01 gennaio, 2018

2 gennaio 2009 - Addio Valentina

Il 2 gennaio 2009 al Policlinico Le Scotte di Siena nonostante un disperato intervento chirurgico muore Valentina Giovagnini, uno dei più talentuosi e promettenti personaggi della scena pop italiana. La cantante ha ventiquattro anni ed è stata ricoverata in gravissime condizioni nel pomeriggio dopo essere uscita di strada con la sua vettura schiantandosi contro un albero a lato della carreggiata. Nata ad Arezzo il 6 aprile 1980 Valentina studia canto, pianoforte e flauto e frequenta il liceo musicale della sua città. Nel 2002 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Il passo silenzioso della neve, piazzandosi al secondo posto con un grande consenso di pubblico e critica. A distanza di un mese dalla manifestazione Valentina viene premiata a Sanremo Top come l'artista più venduta della categoria giovani. A marzo dello stesso anno pubblica il suo primo album Creatura nuda. Migliaia di persone partecipano ai suoi funerali che si svolgono il 4 gennaio 2009 presso la chiesa parrocchiale di Pozzo della Chiana. Il 15 maggio 2009 esce, postumo, il suo secondo album intitolato L'amore non ha fine.


18 dicembre, 2017

18 dicembre 1919 - Anita O'Day, una voce da brividi

Il 18 dicembre 1919 nasce a Chicago, nell’Illinois, Anita O’Day. Nel 1933 (o nel 1934 perchè lei stessa dice di non ricordare l’anno preciso) si esibisce per la prima volta in pubblico insieme a Frankie Laine. Allieva della Schurz High School nel 1939 viene ascoltata da Carl Cons, all’epoca direttore della rivista Down Beat che la convince a trasferirsi all'Off Beat Club, un locale adiacente al Three Deuces. Proprio in quel locale la O'Day, che dai critici dell'epoca viene definita come una cantante a metà strada tra Mildred Bailey e Billie Holiday, conosce Gene Krupa da poco ha formato una grande orchestra. Nel 1941 Krupa la invita a sostituire la cantante Irene Daye ritiratasi per sposarsi. Il suo debutto avviene il giorno di San Valentino a Minneapolis e per due anni il suo apporto alla formazione del batterista è determinante. La sua voce dà i brividi al pubblico e la cantante ammette di dover molto a Martha Raye la cui maniera di cantare le ha suggerito la strada da seguire. Nonostante il successo la sua paga resta ferma a cinquanta dollari la settimana. Quando lascia l’orchestra viene arrestata per possesso di marijuana e poi costretta agli arresti domiciliari. Lei non ha mai digerito questa storia e sostiene di essersi addossata colpe non sue proprio per salvare Gene Krupa. Nel 1944, mentre è ancora coinvolta dalle vicende giudiziarie viene scritturata da Stan Kenton su segnalazione di Vido Musso. Anita però non sopporta la vita nella grande orchestra e chiede a Kenton di lasciarla libera. Il buon  Stan la prega di restare fino a quando non avrà trovato una sostituta. È proprio la O'Day a scoprire al Three Deuces una giovane cantante di nome Shirley Luster e a offrirle il posto nell'orchestra di Kenton. La Luster, cambiato il nome in June Christy, diventerà una stella. Anita nel frattempo torna per qualche tempo con Krupa giusto per sbarcare il lunario visto che le grandi orchestre l’hanno stancata. Ripresa la sua libertà canta nei club, pur limitando parecchio la sua attività che soltanto verso la fine degli anni 1950 riprende vigore, particolarmente nel corso della edizione 1958 del festival di Newport da cui viene tratto il lungometraggio “Jazz On A Summer's Day”. Nel 1959 arriva in Europa con Goodman  e partecipa al film “Gene Krupa Story”. Negli anni Settanta è ancora tra le più apprezzate cantanti del mondo. Considerata per lungo tempo la migliore cantante bianca di jazz, ha influenzato cantanti famose. Muore a Los Angeles il 23 novembre 2006

