Il 25 novembre 1970 le acque newyorkesi dell’East River restituiscono il corpo del sassofonista Albert Ayler. La fine di uno degli artisti neri più popolari di quel periodo non è dovuta alla casualità né a un suicidio. Ayler è stato ucciso e poi gettato nelle acque del fiume. I suoi assassini non avranno mai né un nome né un volto. Con lui scompare uno dei più geniali e contraddittori interpreti della riscossa dei neri d'America non soltanto nel jazz. La sua musica, sia nel percorso interno al free jazz che nella successiva e contrastata evoluzione, è pervasa dalla preoccupazione di non perdere le radici popolari e di farsi comprendere dalla "sua" gente. Per questo quando nei quartieri neri delle metropoli statunitensi si diffonde il seme fecondo della politicizzazione Ayler è uno dei primi artisti free a mettersi in discussione. Alla fine degli anni Sessanta la sua musica segna una svolta. Le sue improvvisazioni prendono sempre più in prestito gli accompagnamenti dal rhythm and blues e dal rock and roll. Non è un'apertura commerciale e nemmeno una presa di distanza dal free jazz, ma un tentativo di mettere in discussione l'asettica evoluzione staccata dal contesto sociale di riferimento. Lo fa e lo dice. «Mi piacerebbe suonare qualcosa che tutti possano canticchiare. Voglio suonare i motivi che cantavo quando ero piccolo e melodie popolari che tutto il mondo possa comprendere. Vorrei utilizzare quelle melodie come punto di partenza e lasciarle fluttuare all'interno dei miei brani. Da una semplice melodia vorrei passare a trame più complesse per tornare nuovamente nella semplicità andare poi oltre, verso suoni sempre più complessi e più densi». C'è una critica esplicita allo schema elitario in cui tende a rinchiudersi il free jazz e l'altrettanto esplicito tentativo di costruire una sorta di linguaggio musicale capace di connettere la tradizione con le nuove aspirazioni degli afroamericani. La sua morte chiude anticipatamente il discorso.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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