Il 15 novembre 1976 muore il cantante e attore Jean Gabin, l’imponente attore e chansonnier il cui personaggio cinematografico di rude e concreto proletario capace di farsi valere in un mondo di pescecani, ha commosso, esaltato e affascinato più d’una generazione in Francia come in gran parte dell’Europa. Figlio di un’epoca di grandi contrasti e di conflitti sanguinosi ha saputo innervare le speranze di riscatto delle classi subalterne portando sullo schermo gli eroi di un mondo precario, uomini capaci di reagire alle batoste della vita con la forza della disperazione per i quali l’amicizia e la solidarietà diventano un vincolo forte come una corazza. Con lui nel periodo compreso tra le due devastanti guerre mondiali sono arrivate sul grande schermo le speranze, le illusioni e anche le paure delle classi costrette a subire la storia e nello stesso tempo a viverne in prima persona le conseguenze. Proprio in quegli anni la figura dell’attore rischia di offuscare e affievolire fino a quasi farla scomparire quella dello chansonnier che ha conquistato gli abitatori della notte parigina con le sue esibizioni. Se non la cancella è perchè lo stesso Jean Gabin provvede a rinnovarne i contorni tornando di tanto in tanto alla canzone, il primo e mai completamente abbandonato amore artistico della sua lunga e fortunata carriera. Nonostante alcune biografie gli regalino due anni facendolo nascere nel 1906 Jean Gabin nasce il 17 maggio 1904 al numero 23 di Boulevard Rochechouart a Parigi. All’anagrafe viene registrato come Jean Alexis Moncorgé ed è figlio d’arte. Suo padre infatti è Ferdinand Joseph Moncorgé, un attore e cantante d’operetta conosciuto nella capitale con il nome d’arte di Joseph Gabin mentre la madre, Hélène Petit, canta nei caffè concerto. Il bambino non soffre certo di solitudine, visto che i suoi genitori prima di lui hanno messo al mondo altri sei figli tra maschi e femmine. In quel periodo il lavoro viene prima dei figli soprattutto se si è costretti a fare i conti con la fragile sicurezza del mondo dello spettacolo. Per questa ragione i piccoli Moncorgé vengono spediti a Mériel du Val d’Oise, un tranquillo borgo di campagna lontano anni luce dalla frenetica vita della Parigi notturna dei loro genitori. Qui, in una casa ai bordi della ferrovia, Jean è affidato alle cure della sorella maggiore Madeleine e cresce nella strada imparando molto presto a farsi rispettare. Quando non bastano le parole arrivano i pugni. Ha soltanto dieci anni quando nel corso di un improvvisato incontro di boxe con un suo coetaneo un colpo ben assestato gli frantuma il setto nasale regalandogli un profilo nuovo destinato a portargli tanta fortuna qualche anno dopo. Nel 1919 mamma Hélène muore. La sua scomparsa è un colpo duro per tutti i figli, ma soprattutto per Jean, che ha quindici anni e decide di lasciare il liceo Janson de Sailly di Parigi, che frequenta con scarso profitto. Inizia a darsi da fare accettando un’infinità di lavori. Fa il fattorino della società elettrica parigina, il manovale in un cantiere edile, l’operaio in una fonderia, il magazziniere in un deposito di auto e lo strillone di giornali. Tenta anche, senza fortuna, di diventare macchinista ferroviario seguendo le orme del nonno materno. A diciotto anni Jean Alexis Moncorgé comincia a pensare al mondo dello spettacolo. Chiede un consiglio a suo padre che lo incoraggia e lo aiuta a muovere i primi passi presentandolo a Fréjol, il direttore delle Folies Bergère che lo scrittura come figurante e ne affida la formazione artistica al comico Charles Joseph Pasquier, conosciuto con il nome d’arte di Bach. Il ragazzo, che ha scelto il nome d’arte di Jean Gabin in continuità con quello del padre, mostra di avere talento anche se l’esperienza viene interrotta dalla chiamata di leva in marina. Terminata l’esperienza torna in palcoscenico. A poco più di vent’anni le sue qualità e la