A Milano l'insurrezione inizia qualche giorno prima del 25 aprile. Il 23 i lavoratori in sciopero della Borletti, delle Rubinetterie e della CGE si scontrano con le milizie fasciste della “Muti” e della “Resega” e nel pomeriggio del 24 aprile a Niguarda i partigiani della Prima Brigata Garibaldi impegnano in un furioso conflitto a fuoco un gruppo di mezzi corazzati tedeschi che stanno fuggendo a nord, mentre gli operai dell’Alfa Romeo, dell’Innocenti e della Pirelli si attrezzano, armi in pugno, a difendere le fabbriche. Anche se le operazioni militari continueranno fino al 27, il 25 aprile in molte zone della città iniziano ad arrivare i partigiani delle zone limitrofe. La gente scende in strada per salutarne l'arrivo. Il cantante Luciano Tajoli e sua moglie Lina sono tra loro, partecipi della gioia collettiva. Improvvisamente un camion si ferma. Un giovane partigiano con un fucile a tracolla si avvicina al cantante e gli chiede «Tu sei Luciano Tajoli?» Alla sua risposta affermativa gli ordina di seguirlo. Viene issato sul camion, che riparte. La giovane Lina assiste impietrita alla rapida e inaspettata scomparsa del marito. L'accaduto la riempie d’angoscia, anche se sa che non esiste alcun motivo perché il cantante possa essere stato messo sotto accusa da chicchessia, a meno di un equivoco. Passano le ore, i giorni, ma di Luciano non si sa più niente. È come svanito nel nulla. Nessun frutto danno le ricerche, le peregrinazioni di Lina e degli amici del cantante più direttamente impegnati nella Resistenza. Nessuno sa niente di lui, nemmeno al comando del Corpo Volontari della Libertà. Dopo cinque giorni si fa strada l’idea di un tragico errore e la ragazza è rassegnata al peggio quando, la mattina del sesto giorno, sente provenire dalla strada il rumore d’un motore insieme al canto corale di molte voci maschili. S’affaccia alla finestra e vede Luciano che, stanco e sudato, viene calato di peso dal cassone dello stesso camion sul quale era stato caricato alcuni giorni prima. «Viva Tajoli!» è il grido con il quale l’allegra brigata saluta e se ne va. Il cantante è stanco, i suoi abiti sono coperti di polvere e puzzano di vino. Quando la moglie gli chiede dove sia stato, Tajoli risponde: «Dovunque. In cinque giorni avrò dormito un’ora. La città è impazzita dalla gioia e io ho dovuto cantare in non so quanti cortili, piazze, case... Dovunque c’era gente che ballava e festeggiava. Mi hanno accolto come un re perché io ero un po' il regalo dei partigiani. Insomma, sono stato rapito per cantare…”.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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