Il 20 novembre 1997 Tito Puente, detto anche "l'imperatore del mambo", ha la soddisfazione di vedere il suo nome inserito nella Hall of Fame del Jazz, una sorta di paradiso delle celebrità accanto a personaggi come Nat King Cole, Miles Davis, Ray Charles e tanti altri. Il vecchio leone è commosso, ma non lo dà a vedere, anzi finge una maschera da duro che non gli è propria: «La mia è una generazione che ne ha viste tante da non stupirsi più di nulla». Figlio di emigrati portoricani, non ha mai nascosto le sue umili origini: «Rivendico il fatto di essere nato nel Barrio di New York, un posto dove si passava indifferentemente dal jazz alla musica latina. Per questo amo entrambi i generi senza distinzioni. Il mambo è la somma dei due e io, quando me lo posso permettere, tengo i piedi in… due orchestre». L'inserimento nella Hall of Fame del Jazz è un riconoscimento ufficiale per il musicista che ha il merito di aver arricchito dei ritmi latino-americani il jazz orchestrale e uno schiaffo per chi periodicamente lo descrive come un artista in declino. Come accade nei primi anni Sessanta quando il mambo sembra diventare un cimelio da museo, roba buona solo per le nostalgie dei poveri latino-americani. Lui non si arrende. Continua a comporre brani e a suonare con piccole orchestre nelle feste di battesimo e nei matrimoni della comunità latina di New York. Torna alla ribalta quando Carlos Santana porta al successo due suoi brani, Oye como va e Para los rumberos, realizzando una nuova sintesi tra il rock e le musiche del Caribe. È l'inizio della rinascita che, questa volta, sarà definitiva. Muore a New York, il 31 maggio 2000.
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