Il 6 gennaio 2010 muore Alberto Cesa, maestro riconosciuto della musica popolare italiana, fondatore e componente dei Cantovivo, uno dei gruppi più emblematici della ricca e intensa stagione di quel genere che gli anglofili chiamano folk revival e che in realtà è una sorta di fusione musicale tra poesia, impegno, tradizione e innovazione. Alberto lascia in eredità un enorme lavoro di ricerca e studio condotto con la passione e il rigore di chi si conquista sul campo il titolo di "maestro" riuscendo a stabilire un rapporto importante con il pubblico pur senza curarsi troppo delle regole del mercato. Non sempre ciò che fa è destinato a essere eseguito su un palco, inciso nei solchi di un disco o fissato in una traccia digitale e in ogni caso non è il destino finale che lo preoccupa. Nel suo lavoro non si fa condizionare da altri che non siano la sua passione e i suoi convincimenti. Non è prigioniero neppure dei Cantovivo, l'amata creatura messa in piedi con Donata Pinti nel 1974 e tenuta in vita fino all'ultimo sia pur con vari cambiamenti d'organico. Il successo internazionale del gruppo lo riempie di soddisfazione ma non lo condiziona. Alberto evita di fossilizzarsi in una formula anche se essa si dimostra vincente. È quel che accade per esempio nel 1979, quando l'album Leva la gamba vince il prestigioso Grand Prix International du Disque di Montreux. Alberto ne prende atto con soddisfazione ma si guarda bene dal cadere nella tentazione di riproporre all'infinito e senza troppi rischi la stessa proposta. Il suo interesse è nei confronti della musica e non nell'eventuale prodotto finale. Curioso osservatore di ciò che accade nel mondo a volte prende in prestito le parole e le musiche di altri sia pur piegandole al proprio stile o anche soltanto alle esigenze di unificarle in una particolare proposta spettacolare. Dai canti più conosciuti della tradizione popolare come "Partono gli emigranti" o "Bella ciao", alle canzoni che accompagnano o hanno accompagnato le lotte dei popoli del mondo "El ejercito del Ebro", "Grandola Villa Morena" o "Palestina", alle canzoni di Ivan Della Mea, Victor Jara e molti altri protagonisti della canzone politica del mondo, il genio musicale di Alberto Cesa tutto recupera, rielabora e ripropone. Amatissimi all'estero i Cantovivo hanno goduto di alterne fortune in un paese come il nostro, più disponibile a lasciarsi catturare dalle mode del momento. I tour in Portogallo, a Cuba o in Germania hanno suscitato grandi entusiasmi così come gli oltre duemila concerti tenuti in Italia in situazioni spesso molto diverse tra loro: dai grandi palchi degli stadi alle esibizioni per i presidi davanti alle fabbriche occupate. Ora Alberto non c'è più ma il suo lavoro potrà garantirgli un pezzettino d'immortalità. È questo in fondo l'impegno assunto dagli amici, i compagni e i semplici estimatori che il 9 gennaio partecipano a Grugliasco all'ultimo saluto.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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