Il 1° gennaio 1972 muore Maurice Chevalier. Cantante, attore, intrattenitore è uno dei simboli dello spettacolo francese. Maurice Chevalier è un simpatico ottimista, con la voce calda e il cuore in mano, sempre pronto a regalare un sorriso, una smorfia buffa o una speranza. «Non abbiate paura, il futuro sarà migliore del presente…» Basta dare un’occhiata al sorriso da eterno ragazzo stampato sul suo volto per intuire il segreto del successo di questo figlio del popolo diventato un gigante della canzone, del teatro e del cinema. Il buonumore è la sua maschera artistica e lo trasforma nella prova vivente del fatto che con l’ottimismo si può cambiare la realtà. Oltre che figlio del popolo è anche figlio di un’epoca complessa e drammatica, segnata da due guerre devastanti che lasciano ferite profonde nei rapporti sociali e nella vita delle persone. Il mondo sembra sull’orlo del disastro e lui lo attraversa sorridente quasi a voler dispensare serenità. Sono anche gli anni nei quali la poesia e il teatro incontrano la canzone nei caffè concerto e insieme salgono sui palchi dei teatri dando vita, vigore e fortuna a quello che verrà chiamato music-hall. Di questa realtà Maurice Chevalier è l’espressione maschile più conosciuta e più amata. Se ne accorgono anche gli americani che lo portano a Hollywood e gli danno addirittura un Oscar per la sua interpretazione in “Gigi” di Vincente Minnelli. Il mondo, soprattutto gli statunitensi, vede in lui il francese tipo, galante e sicuro di sé al limite della goffaggine, simpatico e divertente senza mai sfociare nella volgarità, eternamente in bilico tra adolescenza e maturità. Quanto questa maschera corrisponda davvero all’uomo e non soltanto al personaggio nessuno può dirlo. Maurice Chevalier è stato un uomo contraddittorio come l’epoca nella quale è vissuto e nella sua vita ha attraversato momenti drammatici trovando ogni volta un aiuto prezioso per cavarsi dai guai. Di lui ci restano le incomparabili interpretazioni, il sorriso e la bonaria gioia di vivere. Nasce il 12 settembre 1888 a Ménilmontant, un quartiere popolare di Parigi. Suo padre Charles Victor fa l’imbianchino e qualche anno dopo se ne va a cercar fortuna altrove lasciando sola la moglie d’origini belghe Joséphine Van der Bosche con i tre figli Paul, Charles e, appunto, Maurice. Proprio quest’ultimo quando il padre se ne va, seguito ben presto dal fratello maggiore, lascia la scuola per trovare qualche lavoro che possa aiutare la famiglia a tirare avanti. Ha dieci anni ma non è più un bambino. Si ingegna a trovare lavoretti ma sogna di essere un artista. Prima guarda con interesse agli acrobati da circo, poi decide di diventare un cantante. Convinto di non avere un grandissimo talento vocale orienta il suo repertorio alle parodie e ai brani comici in genere. Nel 1900 ha dodici anni ma è già una piccola stella nei caffè-concerto e nei locali parigini dove imita soprattutto il cantante Dranem, uno dei più applauditi di quel periodo. Non è tutto oro quel che riluce e il giovane Chevalier lo impara a sue spese quando dai piccoli locali passa a palcoscenici più impegnativo. Un fiasco al Petit Casino nel 1902 gli insegna che non si può puntare soltanto sulla sorte. Il ragazzo non s’arrende. Si impegna nello studio del canto, impara a ballare e pratica la boxe. Dopo aver ottenuto una parte in una rivista al Parisiana lascia la capitale e va a farsi le ossa nei teatri di provincia. Il primo, vero, grande successo arriva nel 1905 quando all’Alcazar di Marsiglia la gente fa la fila per assistere a una sua interpretazione. Qualche piccola esperienza cinematografica in cortometraggi muti precede il grande ritorno a Parigi nel 1909 alle Folies Bergères, uno dei templi della rivista musicale parigina. In breve diventa uno degli artisti più amati della capitale. Nelle sue braccia cadono prima la cantante Fréhel e poi la star delle star, quella Mistinguett che ha fatto innamorare con la sua voce e il suo corpo magnati, ufficiali, principi e re. L’aiuto della donna, che