Nel Village Theatre di New York la sera di venerdì 22 luglio 1967 non si respira. L’afa, il fumo delle sigarette e il calore dei corpi di centinaia di ragazze e ragazzi stordiscono più della musica diffusa dalle casse audio del locale. Sfidando la calura estiva in molti aspettano il concerto dei Byrds, annunciato come l’evento principale del fine settimana. Il cartellone della serata prevede l’esibizione di due gruppi di contorno: i Seeds e i Vanilla Fudge. Questi ultimi, sconosciuti ai più, sembrano destinati a fare le spese dell’impazienza degli spettatori, accaldati e ansiosi di applaudire la band principale. Un mormorìo insofferente accoglie il loro ingresso sulla scena. Sono quattro, Vince Martell alla chitarra, Carmine Appice alla batteria, Tim Bogert al basso e Mark Stein alle tastiere. Senza dire una parola iniziano a suonare una stralunata versione di You keep me hangin’ on, un brano "leggero" portato al successo dalle Supremes. Le note distorte delle tastiere e della chitarra, talora in leggera dissonanza, sorrette da una batteria che sembra suonare in controtempo, catturano l’attenzione del pubblico che, rapito, si lascia ipnotizzare dalla liquidità psichedelica della band. L’esibizione segna l’inizio delle fortune dei Vanilla Fudge. Scritturati dall’Atlantic, incuriosiranno i ragazzi di tutto il mondo con la loro musica, caratterizzata da un collage di citazioni classiche e rivisitazioni psichedeliche di canzoni famose. Nelle loro esecuzioni si ritrova di tutto: dai successi pop del momento ai Beatles, a Chopin, a Stravinsky. Il successo della band sarà breve, un paio d’anni o poco più. Nel 1970 i Vanilla Fudge si scioglieranno lasciando ai critici il compito di gingillarsi con un dubbio su quel frullato di suoni che caratterizzava le loro esecuzioni: un’intelligente contaminazione tra varie forme musicali filtrate attraverso la psichedelia o una furba e fortunata operazione commerciale?
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