12 novembre, 2017

12 novembre 1988 – Wild Wild West

Il 12 novembre 1988 al vertice della classifica statunitense dei dischi più venduti c’è il brano Wild wild west realizzato da una band britannica poco conosciuta al grande pubblico. Sono gli Escape Club e sono stati formati a Londra cinque anni prima dal cantante Trevor Steel, dal chitarrista John Holliday, dal bassista Johnnie Christo e dal batterista Milan Zekavica. Agli inizi della loro storia i quattro non se la passano benissimo. Come molti altri suonano nei locali e sognano di diventare famosi con i dischi. Le prime esperienze in sala di registrazione avvengono tra le accoglienti ma poco significative mura di un'etichetta indipendente che pubblica il loro primo singolo destinato a restare una sorta di demo. Va meglio il passo successivo quando il secondo singolo Rescue me e l'album White fields riescono a trovare spazio nella ristretta cerchia degli appassionati e portano in regalo l’inserimento degli Escape Club in qualche elenco dei i gruppi - rivelazione del momento elaborato dalle riviste di nicchia. Pur apprezzati sembrano destinati a una tranquilla carriera nei club e in qualche concerto senza grandi exploit né sul piano commerciale né su quello della popolarità planetaria. Quando non se l’aspettano più arriva la svolta. Nel corso di un’esibizione vengono notati da Chris Kinsey, un produttore che ha all’attivo, tra gli altri, alcune cose dei Rolling Stones, di Peter Frampton e degli Psychedelic Furs. Kinsey capisce che i ragazzi hanno qualità da vendere e li convince a mollare gli stretti confini della Gran Bretagna per attraversare l’oceano. Profondo conoscitore del grande business degli States li segue con cura nella realizzazione dell’album che dovrebbe segnare l’inizio del grande successo. Il risultato è all’altezza delle aspettative. La canzone Wild wild west si piazza al vertice della classifica dei dischi più venduti seguita dall'album omonimo che fa faville nei negozi. Osannati dal pubblico e trattati con garbo dalla critica gli Escape Club non manterranno le promesse. Wild wild west resterà un episodio isolato. Tre anni dopo, nel 1991 l’album Dollars and sex verrà accolto piuttosto freddamente nonostante il discreto successo di vendita del singolo I'll be There.

11 novembre, 2017

11 novembre 1944 - Jesse Colin Young, l’anima e il cuore degli Youngbloods

L’11 novembre 1944 nasce a New York Jesse Colin Young, registrato all’anagrafe con il nome di Perry Miller, l’anima e il cuore degli Youngbloods, uno dei gruppi più rappresentativi del folk-jazz della costa dell’Est statunitense. La sua avventura musicale muove i primi passi all’inizio degli anni Sessanta quando abbandona l'università per cantare, accompagnandosi con la chitarra, nei folk club. Nel 1964 pubblica il suo primo album, Soul of a city boy, seguito, l'anno dopo, da Youngblood, un titolo premonitore. Proprio nel 1965, infatti, Jesse conosce il chitarrista Jerry Corbitt con il quale forma, insieme al batterista di scuola jazz Joe Bauer, il primo nucleo degli Youngbloods. Il gruppo attira rapidamente l'attenzione di pubblico e critica grazie alla sua originale fusione di folk e jazz. La sua qualità artistica si fa ancora più solida e convincente dopo l’arrivo di un quarto componente, il chitarrista e tastierista “Banana” Lowell Levinger. Nel 1966 gli Youngbloods, ormai considerati una delle band più interessanti della East Coast, iniziano a lavorare alla registrazione del loro primo album. Il perfezionismo di Jesse e dei suoi compagni ritarda a lungo l’uscita del disco e solo all’inizio del 1967 vede la luce The Youngbloods, accompagnato dal singolo Grizzly bear. Pochi mesi dopo viene messo sul mercato un secondo album, ma la band è ormai affascinata dai nuovi fermenti musicali e culturali che stanno attraversando l’intero panorama musicale statunitense. Lasciano New York, città che sentono stretta e troppo statica per potersi esprimere compiutamente, e se ne vanno a San Francisco. Qui gli Youngbloods perdono Jerry Corbitt, che tenterà senza grande fortuna la carriera di solista, e diventano un trio. Nel 1969 centrano il maggior successo commerciale della loro storia con una nuova versione di Get together, un brano già inserito nel loro primo album del 1967. Nonostante i buoni risultati il gruppo è ormai entrato in fase calante. A nulla serve l'inserimento in formazione del bassista Michael Kane. Gli Youngbloods si separano alla fine del 1971. L’ultimo album ufficiale, Good and dusty vede la luce dopo lo scioglimento della band. Jesse Colin Young continua come solista ma non rinuncia all’idea di riformare il gruppo. Ci riuscirà negli anni Ottanta, ma gli scarsi risultati lo convinceranno a lasciar perdere e a continuare da solo sulla sua strada.


09 novembre, 2017

10 novembre 1967 – Il blues doloroso di Ida Cox

Il 10 novembre 1967 muore a Knowille nel Tennessee, la città dove è nata settantadue anni prima, la cantante Ida Cox, una delle "grandi signore" del blues classico. Interprete profonda degli aspetti più dolorosi della musica afroamericana, dà voce alla tragicità della condizione di chi vive nei ghetti e nelle periferie delle grandi città del nord degli Stati Uniti. La sua Death letter blues resta nella storia del blues come una sorta di tragico rituale di dolore e di pena che più di tante parole riassume il lungo calvario dei neri d'America. Ida Cox, come Bessie Smith, Ma Rainey e tante altre signore del blues, quando canta parla di se stessa, delle difficili condizioni di un'infanzia e un'adolescenza da cui non si può uscire indenni. I successi non cancellano le tracce e le cicatrici, non solo spirituali, dei periodi difficili. La musica sembra un'ancora di salvezza per lei che ha pensato spesso di farla finita, anche se arriva troppo tardi per risparmiarle qualche umiliazione di troppo. Nel 1922, quando a Chicago registra una serie di classici per la Paramount che le regalano la popolarità e danno il via al periodo migliore della sua carriera, ha già superato i trent'anni. L'anno dopo entra nei leggendari Blues Serenaders di Lovie Austin. La sua voce commuove il mondo intero sulle note di brani struggenti come Graveyard dream blues o Worried mama blues e le dà la possibilità di buttare alle spalle i tempi difficili. Lei però non dimentica, non ce la fa a dimenticare. Il contrasto tra lo sfavillare delle luci dei grandi locali alla moda e la sua esperienza precedente la porta ben presto ad avere ricorrenti crisi di rigetto. Nelle sue canzoni parla con la morte, vista come una presenza liberatoria e tutt'altro che tragica. Nel 1929 rompe definitivamente con l'ambiente che la circonda. Insieme al pianista Jessie Crump, divenuto anche suo compagno di vita, organizza uno show ambulante che gira in tutti gli stati del Sud, i più vicini al grande padre Mississippi cui si rivolge spesso nelle sue canzoni. Il successo dell'iniziativa convince John Hammond a scritturarla per i suoi memorabili concerti newyorkesi intitolati "Dallo spiritual allo swing". Come accade alle altre "signore del blues" anche Ida verso gli anni Cinquanta decide di ritirarsi a vita privata nella sua casa di Knowille. Non torna più sul palcoscenico e raramente accetta di entrare in sala d'incisione fino alla morte che arriva il 10 novembre 1967.

