Il 10 marzo 2001 arriva al Palalido di Milano PJ Harvey. La ragazza è in un periodo di grandi mutazioni sottolineate dalla recente uscita di Stories from the city, stories from the sea un disco di cambiamento compiuto più che di passaggio. Le novità iniziano dalla copertina dove la cantante, che ha abituato il suo pubblico ad ambientazioni astratte, spesso con volute distorsioni del proprio corpo, è fotografata come una passante qualunque, in una strada di una città, vestita in modo normalissimo con occhiali e borsetta. È un modo come un altro per far capire che l’album propone una PJ Harvey meno fragile e precaria del passato, più sicura di sé. La ragazza si lascia dietro alle spalle le storie un po' contorte, gli amori ambigui e gli umori gravidi di oscurità e, soprattutto, non è più la sola protagonista delle vicende raccontate. Le storie scelte sembrano quasi legate da un filo sottile, il tema dell'amore, trattato con una dolcezza e una semplicità inusuali. È come se PJ Harvey avesse scoperto che la vita ha anche un lato più chiaro di quello conosciuto finora e ce lo volesse raccontare. Anche le parole delle canzoni sono decisamente fuori registro rispetto ai lavori precedenti, come accade in This is love dove le parole assumono inaspettati colori romantici: «Vorrei solo stare seduta qui e guardarti mentre ti spogli». Non mancano, naturalmente, momenti più complessi, anche violenti, ma nel contesto sembrano gli inevitabili passaggi delle vita più che la paranoica contorsione onirica di un'artista innamorata del lato oscuro dell'esistenza. Si tratta di una rottura con il passato che non infastidisce, perché appare come un momento d'evoluzione e non come una furbetta operazione commerciale. Nel disco c'è di tutto, dal rock robusto alla melodia romantica. C'è anche We float, sicuramente una delle più belle ballate mai scritte dalla ragazza. C'è, infine, la voce splendida e mutante di PJ Harvey che a volte si trasforma in un vero e proprio strumento musicale, quando non si veste di panni nuovi come nell'attacco di Good fortune dove sembra quella di Patti Smith.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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