Il 26 marzo 2004 i media di tutto il mondo rilanciano la notizia di una presa di posizione forte da parte di Jackson Browne. Non è la prima volta che il cantautore prende carta e penna (si fa per dire!) per contestare l’establishment e la politica estera degli Stati Uniti, il suo paese, da lui definita più volte e senza mezzi termini “imperialista”. Questa volta di fronte alla negazione del visto d’ingresso negli Stati Uniti al cantautore cubano Carlos Varela alza il tiro sull’embargo verso Cuba. Sostiene che la maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti ritiene sbagliata la politica americana nei confronti di Cuba e la definisce «un vecchio retaggio della guerra fredda» tenuto in piedi dai repubblicani per avere il voto dei cubano-americani di Miami. Per Jackson Browne gli Stati Uniti mantenendo l’embargo diventano «oppressori» e impediscono di «fornire medicinali a chi è ammalato e dare cibo a chi ha fame». Invita infine il suo paese a non illudersi di poter condizionare la politica di Cuba con questi atteggiamenti perché i giovani artisti cubani, anche quando sono critici «rispettano le realizzazioni dei loro leader» pur «impazienti di agire per proprio conto» e non immaginano per il loro paese un futuro diverso da quello «deciso dal popolo cubano e non dagli USA».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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