07 novembre, 2017

8 novembre 1927 - Nasce Clara Ann, in arte Patti Page

L'8 novembre 1927 nasce in Oklahoma Clara Ann Fowler destinata a diventare con il nome di Patti Page, una delle cantanti pop statunitensi di maggior successo dell'epoca immediatamente precedente all'esplosione del rock and roll. Al contrario di altre stelle di quel periodo, però, non verrà travolta dalle nuove mode. Dotata di una voce calda e molto duttile si adatterà all'idea di non essere più un personaggio di copertina, continuerà a cantare mantenendo una buona popolarità fino alla fine degli anni Sessanta. Nata in una famiglia numerosa composta da undici tra fratelli e sorelle, passa i primi anni della sua vita a Tulsa prendendo lezioni di canto come si conviene in quegli anni alle signorine di buona famiglia. Pian piano il canto da obbligo diventa hobby e poi professione. La sua voce viene notata da un talent scout che le procura un contratto "di soccorso": deve sostituire per breve tempo la cantante che interpreta il ruolo di una ragazza che si chiama Patti Page nel Page Milk Company Show, un programma della stazione radio KTUL. La sostituzione momentanea diventa definitiva e il nome del personaggio anche. Da quel momento, siamo nel 1947, diventa per tutti Patti Page. Fino alla metà degli anni Cinquanta la sua voce imperversa in quasi tutti gli show radiofonici degli Stati Uniti. Nel 1955 anche la televisione le affida la conduzione triennale di un suo spettacolo mentre il cinema cerca di sfruttarne la popolarità con una partecipazione al film "Il figlio di Giuda". I tempi stanno, però, cambiando. Il rock irrompe sulla scena. Lei capisce che il suo momento migliore è ormai alle spalle e si adatta.


05 novembre, 2017

5 novembre 1958 - Aiché Nanà e lo spogliarello del Rugantino

Il primo e più eclatante scandalo della cosiddetta "Dolce Vita" è lo spogliarello del Rugantino. La sera del 5 novembre 1958 per festeggiare il ventiquattresimo compleanno della contessa Olghina di Robilant, l’amico Peter Howard offre una cena a centocinquanta persone presso il ristorante ‘Rugantino’. All’appuntamento sono presenti molti protagonisti delle notti romane. È notte fonda quando Anita Ekberg, sorretta da un numero imprecisato di drink ad alta gradazione alcolica, si lancia in un cha-cha-cha caratterizzato da scivoloni e dalla difficoltà di coordinare il movimento delle gambe con il resto del corpo. Nell’atmosfera surriscaldata l’eccitazione dei presenti tocca il culmine quando la ballerina turca Aiché Nanà comincia a sfilarsi, uno dopo l’altro, i vestiti. Prima cade a terra l’abito, poi le calze, seguite dal reggiseno. Al momento dell’irruzione della polizia nel locale, la Nanà indossa ancora le mutandine. Tutti i presenti vengono identificati e molti finiscono la serata in questura. Nonostante alcune diffide poco convinte, molti giornali, a partire dall’Espresso, pubblicano le piccanti fotografie dell’esibizione, sia pur coperte nei punti strategici da macchie nere. Per l’episodio verranno rinviati a giudizio con l’accusa di atti osceni in luogo pubblico, oltre alla spogliarellista e al suo fidanzato Sergio Pastore, due principi, un marchese, tre musicisti dell’orchestra e il gestore del ristorante. L’Italia esce a passo di cha-cha-cha dagli anni Cinquanta.


6 novembre 1975 – L'impiegata stacca la spina ai Sex Pistols

Il 6 novembre 1975 nella sala concerti del St. Martin’s College of Art di Hornsey, una località a nord di Londra, è in programma un concerto di una giovane e sconosciuta band il cui nome ha già fatto sobbalzare gli austeri responsabili della scuola: Sex Pistols. È la prima volta che il gruppo formato da Johnny Rotten, Paul Cook, Steve Jones e Glen Matlock si esibisce in pubblico. Privi di qualunque conoscenza musicale sono stati assemblati in fretta e furia da Malcom McLaren, il proprietario del “Sex”, un centro di ritrovo di giovani anticonformisti della capitale britannica, anche lui alle prime armi come manager, se si eccettua un’esperienza di sei mesi con i New York Dolls. La loro confidenza con gli strumenti è del tutto approssimativa e il repertorio annunciato prevede vari brani “facili” di Small Faces e Who. Quando iniziano a suonare la sala concerti è invasa da un rumore impressionante, al limite del dolore per le orecchie dei presenti. La struttura musicale, poi, è inesistente: pochi giri di basso, ritmi tiratissimi con la batteria che sembra fuggire per conto suo, mentre la chitarra, distorta, ripete all’infinito gli accordi. La melodia non esiste o, meglio, è un lungo e lancinante urlo che accompagna la voce nasale di Johnny Rotten. I pochi ragazzi che assistono al concerto sono spaventati e affascinati al tempo stesso da quella mescola anarchica di suoni lanciati sulle loro teste. Non c’è tempo di riprendersi. I brani si susseguono con la velocità della luce. Dopo una, due, tre, quattro canzoni veloci, secche, inafferrabili, il rumore tocca l’apice, sottolineato dal tremore ossessivo delle vetrate, e invade l’intero edificio. Dall’inizio del concerto non sono passati più di dieci minuti quando un’impiegata dell’ufficio di segreteria della scuola decide che si sono passati tutti i limiti. Esce con passo deciso dal suo ufficio, entra nella sala concerti tenendo le mani ben premute sulle orecchie, s’infila dietro al palco e stacca la spina che alimenta l’impianto. «Voi siete pazzi! Vi prego di andarvene subito!» Finisce così il primo concerto di una band destinata a diventare il simbolo del punk britannico.