14 dicembre, 2017

14 dicembre 1968 - Pierre Allier, uno dei primi jazzisti francesi

Il 14 dicembre 1968 muore a Parigi il trombettista Pierre Allier. Ha poco più di sessant'anni. È nato, infatti, il 25 febbraio 1908 a Grénoble. Considerato uno dei primi musicisti a "militare" nelle file del jazz francese, ha fatto parte soprattutto di gruppi di grandi dimensioni come quello di Gregor e i suoi Gregoriens, dal 1930 al 1935, o quello di Fred Adison. Successivamente ha suonato in varie orchestre parigine, fra le quali quella di Alix Combelle, prima di dar vita a un proprio gruppo agli inizi degli anni Quaranta. Entra poi nell'orchestra di. Ray Ventura, con la quale effettua la "famosa" lunga tournée nell’America del Sud che dura dal 1941 al 1944, cioè il perodo dell'occupazione nazista in Francia. Pur ispirandosi a Louis Armstrong, Pierre Allier suonava tuttavia in uno stile che molto doveva alla seconda generazione dei trombettisti di jazz.

29 novembre, 2017

30 novembre 1947 – Gli All Stars di Louis Armstrong, una straordinaria macchina da musica

Il 30 novembre 1947 alla Symphony Hall di Boston Louis Armstrong e i suoi All Stars tengono un concerto che cambierà la loro storia. Da quel giorno infatti quell’ensemble casuale e precario si trasformerà in una straordinaria macchina da musica malgrado l'alternarsi dei musicisti che il senso di supremazia di Louis e le circostanze imponevano. In quel lungo concerto alla Symphony Hall di Boston si assiste a un’evoluzione definitiva. Dopo anni in cui il disequilibrio interno ai gruppi che l’accompagnavano finiva per danneggiare lo stesso Armstrong, per la prima volta il grande Satchmo concretizza l’idea di avere quella base di lancio nuova che nessuno era stato in grado di garantirgli dopo gli anni Venti. Gli spettatori assistono a una sorta di miracolo. La nuova logica che governa la musica degli All Stars è quella della sfilata dei solisti su un tappeto musicale collettivo dominato dalla tecnica del dixieland. Fondamentale è il contributo di Barney Bigard e Jack Teagarden con il sottile lavoro di contrappunto che i due conoscono molto bene, provenendo da due scuole molto simili come quelle di Chicago e New Orleans. Il gioco delle parti è perfetto perchè ciascuno conosce a memoria pregi e difetti dell'altro e sa calcolare le entrate e le uscite in assolo con il massimo tempismo riempiendo poi i vuoti lasciati dalla tromba di Louis con splendidi arabeschi timbrici. Le caratteristiche della scuola creola da cui proviene vengono utilizzate da Bigard in modo più netto di quanto non facesse nell’orchestra di Ellington. A fargli da contrasto c’è la pacatezza di Teagarden che riesce alla perfezione a frenare i tempi nei quali Bigard dà impulso all'accelerazione. Armstrong può così inserirsi nel gioco dei contrappunti e se negli anni precedenti non era mai molto propenso a improvvisare negli assoli, da quel momento si lascia andare più liberamente, sicuro dalla validità dei partner. Dietro ai tre uomini della front-line, schierati secondo la formazione classica dello stile di New Orleans, il pianista Earl Hines realizza un prezioso lavoro di raccordo con tocchi rapidi e quando può esce in assolo con il sostegno del basso di Arwell Shaw e della batteria di Big Sid Catlett. In quella sera di Boston nasce una leggenda.

29 novembre 1889 - Richie Brunies, il leader della Reliance

Il 29 novembre 1889 a New Orleans, in Louisiana, nasce Richard Brunies. Fratello di Henry, Abbie, Merritt e George, inizia a suonare da professionista con la Reliance Brass Band, il gruppo fondato nel 1892 da Jack "Papa” Laine che ospiterà tra le sue file l'intero clan dei Brunies. Proprio Richie Brunies alla vigilia dello scoppio della prima guerra mondiale, diventa il leader della Reliance. La sua popolarità in quegli anni è vastissima. La straordinaria potenza di suono della sua cornetta ne fa il principale antagonista del leggendario Buddy Bolden. Richard Brunies fa poi parte, assieme ai fratelli Henry e Merritt, della Fischer's Brass Band diretta dal clarinettista Johnny Fischer, nonché dell'orchestra del trombonista Happy Schilling, una formazione da ballo non molto nota che annovera nelle sue file elementi di tutto rispetto come Johnny Wiggs, Monk Hazel, Achille Baquet, Freddie Loyacano e lo stesso Fischer. Dei cinque fratelli Brunies, Richard è l'unico che non ha registrato dischi né negli anni Venti né durante il New Orleans Revival del dopoguerra. Muore il 28 marzo 1961.