sua formidabile faccia tosta gli fanno conquistare una discreta popolarità come cantante d’operetta ed eclettico intrattenitore di music hall. Il suo personaggio è ritagliato sullo stile di Maurice Chevalier, il più popolare mattatore della notte parigina. Nel 1926 viene scritturato come cantante da una compagnia di varietà per un tour che, dopo aver toccato gran parte dei teatri francesi parte per l’America del Sud. Quando torna in Francia si sente pronto per un salto di qualità. Nel 1926 dopo qualche insistenza viene finalmente chiamato per il primo provino al Moulin Rouge dove la sua riproposizione in chiave personale dello stile di Maurice Chevalier non sfugge a Mistinguett, che da poco ha rotto il rapporto artistico e sentimentale che la legava allo stesso Chevalier. La popolare e potente vedette del varietà francese lo vuole al suo fianco per la rivista “Paris qui tourne” nella quale Gabin canta per la prima volta l’indimenticabile Java de Doudoune, un brano destinato ad accompagnarlo anche nei decenni successivi. Dopo il Moulin Rouge fa il suo debutto anche sul palcoscenico del Bouffes Parisiens sempre al fianco di Mistinguett. Il direttore artistico del locale è Albert Willemetz, uno dei più ispirati autori di quel periodo che gli affida il ruolo di protagonista maschile in alcune operette di cui ha scritto il testo, come “Flossie” o “Les aventures du Roi Pausole”. I ripetuti successi nel teatro di varietà e nell’operetta non sfuggono alla nascente industria cinematografica francese che si sta rinnovando dopo l’avvento del sonoro. Il primo film interpretato da Jean Gabin è del 1930. Si intitola “Chacun sa chance”, è diretto da René Pujol e Hans Steinholf e tra gli interpreti c’è anche Gaby Basset, la sua prima moglie da cui s’è separato soltanto l’anno prima. L’esperienza si rivela interessante ma non sembra segnare particolarmente la sua carriera. Seguono altri lungometraggi ma alle luci un po’ fredde dei set cinematografici Jean Gabin sembra preferire ancora il calore del palcoscenico, la passione degli abitatori della notte parigina che affollano i suoi spettacoli. Cambia idea alla metà degli anni Trenta quando il cinema comincia ad affidargli ruoli sempre più importanti e definiti. Grazie al lavoro di registi come Julien Duvivier, Jean Renoir, Marcel Carné, Jacques Becker e tanti altri il grande schermo diventa progressivamente la sua dimensione principale, quasi esclusiva. Lo chansonnier Jean Gabin si trasforma così uno degli attori simbolo della scuola realista ma i trionfi cinematografici non riescono a fargli dimenticare il primo amore artistico. Il cinema non cancella la musica. Di quando in quando torna a far vibrare la sua voce sulle parole e la melodia di qualche brano. Accade, per esempio, nel 1931 nel film “Coeur de Lilas” di Litvack nel quale canta La môme caoutchouc e Dans la rue insieme a Fréhel o nel 1934 quando canta Viens Fifine in “Zouzou” con Josephine Baker. La sua interpretazione più famosa e più emozionante resta però quella del brano Quand on se promène au bord de l’eau (Quando si passeggia lungo il fiume) nel film “La belle équipe” di Julien Duvivier, girato nel 1936 e uscito anche nelle sale italiane con il titolo “La bella brigata”. Nel 1951 risponde alla chiamata del suo amico Léo Ferré che lo vuole insieme al gruppo dei Fréres Jacques per interpretare il suo oratorio De sac et de cordes e nel 1974 interpreta Maintenant je sais, un lungo monologo in musica scritto da Jean-Loup Dabadie che sembra il bilancio della sua vita. Due anni dopo, il 15 novembre 1976 muore all’ospedale di Neully sur Seine ucciso dalla leucemia che lo sta consumando da molto tempo. Ha settantadue anni. Per sua disposizione viene cremato e le sue ceneri disperse in mare venti miglia al largo delle coste bretoni.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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