01 novembre, 2017

2 novembre 1984 – Tornano i Deep Purple

«Dopo tanti cambiamenti negli ultimi anni crediamo giusto chiudere la storia del gruppo in un momento di creatività piuttosto che aspettare gli inevitabili momenti bui». Così nel mese di luglio del 1976 Rob Cooksey, il manager dei Deep Purple, annunciava lo scioglimento ufficiale di una delle storiche band dell'hard rock. Pochi mesi dopo, quasi a sancire l'irrevocabilità della decisione, il chitarrista Tommy Bolin moriva d'overdose a Miami, dove era impegnato nella tournée del Jeff Beck Group. Come spesso accade la fine prematura di un gruppo fa si che il successo postumo tocchi vertici pari, se non superiori a quello di quando il gruppo era attivo. Un fatto simile accade ai Deep Purple che vedono schizzare al vertice della classifica dei dischi più venduti una lunga sequenza di riedizioni, integrazioni e inediti. Progressivamente si fa così spazio l'idea di un ritorno sulle scene della band nella formazione originale o meglio, visti i successivi cambiamenti, in quella che la critica considera "la migliore formazione della storia della band". Inizialmente i componenti reagiscono più scocciati che indignati all'idea, ma con il salire delle offerte economiche iniziano i primi cedimenti. Là dove non sono riuscite le mozioni d'affetto riesce un'offerta di svariati milioni di dollari. Alla fine la notizia è ufficiale: i Deep Purple si riformano nella formazione storica, quella che comprende Ritchie Blackmore, Ian Gillan, Roger Glover, Jon Lord e Ian Paice. Contrariamente alle previsioni l'annuncio non entusiasma i fans della prima ora, convinti che si tratti di un'operazione commerciale destinata a danneggiare la stessa immagine della band. Il 2 novembre 1984, quando tutti sono ormai rassegnati ad ascoltare il prodotto di un gruppo privo di mordente e riunitosi soltanto per soldi, vede la luce Perfect strangers, un album che smentisce i più pessimisti. I Deep Purple tornano sulle scene con un disco semplice e privo di effetti speciali che proprio per la sua modestia appare fresco e convincente. È l'inizio di un nuovo capitolo nella storia della band che finirà per sopravvivere a se stessa, a volte con ironia, come nell'album Nobody's perfect (Nessuno è perfetto), altre volte con maggior presunzione. Numerosi saranno i cambiamenti di formazione che finiranno, a volte, per togliere credibilità a una band che resta nella leggenda per la sua originale formula di hard rock.


1° novembre 1985 – I Big Audio Dynamite

Preceduto dal singolo The bottom line il 1 novembre 1985 viene pubblicato This is Big Audio Dynamite, il primo album dei Big Audio Dynamite, presto abbreviati in B.A.D., la nuova band formata dall’ex chitarrista dei Clash Mick Jones con l'ex DJ del Roxy Club, il giamaicano Don Letts. La formazione comprende anche il tastierista Dan Donovan, il bassista Leo Williams e il batterista Greg Roberts. La pubblicazione del disco ripropone all'attenzione di pubblico e critica Mick Jones molti mesi dopo le antipatiche vicende che hanno visto la sua estromissione dalla band di Joe Strummer e Paul Simonon con l'infamante accusa di essersi «allontanato dall'idea originaria dei Clash». Paradossalmente il debutto discografico dei Big Audio Dynamite avviene mentre i Clash sono ormai arrivati al capolinea della loro storia con la pubblicazione del modesto album Cut the crap. Ancora più paradossale, alla luce delle critiche con le quali era stato "licenziato" dai suoi compagni, è che proprio nel disco del nuovo gruppo di Jones si possa ritrovare l’atmosfera dei giorni migliori del suo vecchio gruppo, più di quanto lo stesso chitarrista sia disposto ad ammettere. Aggressivamente terzomondista e aperto alle più disparate contaminazioni sonore il lavoro dei B.A.D. sembra davvero ripercorrere nei temi e nelle sonorità molte delle strade già percorse dai Clash con maggior genuinità e freschezza delle ultime performance di Strummer e compagni. L'esperienza si dimostrerà più longeva di quanto probabilmente fosse nelle intenzioni di Mick Jones e costituirà il perno di una sorta di laboratorio musicale e politico la cui attività si farà sentire, sia pur tra alti, bassi e qualche contraddizione, per quasi tutti gli anni Ottanta. Morti i Clash sarà proprio attorno ai Big Audio Dynamite che i vecchi componenti tenteranno, in qualche modo, di continuarne l'esperienza. Il secondo album della band, No. 10, Upping St., registrato a Soho, avrà come produttore nientemeno che quello stesso Joe Strummer che qualche anno prima aveva cacciato Jones dai Clash per "alto tradimento". L'album segnerà anche il ritorno alla collaborazione attiva dei due musicisti, che firmeranno vari brani. Nel 1988 sarà il turno di un altro ex Clash, Paul Simonon, il secondo "grande accusatore" di Mick Jones. La sua collaborazione non sarà musicale ma… decorativa, visto che illustrerà la copertina dell'album Tighten up, vol. '88.

