tentano di adeguare il proprio stile, André Claveau preferisce diminuire il suo impegno fino a ritirarsi definitivamente dalle scene. Lui, che è stato accusato di aver saputo adattarsi quasi con indifferenza a ogni mutamento, di fronte al tempo che passa preferisce evitare riciclaggi stilistici che non gli appartengono. «Io credo di essere soltanto il cantante della mia generazione». Si ritira e se ne va in campagna a ritemprare lo spirito e il fisico. Non torna più sulle scene fino alla morte che lo coglie a novantun anni in quel di Brassac il 14 luglio 2003.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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