Il 15 febbraio 2003 tocca l’apice la mobilitazione della musica contro l’idea stessa di una nuova guerra contro l’Iraq. All’'inizio erano pochi sassolini, poi, rotolando rotolando sono diventati una valanga inarrestabile che aumenta di volume ogni giorno di più. La mobilitazione dei musicisti contro la guerra, per numero e qualità delle adesioni, sta regalando una straordinaria aggressività mediatica al più grande movimento per la pace mai visto da decenni. A parte qualche patetico sussulto bellico dei dinosauri della scena metal e alcuni silenzi timidi e interessati, la guerra non trova più posto nella musica del mondo. Poco più di un anno dopo la grande chiamata alle armi seguita al crollo delle Twins Towers, posatasi la polvere mefitica delle macerie, l'aria è cambiata radicalmente. Il piccolo nucleo dei dubbiosi è diventato una schiera immensa di partigiani della pace. L'idea della guerra è stata espulsa dalla musica, chi non è contro scompare oppure fa la figura del mentecatto. Ogni giorno arrivano nuove e inaspettate adesioni, magari un po' tardive, ma sempre bene accette da un movimento che, in sintonia con quello che si muove nelle piazze, non si nutre del gusto per le primogeniture, ma di quello della sostanza. Tra gli ultimi arruolati ci sono nomi importanti come quelli di Madonna e Michael Jackson, in qualche modo indicativi della perdita di forza da parte dell'onda guerrafondaia in ogni settore della società. In molti hanno sottolineato la somiglianza con quanto accaduto all'epoca della guerra del Vietnam quando un'intera generazione seppe sviluppare un movimento sociale, culturale e ideale capace di inceppare una guerra d'aggressione. Le somiglianze sono molte, ma questa volta ci trova di fronte per molti versi a un fenomeno nuovo. Se allora la musica si era limitata ad affiancare e a interpretare le aspirazioni e i motivi di un grande movimento di massa, oggi non è solo così. La musica si è mossa in parallelo con il movimento fin dall'inizio, lo ha affiancato e ne ha vissuto, in autonomia, le contraddizioni, le difficoltà e i successi. Non ci troviamo di fronte a una sorta colonna sonora che accompagna un film, ma a un vero e proprio movimento che si è preso sulle spalle il compito di sfruttare le proprie potenzialità comunicative e che si è rapportato da pari a pari con chi si muove nella stessa direzione in altri campi. La musica non fornisce più solo la colonna sonora a un film interpretato da altri, ma vive essa stessa giorno per giorno, le fatiche della costruzione della storia. Non c'è separazione tra il momento "alto" della politica e il "contorno" della comunicazione mediatico- spettacolare. La musica diventa un pezzo significativo della politica alla quale regala anche un linguaggio nuovo. In parole povere, quello che sta accadendo impone anche un ripensamento delle stesse strutture tradizionali di "utilizzo politico della musica". Il concerto dopo il comizio o dopo la manifestazione non può più essere considerato un modo per ritemprare il popolo, ma è un pezzo di comunicazione "diverso", un contributo allo sviluppo del tema con un linguaggio meno tradizionale. Oggi impegno degli artisti non si esaurisce con la fine del concerto ed essi nuotano nel movimento come pesci nell'acqua. Basta scorrere le loro dichiarazioni per capire che la simbiosi è totale. «Bush è colpevole di crimini di guerra» e se aggredirà l'Irak «dovrà essere giudicato da una corte internazionale. Le cause principali del terrorismo sono l’economia americana e la dominazione militare nel Medio Oriente. Il vero asse del male è rappresentato dalla povertà e dalla corsa agli armamenti che rappresenta un buon profitto per poche grandi società». Parole di fuoco, più pesanti del piombo che stabilizza le ali dei bombardieri. Chi le ha pronunciate non è un esponente politico, ma il chitarrista Tom Morello degli Audioslave, che, utilizzando la maggior esposizione mediatica regalatagli dal suo mestiere, regala spazio agli argomenti dell'opposizione contro la guerra. Come lui in migliaia si muovono nella stessa direzione, tanto che fare un elenco compiuto è pressoché impossibile. Ogni artista non si limita a dare l'adesione a un appello, ma mette a disposizione di tutti il proprio sito Internet, mobilita i fans club, insomma muove altre forze nel tentativo di rafforzare il movimento. La filosofia che ispira questo modo di agire trova un efficace riassunto nelle parole di Eddie Vedder, la voce dei Pearl Jam: «Le cose non cambiano subito. L’ho imparato nel corso di questi ultimi dieci anni. Ma la gente può fare qualcosa se impara che il destino del mondo non può essere lasciato nelle mani di chi detiene il potere. I risultati prima o poi arrivano». È questa consapevolezza di poter cambiare i destini del mondo la novità vera della mobilitazione pacifista della scena musicale e nessuno gioca a fare la primadonna. Nel sito dei Green Day si può leggere questa frase: «Chi non vuole una guerra in Iraq può firmare questa petizione… se conosci qualcuno a lavoro o a scuola che non sa neppure chi sono i Green Day, digli di firmare ugualmente...». Ciascuno sceglie di comunicare con un proprio stile. Un cantautore come Moby punta a far ragionare i suoi fans: «Perché Bush si accanisce solo ora contro Hussein? È un cattivo governante da almeno venti anni. Non è certo diventato più cattivo adesso. O forse dovremmo parlare degli interessi di Bush e di Cheney per il petrolio... L’Iraq, lo sappiamo tutti, ha immense riserve e questo non è certo irrilevante..». Sono alcuni significativi, esempi di una mobilitazione che utilizza le armi della creatività per bucare il muro di silenzio. Gli italiani non sono da meno. C'è chi, come la banda di "Storie di note" o gli Al Mukarawa, è andato direttamente in Iraq per parlare di pace. Altri fanno da cassa di risonanza agli argomenti a favore della pace. Anche da noi la musica sta costruendo i pezzi di un nuovo linguaggio che oggi sviluppa le ragioni della pace perché questa volta forse si è davvero capito che il discorso non inizia e non finisce in Iraq.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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