31 ottobre, 2017

31 ottobre 1937 - Nasce Tom Paxton, folksinger e studente modello

Il 31 ottobre 1937 nasce a Chicago, nell’Illinois, il folksinger Tom Paxton. A dieci anni si trasferisce con la famiglia in Oklahoma dove compie l'intero corso di studi mettendosi in evidenza come una sorta di "studente modello". Quando si laurea non ha ancora compiuto ventidue anni, ma ha il difetto di occuparsi troppo da vicino dei problemi politici e sociali. Appassionato di musica, compone e canta canzoni che si richiamano alla tradizione folk statunitense. I suoi modelli sono i folksinger impegnati sul fronte dei diritti civili e sindacali, come Woody Guthrie e Pete Seeger. Dopo la laurea delude i genitori che sognano per lui un impiego tranquillo e va al Greenwich Village di New York. Nei primi anni Sessanta il suo nome figura tra i collaboratori delle riviste "Sing Out!" e "Broadside", oltre che sui cartelloni dei locali, in particolare del Gaslight dove si esibisce come folk-singer. Qui incontra anche Margaret Ann Cummings, una delle più popolari attiviste del movimento degli studenti che nel 1963 diventa sua moglie e, dicono i maligni, da quel momento, lo condiziona verso scelte sempre più radicali. I discografici amano più le sue canzoni che lui tanto che solo nel 1965, a ventotto anni, riesce a pubblicare il suo primo album Ramblin' boy, seguito da molti altri. Il successo commerciale non è tra i suoi obiettivi e, puntualmente, non arriva, ma la nicchia dei suoi estimatori si allarga. Impegnato nella lotta contro la guerra del Vietnam e soggetto a pressioni notevoli nel 1971 decide di cambiare aria. Se ne va in Gran Bretagna dove pubblica album come How come the sun, Peace will come e New songs for old friends. Quando le acque si calmano torna negli Stati Uniti e se ne va a vivere nella comunità rurale di Long Island continuando a pubblicare di tanto in tanto qualche disco. Negli anni successivi la critica rivaluterà il suo lavoro inserendolo nel ristretto numero dei più prestigiosi autori folk degli anni Sessanta.

26 ottobre, 2017

27 ottobre 1999 – L'ultimo concerto di Lester Bowie

Il 27 ottobre 1999 al New Morning di Parigi è di scena il trombettista Lester Bowie, uno dei grandi protagonisti dell'epopea del free-jazz, con il suo gruppo Brass Fantasy. Il concerto è seguito con grande attenzione da un pubblico di appassionati. Bowie appare stanco e provato. Più d'una volta abbandona la scena per riposarsi ma i suoi interventi solistici sono di altissimo livello come sempre. Il pubblico lo capisce e lo sostiene con caldi applausi a scena aperta. Non è un mistero che il trombettista sia da tempo ammalato di cancro al fegato, anche se la lunga battaglia per la vita ne ha rallentato ma non fermato l'attività artistica. Gli spettatori del New Morning non lo sanno, ma stanno assistendo all'ultimo concerto del grande jazzista. Qualche giorno dopo la tappa londinese del suo tour europeo verrà infatti annullata a causa di un improvviso peggioramento delle sue condizioni di salute. Ricoverato in un ospedale di Londra chiederà di poter tornare a casa, negli Stati Uniti. Verrà accontentato e l'8 novembre morirà a New York. Si chiude così, a cinquantotto anni la storia di un personaggio determinante nel rinnovamento del linguaggio jazzistico del dopoguerra. Figlio di un trombettista a soli cinque anni inizia a studiare musica con lo strumento del padre. A dieci anni è già attivamente impegnato con orchestre scolastiche e con la banda della sua comunità religiosa. A vent'anni ha già suonato con quasi tutti i principali esponenti della scena musicale di Saint Louis e per un per un breve periodo ha anche diretto un quintetto hard bop. Negli anni seguenti accompagna in varie tournée del sud e del centro degli Stati Uniti molti musicisti di rhythm and blues, tra cui Oliver Sain, Little Minton, Albert King e Jerry Brown. Nella primavera del 1966 il suo orizzonte musicale si allarga dopo una breve esperienza nella Experimental Band di Muhal Richard Abrams. Qui conosce Roscoe Mitchell, che lo vuole con sé nell'Art Ensemble insieme a Malachi Favors e a Philip Wilson. Da quel momento diventa uno dei protagonisti di quella corrente che qualche anno più tardi verrà chiamata free-jazz. Nel 1968 contribuisce in modo determinante alla formazione del B.A.G. (Black Artists Group), una sorta di organizzazione degli strumentisti neri parallela alla potente Association of Advancement of Creative Music. Esponente di primo piano dell'Art Ensemble of Chicago caratterizza con la sua tromba l'esplosione del jazz negli anni Settanta.

26 ottobre 1991 – La quarta volta di Belinda Carlisle

Il 26 ottobre 1991 l’album Live your life to be free di Belinda Carlisle entra nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna. Quattro album pubblicati e quattro successi: questo è il bilancio della carriera solista dell’ex cantante e fondatrice delle Go-Go’s a otto anni di distanza dallo scioglimento della band. È una bella risposta a chi nel 1984, all’annuncio della sua intenzione di non abbandonare la scena musicale dopo il dissolvimento del gruppo le aveva pronosticato «una carriera fatta più di fotografie sui calendari e su riviste patinate che di canzoni…». Belinda può finalmente togliersi qualche soddisfazione nei confronti di chi ha sottovalutato il suo talento. D’altra parte che le sue qualità non consistono soltanto in un visino d’angelo su un fisico da pin up è chiaro fin dal 1978 quando a Los Angeles insieme alla chitarrista Jane Wiedlin dà vita a un gruppo rock di sole donne con l’altra chitarrista Charlotte Caffey, la bassista Kathy Valentine e la batterista Gina Shock. Gli inizi non sono facili e le loro prospettive non vanno oltre una lunga serie di contratti a gettone nei club della loro città. La fortuna però le aiuta. Una sera suonano nel “Whisky a Go-go” di Los Angeles e vengono notate dai Madness, impegnati in un breve tour statunitense, che le invitano a seguirli in Gran Bretagna. Quando sbarcano sul suolo britannico non hanno nemmeno un nome, visto che fino a quel momento si sono adattate a quelli coniati per loro dai proprietari dei locali. Scritturate dall’etichetta alternativa Stiff decidono di chiamarsi Go-Go’s in onore del luogo in cui hanno conosciuto i Madness. Il loro successo è rapidissimo. Nel 1981 il primo album, Beauty and the beat, arriva al vertice della classifica statunitense e il loro successo sembra inarrestabile. La favola finisce invece nel 1984 quando le ragazze si separano intenzionate a percorrere strade diverse. Belinda Carlisle sceglie di diventare cantante solista. In pochi pensano che possa farcela: è troppo carina per avere cervello! Non l’aiuta nessuno. L’unica che le dà davvero una mano è la sua compagna d’avventura nelle Go-Go’s Charlotte Caffey, che, pur impegnata con una nuova band, quando serve suona e canta con lei. Lo scetticismo non la scuote. S’impegna a fondo e ce la fa, alla faccia di chi diceva che non avesse talento.

