Il 16 aprile 2004 Enrico Ruggeri pubblica l'album Punk (Prima di te). «Sono stato punk prima di te/sono stato più cattivo io/Suonavo l’heavy metal quando tu/eri chiuso nell’asilo… Sono stato punk prima di te/e mi sono fatto male…». Nel 1990 Enrico Ruggeri inseriva nell’album Il falco e il gabbiano il brano Punk (prima di te) una sorta di rivendicazione del proprio passato diretta ai cloni di ritorno del punk rock targato MTV. Era un sussulto d’orgoglio nell’anno in cui apriva gli occhi al mondo suo figlio Pico. Oggi quella canzone diventa il titolo di un album che, come un vecchio Lp, è diviso in un due parti. Nella prima ci sono sette brani pescati nel proprio repertorio degli anni Settanta con i Decibel e nella seconda sette cover dei “maestri”: Sex Pistols, David Bowie, Clash, Velvet Underground, Ramones, Mott The Hoople e Stranglers. Chi conosce l’epoca in cui ha mosso i primi passi l’intelligente cantautore milanese sa che è figlio di una generazione che ha spesso preso vie oblique, attraversando la musica con la curiosità dei neofiti e, qualche volta, è approdata sul lido dei furbi smentendo se stessa e le proprie scelte passate. Chi, vedendo Jo Squillo, potrebbe collegarla oggi alla leader delle Kandeggina Gang, la più arrabbiata e alternativa band femminile della Milano degli ultimi anni Settanta? E chi potrebbe credere che lei fosse una delle anime del Centro Sociale Occupato Santa Marta, un perno della musica alternativa in cui si agitavano Alberto Camerini, Eugenio Finardi, i Kaos Rock e molti artisti oggi incamminati su strade diverse. Molti di quelli che hanno provato a scrivere la storia di quegli anni si sono fatti catturare dai pregiudizi sul destino di tanti protagonisti o dal fatto che il punk italiano dell’epoca si interseca con l’ultimo drammatico sussulto dei movimenti prima dei devastanti anni Ottanta. Il merito di Enrico Ruggeri è quello di avere aperto uno scrigno personale senza temere che fosse un Vaso di Pandora. Lo fa con il pretesto di “erudire il pupo”, di mostrare, cioè a suo figlio Pico, all'epoca quattordicenne e ritratto sulla copertina con i vecchi occhiali bianchi del padre, che nella musica, come nella vita, quanto accade oggi non nasce dal nulla, ma è figlio di ciò che è stato ieri. Il risultato è un disco che, senza indulgere nella nostalgia, può fare da apripista a una riscoperta delle perle nascoste nelle pieghe della nostra storia musicale. Gli danno una mano il fedele Luigi Schiavone, già nei Kaos Rock e poi con lui al tempo dell’avventura degli Champagne Molotov, il tastierista Pino Di Pietro, il bassista Lorenzo Poli e il batterista Nano Orsi.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento