Il 7 febbraio 1987 muore Claudio Villa, uno dei simboli della canzone melodica italiana. Tremiladuecento brani registrati, quarantadue milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ventisette film, tredici partecipazioni al Festival di Sanremo con quattro vittorie e due trionfi a Canzonissima sanciti a furor di popolo dall’invio di milioni di cartoline-voto sono la testimonianza concreta della sua straordinaria popolarità. Oggetto di amore incondizionato, di passioni, ma anche di contestazioni accese costruisce il proprio successo con la determinazione di chi ha imparato presto a combattere per la sopravvivenza. I suoi successi, le sue aspre polemiche, le contestazioni, ma anche la sua grande e generosa umanità sono solo alcune delle tante sfaccettature di un personaggio che ha saputo essere innovatore e conservatore al tempo stesso. Anche se il suo modo di cantare ha rappresentato, un’innovazione nel panorama melenso della melodia italiana del dopoguerra, negli anni successivi Villa ha scelto d’incarnare il ruolo del custode dei valori fondanti della canzone all’italiana, pur senza mai scadere nell’immobilismo. A dispetto delle impressioni non rifiuta però la contaminazione con nuove sonorità, lasciando che la sua voce si arrampichi anche sui sentieri tracciati da arrangiamenti elaborati e moderni. La sua capacità di anticipare i tempi è impressionante. È il primo cantante italiano in grado di trasformare la folla sterminata dei suoi ammiratori in una vera e propria organizzazione ramificata in tutto il territorio nazionale qualche decennio prima della nascita dei fans club delle moderne popstar. La sua verve polemica, alimentata e sorretta da una spregiudicata e schietta irruenza popolana, divide e fa discutere anche il mondo degli intellettuali, così lontano dagli ambienti popolari in cui affondano e traggono linfa le radici del suo successo. Sempre pronto a prendere posizione è anche un grande protagonista della battaglie civili della società italiana. «Se mi costringono a battagliare ho la forza di cento tori e il carattere non mi manca; logico, l’uomo e l’artista sono la stessa cosa. E se sono forte nel cantare, devo anche saper menare» dice a Lietta Tornabuoni che l’intervista per l’”Europeo”. Lui si vanta di essere un trasteverino. Trastevere negli anni Venti è il cuore pulsante di una Roma popolare che fatica ad adattarsi ai cambiamenti di quella che viene chiamata Città Eterna. È più di un quartiere, è una città nella città. Qui i grandi viali e i palazzi del potere cedono il passo a selciati polverosi percorsi da carretti e biciclette sui quali si affacciano piccole botteghe artigianali e banchetti che espongono mercanzie destinate a soddisfare semplici bisogni di gente povera. Qui gli antichi mestieri sopravvivono al passare del tempo e le stagioni si riconoscono dagli odori, più che dalle date del calendario. In questo quartiere, al n° 25 di Via della Lungara, in un caseggiato che sembra formare un blocco unico con il carcere di Regina Coeli, il 1° gennaio del 1926 Ulpia Urbani e Pietro Pica festeggiano la nascita del loro figlio Claudio. Inizia così la vicenda di Claudio Pica, in arte Claudio Villa, un ragazzo romano di borgata destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della canzone italiana. A soli undici anni sale per la prima volta su un palcoscenico. È il 1937 quando si esibisce, quasi per scherzo, durante uno spettacolo della compagnia di Mimì Maggio al teatro Aurora. Tutti gli dicono che ha una bella voce e lui comincia a pensare che quella del cantante possa diventare la sua professione. Sono pensieri segreti da non rivelare a nessuno. Si sa però che per le mamme non ci sono segreti che tengano e nonostante le ristrettezze famigliari mamma Ulpia riesce a sottrarre al bilancio famigliare qualche soldo per mandare Claudio a scuola di canto… «Tutti devono avere un nome d’arte nel mondo dello spettacolo». È il direttore del teatro Ambra Jovinelli, il napoletano Tommaso Pastore, che nel 1945 cambia il nome del cantante da Pica in Villa. Dopo aver vinto con la Chitaratella un concorso di voci nuove che si svolge al salone Esedra ottiene la sua prima scrittura “vera” nella compagnia Libianchi che ha in cartellone uno spettacolo al cinema-teatro Altieri. La sua voce non è ancora definita. È ben lontana dal timbro potente che lo caratterizzerà in seguito, ma sa già adattarsi all’esigenze del falsetto “di grazia” in voga in quel periodo. La sua popolarità cresce di giorno in giorno e le scritture si moltiplicano. Si esibisce in molti locali romani con un repertorio composto principalmente dalle canzoni di Romolo Balzani e Alfredo Del Pelo. Il primo è un autore popolarissimo cui si deve la musica di brani come Barcarolo romano e L’eco der core, mentre il secondo, trasteverino verace come Villa, è uno degli autori della