25 ottobre, 2017

25 ottobre 1986 – Bello, impossibile e primo


Il 25 ottobre 1986 arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti in Italia il brano Bello e impossibile, interpretato da Gianna Nannini che ne è anche l'autrice insieme a Pianigiani. Definito dalla critica del tempo come «il più elettrizzante singolo della storia artistica della cantautrice alla nitroglicerina» e compreso nel fortunato album Profumo rimarrà in testa alla hit parade italiana per cinque settimane e si rivelerà un successo dalle proporzioni inaspettate totalizzando ben ventitré settimane complessive di permanenza nella classifica dei dischi più venduti. L'exploit della cantante senese non si ferma all'interno dei confini italiani. Nell'inverno a cavallo tra il 1986 e il 1987 mezza Europa canta in italiano un ritornello che sembra fatto apposta per essere facilmente memorizzato e cantato in coro. Dal punto di vista musicale la canzone rappresenta la sintesi più alta raggiunta fino a quel momento tra la linea melodica tradizionale della canzone italiana e la struttura ritmica del rock. Il gioco è intelligente e decisamente fuori dalla norma. Il segreto del successo del brano è da ricercare proprio nel suo essere insieme innovativo e conservatore. Se gli si toglie il supporto di basso, batteria e chitarra rivela una trascinante costruzione "a stornello" in linea con la più classica tradizione melodico-popolare del nostro paese. Parlare di word music è forse troppo, ma il meccanismo è sicuramente quello: strutture ritmiche moderne innestate su una melodia in linea con lo sviluppo musicale del paese dove nasce. Non è la prima volta che la ragazzaccia di Siena tenta esperimenti simili, anzi c'è chi sostiene, non senza ragione, che quasi tutta la sua produzione abbia queste caratteristiche. A supportare la scalata al successo del brano c'è anche un geniale videoclip realizzato da una coppia di esperti nel genere come i Torpedo Twins che fanno dimenticare la precedente, negativa esperienza con Michelangelo Antonioni per la canzone Fotoromanza. Per il pubblico italiano Bello e impossibile ha poi un altro elemento di novità nel testo che capovolge la tradizionale costruzione della storia delle canzoni d'amore al femminile. Per la prima volta il maschio è visto come oggetto passivo di un desiderio irrazionale e quasi esclusivamente sensuale. La rottura con il passato è netta e senza alcuna spiegazione aggiuntiva. Le ragazze degli anni Ottanta la percepiscono, vi si riconoscono e decretano il successo del brano.


24 ottobre, 2017

24 ottobre 1978 – Keith Richards condannato a suonare per beneficenza

Un muro umano di fotografi, cameramen e cronisti presidia il 24 ottobre 1978 il Palazzo di Giustizia di Toronto in Canada, mentre la polizia fatica a contenere una folla di curiosi che continua a crescere di numero. Sono centinaia le persone che cercano di entrare nella sala dove si sta svolgendo l’udienza conclusiva di un processo che vede sul banco degli imputati il chitarrista Keith Richards dei Rolling Stones, accusato di detenzione di sostanze stupefacenti. I fatti contestati risalgono al 29 febbraio 1977, quando una squadra speciale della polizia canadese, allertata da una telefonata anonima, aveva fatto irruzione nella camera occupata dalla rockstar all’Harbour Castle Hotel di Toronto, rinvenendo ventidue grammi di eroina e cinque di cocaina. Arrestato immediatamente, il chitarrista era poi stato rilasciato dopo il pagamento di venticinquemila dollari di cauzione. L’accusa, vista la quantità di droga sequestrata è di detenzione a scopo di spaccio, ma fin dal primo momento Richards faceva capire che la sua linea di difesa sarebbe stata quella di chiedere la derubricazione del reato in detenzione per consumo personale. La vicenda, vista la popolarità del protagonista attira l’attenzione dei media che mettono in risalto come la legislazione contro la diffusione e il consumo di stupefacenti sia inadeguata e ingiusta. «Solo i poveri vanno in galera. I ricchi no», è il leit-motiv di una campagna che vede anche le associazioni antiproibizioniste prendere posizione contro gli effetti di una normativa che ritengono devastante sul piano sociale. Il reato contestato al chitarrista dei Rolling Stones prevede un pena che consiste in periodo di reclusione che può arrivare fino a diciotto mesi, convertibile in una sanzione monetaria o in lavori socialmente utili, e una multa salata, però tutti sanno che le sue pressoché illimitate possibilità economiche lo rendono, nei fatti, diverso dal piccolo spacciatore squattrinato. I ricchi possono pagarsi la libertà, i poveri possono scegliere tra la galera o un periodo lavorativo al servizio della collettività. Per queste ragioni quando il giudice Lloyd Graburn entra nell’aula del Palazzo di Giustizia per la lettura della sentenza, c’è un silenzio carico di tensione. «Io credo – dice il giudice – che i legislatori di questo stato abbiano in mente una giustizia capace di equità e in grado di costituire un punto di riferimento certo per tutti i cittadini. Questo impone a noi, che ci troviamo a dover giudicare i reati e a comminare le pene, di valutare bene le conseguenze che i nostri atti possono avere non solo per l’imputato, ma anche per la società. Guai se si pensasse che le legge non è uguale per tutti». In conclusione decide di accettare la tesi del “consumo personale” ma di trattare Keith Richards come tutti gli altri. Lo obbliga a sottoporsi a un trattamento disintossicante e gli impone di prestare la sua capacità lavorativa al servizio della collettività determinandone anche le modalità: entro sei mesi deve tenere un concerto di beneficenza in un luogo di sua scelta purché sul territorio canadese. Il ricavato dell’esibizione deve essere destinato a un istituto di assistenza ai ciechi, il Canadian National Institute for Blind. Non c’è, quindi, possibilità di convertire la pena in una sanzione monetaria. È una sentenza emblematica perché, pur non comportando pene particolarmente pesanti, equipara una persona dalle notevoli possibilità finanziarie al piccolo spacciatore squattrinato attribuendo un valore monetario al lavoro. Il chitarrista si sottoporrà di buon grado a quanto disposto dal giudice e il 22 aprile 1979 terrà il concerto previsto dalla sentenza nel Civic Auditorium di Ottawa accompagnato dai New Barbarians, un gruppo composto dall’altro chitarrista dei Rolling Stones Ron Wood, dal bassista Stanley Clarke, dall’ex tastierista dei Faces Ian McLagan e dall’ex batterista dei Meters Ziggy Modeliste.


23 ottobre, 2017

23 ottobre 1951 – Muore il cornettista Charlie Creath, un caposcuola dimenticato

Il 23 ottobre 1951 muore a Chicago nell’Illinois il leggendario cornettista Charlie Creath registrato all’anagrafe con il nome di Charles Cyril Creath. Ha sessantun anni e da tempo si è ritirato dalle scene musicali. La sua morte non fa notizia, eppure fino agli anni Quaranta la sua è stata una figura di primaria importanza del jazz statunitense. Nato nel 1890 a Ironton, nel Missouri, non ha ancora sedici anni quando ottiene il suo primo ingaggio professionale con la Pop Adam’s Circus Band. Dopo aver formato a Seattle un’orchestra con il suo nome, nel 1918 si trasferisce a St. Louis dove il suo stile diventa modello e fonte d’ispirazione per un nutrito gruppo di cornettisti che negli anni successivi verranno raggruppati dalla critica sotto il nome “scuola di St. Louis”: Dewey Jackson, Bob Shoffner, Shirley Clay, Leonard Davis, Ed Allen e Albert Snaer. Il suo lavoro ottiene sempre maggiori consensi e la sua orchestra è una delle poche, negli anni Venti, capace di confrontarsi da pari a pari con le migliori jazz bands di New Orleans. Tra il 1924 e il 1927 registra insieme al gruppo una serie di dischi per la Okeh destinati a far conoscere in tutto il mondo il jazz di St. Louis, considerato dalla critica più elaborato e raffinato di quello della scuola di New Orleans , senza nulla perdere in grinta e in calore. In questo senso il suo lavoro anticipa la futura evoluzione del jazz orchestrale attribuendo una importanza notevole all’arrangiamento. Nel 1926 il pianista Fate Marable lo chiama a far parte della prestigiosa Capitol SS (SteamShip) Orchestra con la quale resterà per lungo tempo fino a diventarne nel 1935 il co-leader insieme allo stesso Marable. Pur avendo da poco passato i cinquant’anni Creath si sente vecchio. L’ambiente del jazz è ormai molto diverso da quello pionieristico che ha conosciuto all’inizio della sua carriera. Più il tempo passa e meno riesce a capire i cambiamenti del suo mondo. «Il jazz era libertà. Le uniche regole le davano gli arrangiatori e i direttori d’orchestra. Adesso anche chi non capisce un accidente si sente in dovere di darti qualche consiglio e, se produce i tuoi dischi o ti fa da manager, qualche ordine». Scappa e se ne va a Chicago dove apre un locale notturno. Per qualche tempo continua a suonare per gli avventori, ma poi decide di ritirarsi definitivamente.


22 ottobre, 2017

22 ottobre 1976 – È dei Damned il primo disco punk!

Il 22 ottobre 1976 la neonata etichetta Stiff Records pubblica in Gran Bretagna il singolo a 45 giri New Rose dei Damned, universalmente considerato il primo disco ufficiale pubblicato da un gruppo punk. Sul retro c’è una sgangherata cover di Help dei Beatles. La band nasce da una costola dei London SS, un gruppo fantasma nato nella boutique di Malcom McLaren che pur non arrivando mai in sala di incisione, ha visto passare al suo interno un sacco di futuri protagonisti a partire da Mick Jones dei futuri Clash. Fra i tanti ci sono anche il batterista Rat Scabies e il chitarrista Brian James. Con l’arrivo del bassista hippie Ray Burns, in arte Captain Sensible, diventano Subterraneans e quando nel luglio del 1976 trovano il cantante in un ex becchino di nome Dave Vanian si ribattezzano definitivamente Damned. Il primo ad accorgersi di loro è Nick Lowe che produce proprio New Rose, l’esordio su vinile della civiltà punk inglese. Nei primi mesi del 1977 arriveranno Neat Neat Neat e l'album Damned Damned Damned che segneranno l’apparente consacrazione della band nell’empireo del rock. L’avventura continuerà nonostante la fine del punk e i progressivi abbandoni di vari componenti del nucleo storico. Ai primi Damned resteranno due indiscussi pregi: quello di essere stati il primo gruppo punk a registrare un disco vero e, soprattutto, quello di averla fin dall’inizio buttata sul ridere mostrando di non prendersi mai troppo sul serio.

15 ottobre, 2017

15 ottobre 1968 – Come uno Zeppelin di piombo

Il 15 ottobre 1968 due componenti degli Who, il batterista Keith Moon e il bassista John Entwistle, sono nell’aula magna della Surrey University. Anonimi e confusi tra il pubblico stanno assistendo a un concerto dei New Yardbirds, la band formata dopo lo scioglimento degli Yardbirds dal chitarrista Jimmy Page e dal bassista John Paul Jones con il cantante Robert Plant e il batterista John Henry “Bonzo” Bonham, entrambi provenienti dai Band of Joy. I due componenti degli Who, amici del manager del gruppo Peter Grant, non sembrano particolarmente convinti da quanto accade sul palco. L’esibizione nonostante abbia scatenato l’entusiasmo del pubblico li lascia perplessi. Fanno notare a Grant come il gruppo di Page, salito sul palco senza particolare entusiasmo, si sia poi progressivamente sgonfiato fino a dare l’impressione di aver fretta di chiudere. Quando vanno nei camerini a salutare i musicisti ne parlano con lo stesso Page che non ha alcuna difficoltà ad ammettere che l’impressione è quella giusta. Non cerca giustificazioni. Attribuisce la brutta esibizione soprattutto alla stanchezza per un repertorio, quello dei vecchi Yardbirds, che non soddisfa più le loro esigenze artistiche, ma che deve essere eseguito per esigenze contrattuali. «Abbiamo pronto un nuovo repertorio, un buon numero di nuovi pezzi e stiamo ancora cercando un nome per la band. Vogliamo cambiare, abbiamo bisogno di cambiare… cambieremo», dice il chitarrista. Il clima è disteso e rilassato perciò sia Moon che Entwistle iniziano a fare battute con i ragazzi del gruppo sul concerto. In particolare il batterista degli Who ridendo dice «Going down like a lead Zeppelin» (Siete andati giù come uno Zeppelin di piombo). Il riferimento al nome dei famosi dirigibili tedeschi colpisce Jimmy Page che ammicca alla battuta, ma si fissa bene in mente la frase. Qualche giorno dopo le ultime due parole ispireranno il nuovo nome del gruppo. Tolta la “a” di “Lead”, i New Yardbirds diventeranno così i Led Zeppelin, uno dei grandi gruppi di culto della storia del rock destinato a entrare nella leggenda. Gli storici musicali li indicheranno come gli artefici della vera svolta post-Beatles, originali creatori di una miscela di blues elettrico e rock ad altissimo volume capace di recuperare la carica eversiva di un genere che iniziava a spegnersi.

01 agosto, 2017

1° agosto 1966 - Al concerto degli Who una serata di straordinaria follia

Nel 1966 il National Jazz and Blues Festival di Windsor, arrivato alla sua sesta edizione, è ormai considerato uno dei più importanti appuntamenti musicali dell’estate inglese. Articolato su una serie di concerti che si svolgono nel periodo compreso tra gli ultimi giorni di luglio e la metà d’agosto, si è evoluto nel tempo. Intelligentemente ha iniziato a dare spazio, oltre che al jazz tradizionale, anche ai nuovi gruppi emergenti della scena rock britannica, attirando così l’attenzione di un vasto pubblico giovanile. Il programma del 1966 prevede l’esibizione di band come gli Yardbirds, Chris Farlowe, i Move, gli esordienti Cream, ma soprattutto gli attesissimi Who. Questi ultimi, distruttori di strumenti e famosi per la loro musica violenta, sono divenuti in breve tempo l’emblema del movimento Mod. La loro My generation (Spero di morire prima di diventare vecchio/sto parlando della mia generazione) è quasi un inno per la gioventù inglese in cerca di emozioni forti e mette in evidenza la capacità del gruppo di essere, più di tutti gli altri, capace di fornire una colonna sonora alle prime bande giovanili. La loro musica è violenta, aggressiva e i loro fans sono parte di quella massa enorme di ragazzi che anni dopo verrà definita “proletariato giovanile”. Sono i giovani nati e cresciuti nelle periferie industriali delle grandi città britanniche che lasciano presto la scuola per lavorare in fabbrica. La loro voglia di cambiare è rabbia inespressa, primitiva. L’idea di cambiamento non si alimenta con ideali, non c’è tempo. C’è da lavorare per tirare avanti e resta solo il fine settimana per coltivare il sogno di una vita diversa. Ci sono gli amici, la musica e la possibilità di rompere, meglio se con la violenza, il quieto conformismo di una settimana lavorativa che al lunedì, tutti i lunedì, ricomincia sempre uguale a se stessa. Ce l’hanno con tutti, ma soprattutto con i loro genitori che non hanno fatto niente per cambiare la vita e l’ambiente in cui vivono. La loro è una ribellione senza particolari obiettivi e gli Who ne sono i profeti ideali. Il chitarrista Pete Townshend così definisce la filosofia mod: «I Mod sono il rifiuto di quello che c’era prima. Se ne fregano della tv, delle beghe dei politici e della guerra del Vietnam...». Con il tempo il gruppo cambierà registro, analizzerà a fondo le ragioni del suo successo e cercherà contenuti nuovi producendo capolavori come Tommy o Quadrophenia, ma nel 1966 è ancora un concentrato di rabbia e violenza pura. I suoi componenti, Roger Daltrey, Pete Townshend, John Entwistle e Keith Moon non sono differenti dai ragazzi che li amano. Litigano spesso, s’azzuffano, vivono senza regole e quasi quotidianamente annunciano l’intenzione di sciogliere la band. Il 1° agosto 1966, comunque, sono a Windsor, come prevede il programma del festival. Quando salgono sul palco l’immenso tendone che ospita i concerti fatica a contenere l’entusiasmo di centinaia di spettatori accaldati e stretti come sardine. Dopo un’ora e mezza di concerto gli Who danno il via al rito della violenta distruzione dei loro strumenti. Quando Pete Townshend spacca contro il pavimento del palco la sua chitarra, un giovane spettatore delle ultime file fa lo stesso con una sedia lanciando i pezzi in aria. Quasi fosse un segnale la maggioranza dei presenti inizia a rompere tutto quello che gli capita sotto mano. I pochi agenti di polizia presenti sul posto chiamano rinforzi, mentre gli organizzatori si affannano nel vano tentativo di convincere i ragazzi a desistere dalla loro opera di distruzione. Tutto è inutile. In preda a una sorta di follia collettiva, prima che le forze dell’ordine riescano a fermarli, i giovani, dopo aver scalato le strutture metalliche, completano la loro opera distruggendo anche il tendone che ospita i concerti.

20 giugno, 2017

20 giugno 1987 – Lisa l'ispanica

Il 20 giugno 1987 al vertice della classifica statunitense dei singoli più venduti svetta il brano Head to toe, la cui interpretazione è firmata dai Lisa Lisa & Cult Jam. Il brano, estratto dall'album Spanish Fly, porta per la quarta volta nelle classifiche di vendita la band nata nei quartieri ispanici di New York. Il risultato smentisce poi le previsioni di quei critici che avevano considerato Lisa Lisa & Cult Jam poco più di una meteora nata casualmente nel vorticoso mondo della dance. Il gruppo nasce nella prima metà degli anni Ottanta quando la sua leader indiscussa, Lisa Velez, incontra Mike Hughes e Alex "Spanador" Mosley, che fino a quel momento hanno raggranellato qualche soldo suonando come musicisti di studio. I tre si mettono insieme e iniziano a proporsi, senza risultato, a varie case discografiche. Rassegnati stanno per chiudere bottega quando incontrano i Full Force, una band formata dai fratelli Lou, Paul e Brian George con Gerry Charles, Junior Clarke e Curt Bedeau, di cui si dice un gran bene. I due gruppi uniscono gli sforzi e, proprio grazie alla relativa popolarità dei Full Force, nel 1985 pubblicano l'album Lisa Lisa & Cult Jam with Full Force con tre singoli dance di successo. Mentre per i Full Force la strada diventa facile, Lisa Lisa & Cult Jam vengono considerati un po' come dei miracolati cui è toccato in sorte il biglietto vincente della lotteria. Faticano a trovare qualcuno che creda nelle loro possibilità e soltanto nel 1987 riescono a pubblicare il loro primo album da soli: Spanish fly. Sostenuta dal tifo delle comunità ispaniche la band vola alta. Arriva al vertice delle classifiche con Head to one e si ripete con Lost in emotion. La band dell'orgogliosa Lisa Velez ce l'ha fatta. Nel 1990 dedicherà alla sua gente l'album Straight outta hell's kitchen prendendo in prestito il nomignolo sprezzante con cui i benpensanti newyorkesi chiamano il quartiere dove è nata: Hell's kitchen (cucina dell'inferno).