ha tredici anni più di lui e una notevole esperienza nel mondo dello spettacolo, si rivela determinante e non solo dal punto di vista artistico. Quando Chevalier, spedito al fronte durante la prima guerra mondiale, viene ferito, catturato dai tedeschi e rinchiuso nel campo di prigionia d’Alten Grabow, Mistinguett telefona alla nobiltà di mezza Europa e alla fine riesce a farlo liberare. Gli anni Venti e Trenta vedono il trionfo definitivo del suo personaggio di dandy frivolo che parla con un curioso accento popolare. La sua maschera funziona sia in francese che in inglese, una lingua che ha imparato rapidamente e nella quale si esprime con assoluta naturalezza. Novello re Mida sembra trasformare in oro tutto quello che tocca, dal teatro di rivista al cinema, alla canzone. All’inizio degli anni Venti la gente si spella le mani quando lui intona brani come Valentine e Dans la vie faut pas s’en faire. In breve la sua popolarità scavalca l’oceano. Nel 1928 lo chiamano a Hollywood. Ci va e interpreta una serie di film non destinati all’immortalità come “L’allegro tenente”, “Amami stanotte” o “La vedova allegra”. Nel 1935 stanco della vita frenetica della Mecca del cinema decide di rompere il contratto con la Metro Goldwin Mayer e di tornare in Francia. In quel periodo scrive e interpreta brani entrati nella storia della canzone francese come Prosper, Ma pomme, Marche de Ménilmontant, dedicata agli anni della sua infanzia o Y a d’la joie che regala a Charles Trenet, un giovane interprete destinato a suo parere a fare molta strada nel mondo dello spettacolo. Sono gli anni della maturità e della consapevolezza delle proprie qualità. Dal punto di vista artistico sono forse i migliori della sua lunghissima carriera, ma dal punto di vista umano sono anche quelli maggiormente ricchi di problemi. Essere un cantante che dispensa ottimismo, gioia di vivere e speranza nel futuro può diventare un problema quando il paese in cui si vive è occupato dai nazisti. Maurice Chevalier si ritrova così nel 1942 a essere inserito da Radio Londra nell’elenco dei francesi accusati di collaborazionismo con l’occupante. Tutto nasce dal fatto che il cantante, pur rifiutandosi di cantare a Berlino e di animare una trasmissione della collaborazionista Radio-Paris ha accettato di esibirsi per i prigionieri del campo d’Alten Grabow, dove lui stesso era stato rinchiuso nella guerra 1915-18. In cambio non chiede denaro ma la liberazione di dieci prigionieri provenienti dalla sua Ménilmontant. L’accusa infamante di “collaborazionista” significa la condanna a morte dopo la Liberazione. Arrestato nel 1944 trova insperati difensori nella stampa comunista e nel poeta Louis Aragon che chiedono la cancellazione dell’accusa perché infondata. Alla fine la spuntano. Pochi mesi dopo Chevalier è libero e torna in teatro con grande successo. Nel 1956 l’Alhambra viene ribattezzato con il suo nome e diventa Alhambra-Maurice Chevalier. Mentre la Francia lo osanna, però, nascono nuovi problemi oltreoceano. Dopo una sua presa di posizione contro la proliferazione nucleare nel 1951 gli Stati Uniti lo dichiarano persona non gradita e gli vietano l’ingresso nel paese. La limitazione all’accesso in territorio yankee è abolita nel 1955, giusto in tempo per girare due film come “Arianna” e soprattutto “Gigi” di Vincente Minnelli che nel 1958 spopola agli Oscar. Nel 1967 festeggia i suoi settant’anni con una tournée in mezzo mondo e il 1° ottobre 1968 dà il suo addio ufficiale alle scene sul palcoscenico del Teatro degli Champs-Elysées. È stanco. L’età si fa sentire. Nel 1970 presta la sua voce alla versione francese del tema del film “Gli Aristogatti” della Walt Disney. Dopo l’ennesimo viaggio negli Stati Uniti il 12 settembre 1971 festeggia con un pugno di giornalisti e d’amici il suo ottantatreesimo anniversario. Poi inizia a stare male. Ricoverato in ospedale chiude per sempre gli occhi il 1° gennaio 1972.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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