famosissima Casetta de Trestevere. All’aumento della popolarità non corrisponde però un proporzionale irrobustimento del bilancio personale. Un’eccezione è rappresentata dal compenso di ben diecimila lire ottenuto per l’incisione della colonna sonora del film “Sotto il sole di Roma” di Renato Castellani, composta da Nino Rota. Nel 1946 l’orchestra del maestro Ferroni nella quale canta Claudio Villa partecipa a un programma radiofonico destinato ai militari. Il cantante fa così il suo debutto alla radio. La grande occasione arriva però qualche tempo dopo grazie a una fortunata serie di combinazioni. L’orchestra Ferroni oltre che su Claudio Villa può contare anche sulla voce femminile di Ida Bernasconi, una cantante italo-greca sentimentalmente legata a tale Giacomo Gabrielli. Quest’ultimo, accanito ammiratore di Villa, convince i proprietari del night “Le grotte del piccione” a scritturarlo per cinquecento am-lire (la moneta introdotta dalle truppe alleate) più il pasto serale. Il locale, frequentato da molti funzionari RAI, è uno di quelli scelti per un programma radiofonico che porta a casa degli ascoltatori la musica delle orchestre che si esibiscono nella serata del collegamento. Si tratta di un appuntamento importante e molto seguito perché va in onda alle ventitré dopo la rubrica “Oggi al parlamento” e consente di ascoltare in diretta le ultime novità musicali. La voce di Villa risuona così per la prima volta negli apparecchi radiofonici di tutta Italia e inizia a diventare popolare anche al di fuori di Roma. Nell’agosto del 1947 Claudio Villa pubblica il suo primo disco. Assistito da Luciano Luigi Martelli e dallo staff di produzione della Carish il cantante lavora sodo in sala di registrazione. Dopo un’attenta valutazione vengono scelti per il suo debutto discografico i brani Canzoncella e Serenatella dolce e amara. Quest’ultimo, che ha tra gli autori lo stesso Martelli, è molto orecchiabile e diventa ben presto uno dei più richiesti e apprezzati dal pubblico radiofonico. Gran parte del segreto del successo di questa canzone sta nella sapiente miscela di tradizione e innovazione che la caratterizza. Su un testo tradizionale, che riecheggia i temi cari alla tradizione della canzone italiana classica, si sviluppa una melodia fresca e ricca d’aperture, costruita sul ritmo esotico della rumba. L’interpretazione di Villa, pulita e senza sbavature, fa il resto. Il successo di questo primo disco incoraggia la Carish a continuare nella produzione del cantante. Per far fronte alle continue richieste del pubblico che torna ad appassionarsi per la canzone all’italiana non c’è tempo per scrivere nuove canzoni. Buona parte dei brani registrati in questo periodo da Claudio Villa non vengono, quindi, composti appositamente per lui, ma appartengono al repertorio di interpreti come Carlo Buti, Otello Boccaccini, Luciano Tajoli e Oscar Carboni, anche se spesso la versione di Villa è destinata a diventare più famosa delle originali. È l’inizio del successo. Nel 1955 Claudio Villa partecipa al Festival di Sanremo cantando Incantatella con Narciso Parigi e Buongiorno tristezza e Il torrente, entrambe in coppia con Tullio Pane, che si piazzano al primo e al secondo posto. Sempre insieme a Pane vince anche la “Finale degli indipendenti” con Il torrente. Nello stesso anno partecipa al Festival di Napoli con ben sette canzoni, classificandosi al terzo posto con Dincello tu, mentre nascono centinaia di fan club a suo nome. Nel 1957 torna al Festival di Sanremo aggiudicandosi il primo e il secondo posto con Corde della mia chitarra in coppia con Nunzio Gallo e Usignolo, insieme a Giorgio Consolini. Alla fine degli anni Cinquanta, di fronte all'affermarsi di nuove mode e di nuovi personaggi, può comunque contare su milioni di ammiratori devoti che lo accompagneranno per tutta la carriera. Nel 1962, in coppia con Domenico Modugno, vince di nuovo il Festival di Sanremo con Addio addio e l'anno dopo arriva al secondo posto con Amour mon amour my love in coppia con Eugenia Foligatti. Sempre nel 1963 vince il Festival di Napoli con Jamme ja in coppia con Maria Paris e nel 1965 vince "Canzonissima" con 'O sole mio sostituendo all'ultimo minuto Mario Del Monaco. Nel 1967, dopo aver vinto "Canzonissima" con Granada, torna a vincere anche il Festival di Sanremo con Non pensare a me, in coppia con Iva Zanicchi. Nel 1982, eliminato dal Festival accusa Gianni Ravera e l'ambiente sanremese di brogli. Il 7 febbraio 1987, proprio mentre a Sanremo è in programma l'ultima serata del Festival muore a Padova. La cassetta di mogano che contiene le sue ceneri viene tumulata, come da lui richiesto, nel cimitero di Rocca di Papa accanto alla tomba di mamma Ulpia. Sulla lapide che la copre sono incise le parole “Vita sei bella, morte fai schifo” da lui stesso dettate.
Nessun commento:
Posta un commento