10 giugno, 2017

10 giugno 1940 – C’è la guerra, niente musica americana!

Il 10 giugno 1940, mentre Benito Mussolini annuncia che l’Italia fascista ha dichiarato guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, un provvedimento specifico vieta di ballare in pubblico e procede alla chiusura dei locali notturni. Da tempo, nel suo processo di normalizzazione della cultura e dello spettacolo, il regime fascista alterna provvedimenti durissimi a momenti di liberalizzazione di fatto. Più si stringono i rapporti con la Germania nazista e maggiori si fanno le restrizioni alla libertà di espressione, non solo in campo musicale. Dopo la promulgazione delle famigerate leggi razziali si è assistito a un progressivo giro di vite contro tutto ciò che può essere occasione di scambio di idee o che appare, sia pur velatamente, "straniero". La dichiarazione di guerra peggiora ancora la situazione. Un bando apposito comunica agli italiani che la "musica americana" o anche solo "d’ispirazione americana" debba intendersi categoricamente proibita. Dopo gli autori di origine ebrea vengono anche il jazz viene cancellato, nonostante uno dei figli di Mussolini, Romano, riscuota la stima dei musicisti che lo considerano uno dei più promettenti esponenti del genere. Di fronte all'attacco inizia la resistenza. Con fantasia e genialità c’è chi aggira i divieti, spesso rischiando la carriera e, in qualche caso, la vita stessa. Uno dei personaggi più singolari del periodo fascista è il jazzista Luigi Redaelli che, con lo pseudonimo di Pippo Starnazza, se ne frega dei divieti e continua a cantare in un inglese strampalato e inventato riproponendo al pubblico classici proibiti come Dinah, Sweet Sue o St. Louis blues. Lo fa giocando sull'ironia. Con una buffa voce da nero americano, un inglese maccheronico con un forte accento milanese e le smorfie della sua faccia di gomma confonde le idee della censura provinciale e ignorante dell’italietta fascista che vede in lui più una macchietta che un grande batterista jazz quale egli è. Si costruisce un personaggio unico come la grancassa della sua batteria, sulla quale sono dipinti un buffo ritratto e lo scudetto dell’Inter. Al di là degli aspetti più coloriti, il suo lavoro resta un momento di resistenza importante perché, oltre a mantenere in vita un genere musicale che si vuol cancellare, dà la possibilità a vari strumentisti di continuare a lavorare nonostante la censura.

16 maggio, 2017

16 maggio 1969 - Gli Who malmenano un poliziotto

Il 16 maggio 1969 gli Who si esibiscono al Fillmore East di New York. Lo scenario è quello che da qualche tempo accompagna i concerti della band, soprattutto nelle esibizioni statunitensi: una folla impressionante di ragazze e ragazzi che si accalca urlante sotto il palco mentre il servizio d'ordine è impegnato con molta fatica a contenere l'entusiasmo dei più agitati. Ogni tanto qualcuno riesce a passare il primo cordone di sicurezza e ad avvicinarsi pericolosamente al palco prima di essere riacciuffato e ributtato indietro di peso dagli addetti al servizio d'ordine. È un gioco pericoloso, ma sembra che i fans lo trovino divertente al punto che fa ormai parte del tradizionale scenario dei concerti degli Who. In quel 16 maggio però avviene un evento imprevedibile. Nel palazzo vicino al luogo del concerto scoppia un incendio. L'assordante volume dell'amplificazione e la quasi completa insonorizzazione del locale impediscono agli spettatori chiusi nel Fillmore East di accorgersi che all'esterno c'è una situazione d'emergenza. In realtà non c'è alcun pericolo diretto perché le fiamme sono a una distanza tale da non poter minacciare direttamente né tantomeno raggiungere il locale che ospita il concerto degli Who. I responsabili dell'ordine pubblico temono però che al termine dell'esibizione della band l'uscita massiccia di centinaia di persone e l'inevitabile confusione possano creare problemi ai vigili del fuoco impegnati nello spegnimento. Dopo un breve consulto viene presa la decisione di avvertire gli spettatori del concerto di quanto sta succedendo all'esterno, spiegando che non ci sono rischi ma invitandoli a defluire con calma e attenzione. Via radio vengono informati della decisione gli agenti in borghese all'interno del Fillmore East con la raccomandazione di evitare panico inutile. L'ordine è quello di avvertire al pubblico alla fine del concerto, chiedendo magari la collaborazione dei musicisti del gruppo per ottenere l'attenzione necessaria. Uno dei poliziotti in servizio però, a dispetto degli ordini ricevuti, decide di fare da solo senza aspettare la conclusione del concerto. Mentre Roger Daltrey il cantante degli Who sta presentando al pubblico un brano. L'agente, che è in borghese, balza sul palco e tenta di impossessarsi del microfono. Il chitarrista Pete Townshend, pensando di trovarsi di fronte a uno squilibrato sfuggito al servizio d'ordine si lancia verso di lui  e prima che l'uomo riesca a qualificarsi lo colpisce con un tremendo calcio. Gli Who di quel periodo sono tipetti tosti e abituati a menar le mani. E così mentre il malcapitato cade a terra il bassista John Entwistle, prima ancora di verificare chi sia il disturbatore, gli fracassa lo strumento sulla schiena. Vedendo il collega malmenato i poliziotti presenti nel locale si muovono velocemente verso il palco tentando di intervenire ma non ce la fanno a oltrepassare un servizio d'ordine allenato a reggere l'urto dei fans esagitati e vengono respinti. Nel parapiglia che segue anche il pubblico fa la sua parte e per alcuni minuti il concerto si trasforma in una gigantesca rissa. Pian piano ci si rende conto della serie di equivoci da cui tutto è nato e, sia pur con qualche difficoltà, torna la calma. Il concerto però non può più riprendere perché il responsabile delle forze dell'ordine interne al locale decide di arrestare Pete Townshend per aggressione nei confronti di un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni. Il chitarrista passerà la notte in carcere e soltanto il giorno dopo riuscirà a dimostrare la sua buona fede.