27 novembre, 2017

28 novembre 1889 – Ray Lopez, la cornetta del "jazz melodico"

Il 28 novembre 1889 nasce a New Orleans, in Louisiana, il cornettista Ray Lopez, uno degli esponenti più originali del "lato melodico" e più commerciale del jazz. Delle sue origini musicali non si sa molto. Il suo nome comincia a circolare insistentemente nell'ambiente alla fine del primo decennio del Novecento quando suona nella Reliance Brass Band di Jack Papa Laine, considerata un po' la culla dei più importanti dixielanders bianchi di New Orleans. Lì son passati tutti: da La Rocca a George Brunis, da Tom Brown a Leon Roppolo, da Larry Shields a Tony Sbarbaro. Ray si fa apprezzare per la morbidezza del suono e la capacità di adattarsi alle esigenze dell'orchestra senza rinunciare a sprazzi di intelligente iniziativa. Quando chiude con la Reliance entra a far parte della Tom Brown's Band From Dixieland, la jazz band fondata dal trombonista Tom Brown. Questo gruppo, di cui fanno parte, oltre a Brown e a lui, Larry Shields, Deacon Loyacono e Billy Lambert, nel 1915 se ne va a Chicago e trova la gloria. Il successo è tale che il gruppo si sdoppia per partecipare anche agli spettacoli di vaudeville senza pagare penali alle sale da ballo da cui è stato scritturato. Negli spettacoli si chiamano The Five Rubes, mentre nelle serate in sala riprendono il loro nome originale. Alla fine del decennio Ray se ne va e nei primi anni Venti è sulla West Coast, al California Ambassador Hotel di Los Angeles con l'orchestra di Abe Lyman, un'altra famosa formazione da ballo. In questo periodo incide anche qualche disco, ma negli anni successivi le sue tracce diventeranno sempre più confuse.

27 novembre 1970 - Dimenticate i Beatles, ascoltate George!

Il 27 novembre 1970 George Harrison pubblica All thing must pass, un triplo album prodotto dallo stesso Harrison con Phil Spector. Se si eccettua la deludente colonna sonora del film “Wonderwall” composta nel 1968, si tratta del primo vero lavoro da solista dell’ex Beatle. I commenti della critica sono entusiastici. «Dimenticate i Beatles, ascoltate George!» scrive Melody Maker. La foto di copertina è uno sberleffo per i suoi ex compagni. Harrison appare seduto in mezzo a un prato circondato da quattro gnomi di gesso (i Beatles?) che lo guardano. Nei primi due dei tre dischi contenuti nell'album è raccolta la produzione accumulata negli ultimi anni di contrastata vita dei Beatles. Il terzo invece è interamente dedicato a una narcisistica session con vari musicisti, da Eric Clapton a Dave Mason, a Ringo Starr e Jim Gordon che la leggenda vuole si sia svolta sotto l’effetto di droghe. È una sorta di bonus di cui non si sentiva il bisogno anche se nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente. Gli altri due dischi del triplo album, però, sono davvero una sorta di parco delle meraviglie, a partire dal brano d'apertura, I'd have you anytime, il cui testo è stato scritto da Bob Dylan. Canzoni dolenti e colme d'emozione come Isn't it a pity si alternano ad altre scanzonate e ricche di allegria come Wah wah, che sempre la leggenda vuole sia stata scritta per sbeffeggiare Paul McCartney. Nell'album c'è anche la famosa My sweet Lord, che verrà pubblicata anche in singolo, conquisterà le classifiche di tutto il mondo, ma regalerà a George Harrison una condanna per plagio.

