Il 13 settembre 1997 a Mougins, nelle Alpi Marittime, una crisi cardiaca spegne per sempre la voce e la vita del re dell’operetta francese. All’epoca in cui inizia a cantare quelli come lui vengono ancora chiamati “tenorini” con un termine italiano che per secoli è stato utilizzato così, senza traduzione, in tutto il mondo. Poco considerati dai puristi e dagli appassionati di lirica nei primi anni del Novecento erano destinati, se bravi, a diventare protagonisti sui palcoscenici dell’operetta considerati una sorta di paradiso minore dai conservatori. In realtà proprio su quelle scene si stavano mettendo le basi alle moderne commedie musicali, quelle che gli anglosassoni chiamano musicals, cioè a una forma di mescola tra musica, spettacolo, teatro e canzone destinata a rifulgere di gloria internazionale dalla seconda metà del Novecento in poi. L’immigrato greco-egiziano Guétary frutto, come Georges Moustaki, di una delle tante migrazioni interne all’Impero Ottomano, oltre alla voce da “tenorino” ha anche un talento quasi istintivo nel canto a “mezza voce”, un altro termine universale di origine italiana che definisce la capacità di emissione smorzata del suono. Per evitare, però, il rischio che le descrizioni tecniche troppo insistite finiscano per mettere un po’ in ombra la sostanza delle qualità del personaggio, è necessario ricordare che, grazie alle sue particolari qualità vocali e a una presenza scenica che si è alimentata allo charme da tombeur de femmes, Georges Guétary per più di sessant’anni ha saputo rappresentare il punto di contatto tra gli chansonniers e la tradizione. Interprete di grande fascino, nel corso della sua carriera è riuscito a passare con disinvoltura da Trenet a Offenbach, da Aznavour a Brahms, a Granados, unificando nella sua interpretazione culture musicali diverse in un mélange di grande suggestione nel quale le differenze hanno finito per trasformarsi in una ricchezza e non in una barriera. Il futuro Georges Guétary nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1915 con il nome di Lambros Worloou. I suoi genitori appartengono alla numerosa colonia di greci trasferitisi nella grande città egiziana nel periodo in cui gran parte delle aree mediorientali e del nordafrica è sotto il dominio dell’Impero Ottomano. Il loro sogno è quello di vedere il piccolo Lambros diventare un pezzo grosso dell’economia. Per questa ragione nel 1937, quando ha diciassette anni, lo spediscono in Francia con i soldi necessari a completare gli studi in materia di commercio internazionale. Per evitare che si senta troppo solo e per ogni altra necessità gli consigliano di prendere contatto con uno zio che si chiama Tasso Janopoulo che di mestiere fa il pianista nelle sale da concerto e in quel periodo è l’accompagnatore fisso di Jacques Thibaud, uno dei più popolari virtuosi del violino dell’epoca. L’incontro con lo zio finisce per cambiare la sua vita. Grazie a lui, infatti, il giovane Lambros entra in contatto con il mondo dello spettacolo della capitale e inizia a diventare una presenza fissa nei locali in cui i musicisti si ritrovano a notte fonda quando hanno finito di suonare. Proprio in uno di questi incontri un giorno, un po’ per gioco e un po’ per curiosità, si ritrova in piedi accanto al pianoforte a cantare una melodia tradizionale greca accompagnato dall’illustre parente. Tra i musicisti che l’ascoltano c’è la cantante lirica Ninon Vallin che resta colpita dall’esibizione: «Ragazzo mio, tu hai del talento. Dovresti coltivarlo invece di perdere tempo sui libri di una materia di cui non t’interessa niente…». Anche Jacques Thibaud si unisce all’invito e il ragazzo molla gli studi di commercio internazionale, che già frequentava con una certa fatica, e si dedica anima e corpo alla musica. Oltre ai corsi di canto tenuti dalla sua prima sostenitrice Ninon Vallin, prende lezioni d’armonia, solfeggio e pianoforte nella scuola Cortot-Thibaud e frequenta anche i corsi d’arte drammatica di René Simon. Nel 1938, quando non è ancora passato un anno dal suo arrivo a Parigi, è già stato scritturato come cantante dall’orchestra di