«Mai più stragi inutili, mai più guerra!». Il variegato mondo del pacifismo statunitense si mobilita, nell’estate del 1970, per ricordare il venticinquesimo anniversario dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima. Lo fa sapendo che non sarà una passeggiata perché “peace and love” è un bello slogan se serve a decorare le magliette o le copertine dei dischi, ma diventa pericoloso e sovversivo se trasferito nella realtà. E la realtà è che gli Stati Uniti sono impegnati a “difendere la civiltà occidentale” nelle paludi della penisola indocinese e che, come contro i giapponesi, il fine giustifica qualunque mezzo. Ieri era giusto lanciare un paio di bombe atomiche contro un paese già prossimo alla resa come oggi il napalm è l’unico modo per “stanare i musi gialli” da quelle giungle così intricate dove i marines si perdono. Il movimento pacifista sa che il ricordo di Hiroshima rischia di essere un ingombrante fantasma per l’establishment americano e che la celebrazione del venticinquennale non avrà vita facile. Decide così di costringere il “nemico” a dividere le forze. Per il 6 agosto 1970 programma due concerti in contemporanea, entrambi dedicati all’anniversario della bomba atomica di Hiroshima, entrambi contro la guerra. Il primo si dovrebbe svolgere a New York e l’altro a Filadelfia. Gli organizzatori sono sicuri che nessuno dirà loro un chiaro e tondo “no”, ma con altrettanta sicurezza si rendono conto che si tenterà in ogni modo di impedire le due manifestazioni. Parte così una corsa a ostacoli contro il tempo e le complicazioni burocratiche. Il 6 agosto allo Shea Stadium di New York più di ventimila persone gridano il loro impegno per la pace mentre sul palco si esibiscono John Sebastian, Janis Joplin, Paul Simon, Paul Butterfield, Johnny Winter e tutto il cast del musical “Hair”. La stessa sera tutto tace, invece, al JFK Stadium di Filadelfia. Guarda caso, la mancanza di banalissimo certificato ha impedito la concessione dello stadio: all’ultimo momento, naturalmente.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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