25 novembre, 2017

26 novembre 1955 – Lascia o raddoppia? L’Italia è un quiz

Dopo una puntata di prova trasmessa il sabato precedente, giovedì 26 novembre 1955 alle ore 21.05 va in onda sugli schermi televisivi di tutt’Italia la prima puntata di “Lascia o raddoppia?”, telequiz settimanale liberamente ispirato al programma televisivo statunitense “The 64 thousand dollar question”, presentato da Mike Bongiorno e destinato a durare fino al 1959. La regia è di Romolo Siena e la valletta è Maria Giovannini, Miss Roma, che verrà sostituita dopo qualche puntata da Edy Campagnoli. Il notaio, che sovrintende alla regolarità del gioco si chiama Niccolò Livreri. Ogni concorrente parte da una quota di duemila e cinquecento lire e la cifra può salire, attraverso un meccanismo di progressivi “raddoppi” fino al premio massimo di cinque milioni e centoventimila lire. I concorrenti hanno trenta secondi per rispondere alle domande di Mike Bongiorno e i più sfortunati vengono ricompensati con un premio di consolazione di quarantamila lire. Il programma, seguitissimo, entrerà nella storia della televisione e i partecipanti acquisteranno, grazie alle loro performance sul teleschermo, grande notorietà. Il suo successo cambia le abitudini degli italiani e porta la televisione al centro della vita sociale al punto che anche nelle sale cinematografiche il giovedì sera si sceglie di sospendere le proiezioni e di allestire speciali salette con la televisione per consentire agli spettatori di guardarsi “Lascia o raddoppia?”. È l’inizio di una vera e propria rivoluzione. Il quiz televisivo diventa un punto d’incontro per dialoghi, discussioni e anche liti. Le domande, le risposte, le gaffe di Mike Bongiorno e lo stesso atteggiamento dei protagonisti vengono vivisezionati, analizzati e commentati nelle chiacchiere nei bar, nei quartieri, nei caseggiati e sui mezzi pubblici.

25 novembre 1976 – L’ultimo valzer della Band

Il 25 novembre 1976 la Band di Robbie Robertson tiene al Winterland di San Francisco il suo concerto d’addio. Per l’occasione il gruppo decide di fare le cose in grande. Mentre l’impresario Bill Graham offre tacchino e pane azzimo agli spettatori, quasi si trattasse di una veglia religiosa, davanti alla cinepresa di Martin Scorsese si svolge un avvenimento eccezionale, immortalato dal film “The last waltz” e dall’album omonimo. Con la Band si alternano sul palco, nel corso di un lunghissimo concerto, Paul Butterfield, Bobby Charles, Eric Clapton, Neil Diamond, Bob Dylan, Ronnie Hawkins, Dr. John, Muddy Waters, Stephen Stills, Joni Mitchell, Van Morrison, Ringo Starr, Ron Wood e Neil Young. È il saluto del mondo del rock a uno dei gruppi più significativi di quel periodo. Affermatisi come gruppo d’accompagnamento di Bob Dylan, riescono successivamente a emanciparsi e a costruirsi una posizione autonoma circondati da un rispetto inusuale per l’ambiente. Greil Marcus così parla di loro nel suo libro “Mistery train”: «…contro le tendenze e gli stili degli anni Sessanta loro cercano le tradizioni… la loro posizione è quella di un gruppo che rifiuta la scena pop fatta di mode effimere. Sono solidi lavoratori con anni di gavetta alle spalle». Parole che vengono confermate dalla polemica innescata dal leader del gruppo Robbie Robertson nei confronti di un giornalista che accusa la Band di rincorrere sonorità più adatte ai cantautori che a un gruppo: «Vedi, amico, io sono fatto a modo mio. Voglio scrivere e cantare soltanto cose vere e che hanno un peso reale. Per questo preferisco rifarmi ai contadini che si univano ai sindacati durante la depressione che a te che vai a San Francisco a metterti un fiore fra i capelli». Le loro canzoni raccontano storie, sensazioni, paesaggi e sentimenti filtrati attraverso gli occhi delle classi subalterne, della gente semplice. La serata al Winterland sarà davvero l’ultima del gruppo. I componenti prendono strade diverse e non torneranno più sui loro passi anche se non mancheranno riunioni occasionali come quella del 1990, senza Robertson, in “The wall” nella Potzdamer Platz di Berlino.

