Il 7 aprile 1994 un elettricista entrato casualmente nella villa di Kurt Cobain a Seattle, scopre il cadavere del leader dei Nirvana. Le indagini appurano che il musicista si è ucciso nella notte tra il 5 e il 6 aprile sparandosi alla testa con un fucile da caccia comprato da pochi giorni. Accanto al suo corpo viene ritrovata una lettera indirizzata alla moglie Courtney Love e al figlio Frances Bean nella quale dice, tra l’altro, «Frances Bean, Courtney, vi amo, vi amo con tutto il mio cuore, ma odio me stesso e odio la vita. Desidero solo di morire. Ho bisogno di staccarmi dalla realtà per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Perdonatemi». La morte di Kurt segna anche la fine dei Nirvana, fino a quel momento considerati uno dei fenomeni musicali degli anni Novanta. Arrivata al successo improvvisamente nel 1991 anche grazie alla massiccia programmazione dei loro brani da parte di MTV la band sperimenta sulla propria pelle gli aspetti negativi della popolarità improvvisa. La vita di Cobain viene scandagliata fin nei più minuti dettagli e diventa uno degli argomenti preferiti dalle riviste scandalistiche, soprattutto dopo il suo matrimonio con Courtney Love, l'eccentrica cantante delle Hole, avvenuto il 24 febbraio 1992. Nell'estate dello stesso anno la rivista Vanity Fair pubblica un lungo servizio sulla ragazza sostenendo che i suoi problemi di tossicodipendenza la costringono ad assumere regolarmente eroina anche durante la gravidanza. Non è un'accusa da poco perché le leggi della California, stato di residenza della coppia, prevedono la possibilità di sottrarre un figlio alla madre qualora la stessa abbia assunto droghe durante la gravidanza. Cobain costringe i compagni ad annullare alcuni concerti per poter rintracciare l'autore dell'articolo e convincerlo a correggere quanto ha scritto. Da quel momento vive nel terrore dei media che ne fanno una sorta di diabolico profeta del rock. Poche settimane prima di uccidersi, aveva già tentato il suicidio in un albergo romano. La notizia della sua morte fa il giro del mondo mentre centinaia di fans si raccolgono sotto la sua casa per la veglia funebre. Il biondo chitarrista e cantante, il timido e fragile esponente di un genere, come il Grunge, in gran parte inventato dai media degli anni Novanta, finisce per diventare, suo malgrado, uno dei tanti miti tragici che hanno costellato la storia del rock.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
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3 commenti:
Era l'anno della mia "Maturità", ricordo bene, all'indomani della notizia, lo sgomento e il puro dolore che aleggiavano tra noi studenti. La morte di Kurt segnò molti di noi e fu il vero spartiacque tra adolescenza e maturità, tra utopia e consapevolezza.
Ricordo bene, che tristezza.
...tra l'altro di un bello sconvolgente. Quasi più di un certo Anelli. Baci Lucius...
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