Il 15 maggio 1965 arriva al vertice della classifica britannica dei dischi più venduti il brano King of the road. La patria dei Beatles, centro della rivoluzione musicale della nuova generazione di adolescenti d'assalto, incorona sorprendentemente uno dei grandi personaggi del country statunitense, il ventinovenne Roger Miller. Il brano è in sintonia con il suo interprete, un po' spaccone e un po' vagabondo, come si addice a un cow boy fuori tempo. Il suo debutto come cantante risale agli anni Cinquanta quando dalla natia Forth Worth si trasferisce nella mitica Nashville per cercare fortuna. Qui sbarca il lunario componendo canzoni e accettando vari ruoli nei gruppi country. Preferisce cantare e suonare la chitarra, ma non disdegna di cimentarsi anche con altri strumenti, purché qualcuno lo paghi. In questo periodo accetta persino di suonare la batteria con Faron Young. Il suo fisico da "americano bianco" fa il resto, tanto che nei primi anni Sessanta trova modo di lavorare anche come attore. Nonostante l'apparenza, dietro la scorza da ragazzone c'è stoffa. Per molto tempo si accontenta di pubblicare canzoncine senza pretese, ma la storia cambia dopo l'esplosione del beat e l'invasione del mercato statunitense da parte dei gruppi britannici. Le case discografiche, in difficoltà, accettano di correre qualche rischio in più. Ormai ventottenne il ragazzone riesce così a centrare un paio di successi nel 1964 con i singoli Dang me e Chug a lug. L'anno dopo fa meglio e vince sette Grammy: cinque per King of the road e due per l'album The return of Roger Miller. L'elemento più straordinario del suo exploit resta, però, la capacità di conquistare il mercato del "nemico" britannico. Un paio d'anni dopo è già tornato nella normalità, anche se la sua carriera continuerà per anni nel circuito country. Nel 1985 il suo musical "Big River", ispirato a "Huckleberry Finn" di Mark Twain, vincerà il Tony Award per il miglior musical dell'anno. Muore il 25 ottobre 1992.
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