Jo Buoillon. Qualche mese dopo, notato da Henri Varna, direttore del Casino de Paris, diventa uno dei boys della mitica Mistinguett. Quando la strada verso una carriera luminosa sembra ormai spianata arriva la guerra con l’occupazione nazista della Francia. Lambros, straniero e tutt’altro che bendisposto verso gli occupanti, abbandona precipitosamente Parigi e si rifugia nella zona di Tolosa dove lavora in un ristorante. Le sorprese non sono però finite. Proprio nel locale in cui lavora incontra il fisarmonicista Fredo Gardoni che gli chiede di unirsi a lui come cantante e gli fa incidere il primo disco della sua carriera. Per evitare storie con poliziotti e spioni gli chiede di scegliere un nome d’arte. Lambros diventa così Georges e il cognome Worloou viene sostituito da Guétary, il nome d’un paese basco. In quegli anni difficili lavoricchia nell’operetta e, soprattutto, conosce il compositore Francis Lopez destinato a diventare l’uomo chiave per la sua scalata al successo. Proprio lui, infatti scrive nel 1943 i brani Caballero e Robin de Bois che regalano a Guétary il primo grande successo. Dopo la Liberazione la sua popolarità si allarga al di là dei confini francesi. Le sue esibizioni entusiasmano il pubblico dei teatri di Londra e Broadway e attirano l’attenzione dei produttori cinematografici che nel 1945 gli affidano il ruolo del protagonista in “Le cavalier noir” un film ricco di canzoni composte dal suo amico Francis Lopez che ottiene un successo strepitoso. All’inizio degli anni Cinquanta Gene Kelly lo vuole con lui nella versione cinematografica del musical “Un americano a Parigi” di Vincente Minnelli premiata con sei Oscar. Georges Guétary è ormai una stella internazionale quando Maurice Lehmann lo convince a tornare in Francia per interpretare il protagonista nell’operetta “Pour Don Carlos” scritta quasi appositamente per lui dal suo amico Francis Lopez. Lo spettacolo, rappresentato per la prima volta il 17 dicembre 1950 al Théâtre de Châtelet, totalizza ben quattrocentoventi repliche. Il successo di “Pour Don Carlos” fa di Georges Guétary l’indiscusso re dell’operetta francese. Due anni dopo si ripete con “La route fleurie”, un altro lavoro con le musiche di Francis Lopez che viene rappresentato per la prima volta all’ABC il 19 dicembre 1952 e resta in cartellone per ben quattro anni. Alla fine degli anni Cinquanta chiude provvisoriamente la collaborazione con Francis Lopez e mette la sua popolarità al servizio di lavori decisamente più sperimentali dei precedenti come “La polka des lampions” di Gérard Calvi del 1961 e “Monsieur Carnaval” di Charles Aznavour nel 1965. Proprio queste due opere in particolare sembrano delineare una nuova strada per quella che alcuni critici cominciano a chiamare “commedia musicale alla francese”. Dopo “Monsieur Pompadour” del 1971 Georges Guétary pensa sia venuto il tempo di adeguare repertorio e ruoli alla sua età. Non è più un ragazzino e si sente un po’ ridicolo nel ruolo del dinamico e giovane conquistatore di ragazze che, in qualche caso, hanno la metà dei suoi anni. Il pubblico, però, sembra non gradire questa svolta e nel 1974 boccia clamorosamente “Les aventures de Tom Jones”. Per scoraggiare un tipo come Guétary ci vuole ben altro. Alla fine degli anni Settanta chiama di nuovo al suo fianco quel Francis Lopez che è stato l’artefice dei suoi primi successi e nel 1981 mette in scena “Aventure à Monte-Carlo”, la prima di quattro creazioni che caratterizzeranno la carriera di Georges Guétary negli anni Ottanta. A partire dalla fine degli anni Cinquanta la sua teatrale si alterna con tour musicali con la conduzione di alcuni programmi televisivi di successo. Nel 1996, a ottantun anni suonati, stupisce tutti presentando un recital di canzoni di un’ora e mezza al Bobino accompagnato dai Paradisio, un gruppo di giovani musicisti. Secondo le sue intenzioni, nell’autunno del 1997 lo spettacolo dovrebbe lasciare Parigi per una lunga serie di concerti in tutto il territorio francese. Non sarà così perchè la morte chiude la sua carriera.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento