Giovedì 2 febbraio 1984 inizia la Trentaquattresima edizione del Festival di Sanremo. I giornali hanno descritto minutamente le scenografie del fiorentino Enzo Somigli e hanno dato largo spazio agli ospiti annunciati, primi fra tutti i leggendari, anche se un po’ bolsi, Queen di Freddy Mercury. Sono gli anni Ottanta, sono gli anni del disimpegno “obbligato” e delle luci accecanti e colorate che sembrano cancellare le differenze. Si è parlato a lungo degli interpreti, dei loro vestiti, e delle loro canzoni, in un’edizione che pare segnare il ritorno al melodico e alla tradizione. Nessuno ha previsto, invece, l’arrivo in massa di un soggetto sociale periodicamente dato per spacciato: gli operai. Fin dal pomeriggio tre vagoni speciali aggiunti in coda al treno Roma-Ventimiglia e sette pullman, oltre a numerose auto, hanno portato nella “città dei fiori” i lavoratori dell’Italsider intenzionati a denunciare la grave situazione dell’economia ligure e la pesante situazione che si è determinata nella loro azienda, con licenziamenti e cassa integrazione. Man mano che s’avvicina l’ora d’inizio del Festival il gruppo cresce di numero. Alle 20.30 sono oltre milletrecento gli elmetti gialli che scandiscono slogan di fronte al Teatro Ariston fronteggiati da un robusto cordone di polizia. La manifestazione è stata preceduta, nel pomeriggio da una febbrile trattativa tra sindacato, organizzazione del Festival e RAI che si è conclusa con un accordo nel quale si prevede che Pippo Baudo, il presentatore della rassegna canora di quell’anno, legga all’inizio della diretta televisiva un breve comunicato approvato dai lavoratori. A parte un vago accenno alla protesta, però, l’accordo non viene rispettato. Nessuno legge niente e lo spettacolo continua. I lavoratori non ci stanno e iniziano a premere verso l’entrata del Teatro Ariston in modo sempre più insistente. Mentre la tensione sale si aprono nuove, febbrili, trattative. Sono passate da poco le 21 quando una piccola delegazione ottiene di poter entrare in sala e parlare direttamente, senza intermediari, ai telespettatori che assistono al Festival da casa. Gli operai salgono sul palco dell’Ariston e, visibilmente emozionati, leggono il documento ignorato da Pippo Baudo. Poi si rivolgono al pubblico in sala: «Vi ringraziamo per l’ospitalità e vi chiediamo scusa per il disturbo. Crediamo che sia chiara a tutti la gravità della nostra situazione». Saranno loro la più importante novità di un Festival senza particolari emozioni dal punto di vista musicale.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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