Il 29 dicembre 1926 nasce a Milano Liliana Feldmann. Figlia di Pina Granata e Dante Feldmann, due tra i più popolari interpreti di operette di quel periodo, non sembra granché interessata a percorrere la strada dei genitori al fianco dei quali debutta in teatro a soli due anni. La polvere del palcoscenico, gli orari impossibili e il mondo strano del teatro, lungi dall'affascinarla, sono i simboli di una vita che la piccola Liliana vorrebbe evitare. La decisione sembra irreversibile quando Silvio D'Amico, il direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, le offre un posto. Lei oppone un cortese, ma netto, rifiuto. Preferisce dedicarsi agli studi di ragioneria e sogna un tranquillo lavoro senza rischi. A farla tornare sulle sue scelte ci pensano la seconda guerra mondiale e i bombardamenti. Nell'agosto del 1943 le bombe distruggono la casa e tutto quanto possiedono i suoi genitori. L’accaduto sconvolge la sedicenne Liliana che decide di dare il suo contributo al sostentamento della famiglia. Di nascosto dai genitori e accompagnata da una zia si presenta alla sede EIAR di Milano per un’audizione e viene assunta come attrice giovane e cantante. Inizia così una carriera radiofonica che le darà grandi soddisfazioni. Tra gli artefici del suo successo c’è il maestro Giovanni D’Anzi che aveva già dedicato ai suoi genitori il gustoso brano La famiglia Brambilla e che compone quella che diventerà una delle canzoni più famose del suo repertorio: La gagarella del Biffi Scala. Nel 1948 fa il suo esordio come prima soubrette nella rivista “Paradiso per tutti” al fianco di Ugo Tognazzi, poi lavora in teatro con Dario Fo e Gino Bramieri, anche se gran parte della sua popolarità è dovuta al personaggio della "signorina delle 13" che dialoga in diretta con il pubblico dopo il Giornale Radio. Cantante di grande personalità, lega al suo nome l’interpretazione di molte canzoni in dialetto milanese come El mè moros l’è el Guggia di Giovanni D’Anzi o Dona che te durmivett, un brano composto per lei da Enzo Jannacci. Vive la canzone come una sorta di suo mondo privato nel quale ritrovare il gusto di ripercorrere gli umori nascosti della sua città, per questo l'ambiente musicale milanese l'adora e le perdona tutto. Storici restano i tre album di canzoni in dialetto milanese pubblicati dalle etichette Odeon e Cetra, ancora oggi considerati una delle migliori testimonianze del periodo migliore della "canzone meneghina".
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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