Il 6 gennaio 1938 nasce a Milano Adriano Celentano. Figlio di immigrati pugliesi, negli anni Cinquanta abita a Milano in quella Via Cristoforo Gluck che è diventata la sua Abbey Road. Fa l’apprendista orologiaio e arrotonda le entrate imitando Jerry Lewis in coppia con il suo amico Elio Cesari che in quel periodo imita Dean Martin e poi diventerà Tony Renis. Sono anni frizzanti. Finite le giornate del boogie woogie arrivato sui tank degli americani in Italia cominciano ad arrivare sulle onde del passaparola e dei primi dischi “rubati” gli echi di nuovi ritmi. Nell’aprile del 1954 è uscito nelle sale statunitensi il film “Rock around the clock”. I giornali raccontano che il brano omonimo, interpretato da Bill Haley, sta suscitando l’entusiasmo dei ragazzi d’oltreoceano e parlano di un nuovo ballo chiamato rock and roll.. Con la preveggenza che spesso contraddistingue parte della critica italiana c’è chi sostiene che non potrà mai avere successo da noi perché «troppo lontano dai nostri gusti musicali». Se per i benpensanti il rock and roll è il diavolo, un segno evidente della corruzione dei costumi, per i giovani è invece il profumo della libertà. Quello che si muove in Italia non è ancora un vento, ma un sottile e appena percettibile refolo. Timidamente emergono i primi imitatori delle tecniche d'oltreoceano. Anche se non c’è l'urlo rabbioso e liberatorio del rock più aspro e “nero” alcuni iniziano a cantare fuori dai gorgheggi e dalle voci impostate della tradizione. Il giovane Celentano è uno dei più esagerati. Canta in un inglese approssimativo i brani imparati dal giradischi e rielabora il ritmo con il corpo prima ancora che con la voce muovendosi come una marionetta senza fili. Le sue esibizioni nelle balere milanesi gli valgono il titolo onorifico di Molleggiato e ne fanno un mito per quel tessuto complesso di adolescenti apprendisti, lavoratori, studenti e disoccupati delle periferie milanesi che anni dopo qualcuno chiamerà proletariato giovanile. La sua carica fa esplodere anche il Santa Tecla, il tempio del jazz e della musica alternativa milanese dell’epoca, ma l’occasione della vita arriva con il Festival del Rock and roll di Milano. Il 18 maggio 1957 la sua esibizione scatena il finimondo. Adriano in maglietta rossa e blue jeans sale sul palco insieme ai Rocky Boys e fa esplodere gli oltre diecimila spettatori stipati come sardine nel Palazzo del Ghiaccio con sedie divelte, ragazzine che urlano, mentre un centinaio di ragazzi rimasti fuori si scontra con la polizia. Lì nascono il mito di Adriano Celentano e il rock and roll italiano, che non può essere considerato una semplice e pura “moda” d’importazione. Quasi tutti i rocker della prima generazione infatti sono degli innovatori, non degli scimmiottatori. Essi innestano le caratteristiche del genere proveniente dall’altra parte dell’Oceano sull’impianto della canzone ritmica italiana elaborando così una strada autonoma, una sorta di “via italiana al rock and roll” che influenzerà in maniera profonda la stessa struttura della musica popolare del nostro paese. Un mese dopo l’incendio del Palazzo del Ghiaccio l’eroe dei giovani milanesi pubblica il suo primo disco. Nel 1958 centra il suo primo successo commerciale con Buonasera signorina. Nel 1959 vince il Festival di Ancona con Il tuo bacio è come un rock. La svolta della sua carriera porta la data 26 gennaio 1961 quando il rock and roll sbarca al Festival di Sanremo con la canzone 24 mila baci. Adriano si presenta sul "sacro" palcoscenico del Festival in modo strafottente e fuori dagli schemi. Durante l'esibizione si contorce e si permette di voltare la schiena al pubblico dimenando i glutei in diretta televisiva. Con quell'esibizione a Sanremo non sbarca soltanto il rock and roll, ma anche la carica sessuale che l'accompagna. La diretta televisiva amplia a dismisura l'impatto. Il successo del brano è straordinario e oltre un milione di copie del disco verranno bruciate in poche settimane. La nicchia è diventata un fenomeno di massa. Il refolo è diventato un tornado e Celentano un profeta indiscusso. L’uomo prende fin troppo sul serio questo ruolo e non smetterà più di recitare la parte. Raduna gli amici di sempre in una factory alla quale da il nome di Clan, scopre la religione attraverso una crisi mistica, diventa una star del cinema e soprattutto prende posizione sempre e comunque in modo esagerato, anche quando non è dalla parte giusta. Si schiera contro il divorzio, contro l’aborto e quando esplodono le lotte operaie dell’autunno caldo predica la pace sociale con Chi non lavora non fa l’amore. Non si fa però in tempo a dargli del reazionario che lui apre una dura critica al modello di sviluppo consumista e si lancia in campagne ecologiste, pacifiste e antirazziste. Nonostante il passare del tempo, pur lontano dal "molleggiato" rocker degli inizi, continua a mantenere inalterato il suo carisma sul pubblico che gli perdona volentieri anche i periodici deliri autocelebrativi. Comunque la si pensi su di lui, contraddittorio, arruffone, incendiario, pompiere, pacifista, baciapile, ecologista, furbone, rivoluzionario, reazionario o conservatore l’arzillo ex Ragazzo della Via Gluck riesce sempre a far parlare di sé.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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