Il 6 ottobre 2004 inizia in Italia quello che negli ambienti dell’indie rock è considerato un po’ il tour dell’anno. Ci si riferisce all’accoppiata tra la genialità stralunata di Devendra Banhart e i giochi sonori sottili e metafisici delle sorelle Casady, in arte CocoRosie. La notizia non è tanto il fatto che arrivino nel nostro paese (sia Banhart che le CocoRosie hanno già fatto più di una capatina da queste parti), ma l’idea di accoppiarli, di farli salire uno dopo le altre sullo stesso palco in un momento felice della loro carriera. La critica in quel periodo ha definito, senza aggettivi o filtri di moderazione, “un genio” Devendra Banhart, una sorta di meticciato naturale in cui si incrociano Venezuela, India e Stati Uniti. Alchimista dei sentimenti sta regalando al mondo emozioni fortissime che affondano le loro radici nelle atmosfere degli anni Settanta e nei colori di un mondo che non esiste più se non nei sogni e nella nostalgia. I suoi tempi non sono quelli del marketing. Non si è ancora raffreddato il successo dell’album Rejoicing in the hands che già incalza un nuovissimo lavoro in studio, Niño rojo, un disco capace di incarnare fino in fondo l’acid folk dei grandi concerti a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. La strada su cui si muove è quella dei grandi cantautori americani, fatta di canzoni leggere in cui basta il suono della chitarra acustica per ritrovarsi nella scena finale di “Zabriskie Point”. Sembra non curarsi dell’essere diventato un caso discografico. In ogni situazione il suo atteggiamento è quello di chi si è trovato per caso in un posto lontanissimo da quello in cui avrebbe voluto essere. La leggerezza e la semplicità sono il risultato di un lavoro compositivo che sembra quasi giocare con la memoria e le emozioni di chi ascolta. Nei suoi brani, di volta in volta, si possono ritrovare l’essenzialità del deserto, i colori della psichedelia, gli echi del glam, ma anche del blues targato Robert Johnson o delle menate solitarie di Tim Buckley. Dal vivo queste caratteristiche vengono amplificate dal personaggio. È come se Tom Waits al posto di pestare i tasti nei bar fumosi, avesse imbracciato la chitarra e si fosse lasciato conquistare dalle comuni hippie. Sul palco appare indifferente, quasi fosse sospeso per aria. Imbraccia la chitarra e senza alzare mai il volume della voce inizia a raccontare le sue storie seduto nella posizione del loto. A complicare e rendere più stuzzicante il tour che sta per partire c’è, poi, il duo femminile delle Coco Rosie, formato da Sierra e Bianca Casady, due sorelle americane cittadine del mondo, una “brava” e una “cattiva” ragazza legate da un intricato rapporto artistico più solido della comunione di sangue. Sierra, la brava ragazza senza grilli per la testa, ha nel suo bagaglio esperienze gospel e lunghi studi da cantante lirica. Bianca, invece, è irrequieta fin da bambina. Si fa affascinare dalla politica, dai tatuaggi, dalle pulsioni sociali e per lungo tempo vive sgolandosi a un angolo di strada con un cappello rivolto ai passanti. La vita finisce per riunirle lontane da casa in un appartamento parigino nel 18° distretto dove decidono di dare vita alle CocoRosie e pubblicano La maison de mon rêve, un album secondo loro ispirato «…alle finestre appannate, agli infiniti giorni di pioggia, al constante sibilo del bollitore e al suono lontano di un'ambulanza».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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