22 novembre, 2017

23 novembre 1950 - Richard Raux: la musica non è solo l'America

Il 23 novembre 1950 nasce il sassofonista Richard Raux. Creolo, passa l'infanzia nel Madagascar, un luogo dove la musica si abbevera alle tradizioni africane, indiane e cinesi. Questa ricchezza sonora dominata dal ritmo influenzerà tutta la sua ispirazione come e più dei dischi di Parker e di Coltrane. A tredici anni è il batterista della migliore orchestra malgascia di jazz, diretta da Jeannot Rabéson, ma il suo sogno è quello di imparare a suonare il sassofono. Si mette di impegno e ce la fa. Frequenta per due anni i corsi di sassofono e composizione al conservatorio (anche se in epoche successive si farà passare per un autodidatta) e alla fine degli anni Sessanta è a Parigi dove si esibisce in un trio al Gill's Club e successivamente suona nei Magma, la formazione di Christian Vander. Non rinuncia, però, a qualche esperienza in proprio come gli Stuff, una band di cui fanno parte, oltre a Vander, Paco Charleri e Claude Engel. Entrerà poi nel progetto Faarmadin poi negli Hamsa e poi in tanti altri progetti che si muoveranno verso il suo obiettivo: liberare la musica jazz dal peccato originale dell'influenza statunitense. Negli anni Settanta così spiega i suoi progetti: «Vorrei dare al pubblico l'equivalente della soul music, ma nel senso più universale, non solo ristretta all'anima nera americana». Nel suo sogno musicale c'è spazio per l'Africa e l'oriente e soprattutto per le suggestioni della musica indiana che si sforza di rendere comprensibile al grande pubblico. Ecco perché ama Shepp ma esprime riserve sul free jazz il cui tempo irregolare non lo convince affatto.


22 novembre 1950 – Miami Little Steven: il rock è motivazione

Il 22 novembre 1950 nasce a New York "Miami" Little Steven, all'anagrafe Steven Van Zandt, il chitarrista considerato per anni la spalla ideale del Boss Bruce Springsteen. Nonostante sia stato fondamentale per l'allargamento della sua popolarità, il rapporto professionale con Springsteen ha finito, però, per condizionare, non sempre positivamente, la sua carriera. Little Steven muove i primi passi musicali sotto la guida del nonno, l'italoamericano Sam Lento, che gli insegna i segreti della chitarra sulle note dei ritornelli popolari calabresi. La sua formazione musicale si alimenta al calore del rhythm and blues di Gary Davis e Robert Johnson oltre che al jazz tradizionale di Louis Armstrong. A soli quindici anni diventa il cantante e chitarrista degli Shadows, un gruppo del New Jersey da non confondere con la più illustre e omonima band britannica. Un anno d'esperienza gli basta per sentirsi finalmente pronto a formare un proprio gruppo, The Source. Sono gli anni della grande mobilitazione contro la guerra nel Vietnam e Little Steven con la sua band è tra i protagonisti di lunghe kermesse musicali sull'argomento. Suona dovunque, anche se la sua tana è lo Stone Pony, un locale di Asbury Park. Nel 1974 entra a far parte dei Southside Johnny & The Asbury Jukes il gruppo di "Southside" Johnny Lyon. L'anno dopo incontra Bruce Springsteen, artista che ammira da tempo, che lo chiama a far parte della sua E Street Band, in quel periodo impegnata a completare la registrazione dell'album Born to run. Resterà con il Boss per nove anni consecutivi, senza rinunciare però a qualche esperienza per conto suo, prima con gli Asbury Dukes e poi con i Disciples of Soul. Il suo impegno sociale e, soprattutto, la voglia di sperimentarsi senza l'ingombrante presenza di Springsteen lo portano a separarsi amichevolmente dal Boss nel 1984. «Il rock non è intrattenimento, è motivazione». Per questo lui farà sul serio. Pubblicherà album come Freedom no compromise, caratterizzato da un deciso impegno sociale in difesa delle popolazioni oppresse del Sud America e del Sud Africa, ma si mobiliterà anche in progetti più ampi come la registrazione, con decine di stars tra cui lo stesso Springsteen, di Sun City, un brano contro l'apartheid sudafricano. La separazione dal Boss non sarà definitiva. Dopo una lunga serie di "incontri casuali" alla fine degli anni Novanta i due torneranno a esibirsi insieme.


21 novembre, 2017

21 novembre 1987 – T'Pau, la band dal nome vulcaniano

Il 21 novembre 1987 arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti in Gran Bretagna China in your hand. Il brano rappresenta la definitiva conferma del successo commerciale dei T'Pau, una band che ha poco più di un anno di vita e che ha ispirato il suo nome a quello di una principessa vulcaniana della serie televisiva "Star Trek". Pur essendo di fresca costituzione il gruppo è composto da una serie di navigati musicisti con una lunga esperienza: la più "vecchia" è la trentenne cantante Carol Decker, ma gli altri non scendono sotto i venticinque anni. Al momento della sua nascita la formazione comprende, infatti, il bassista Paul Jackson, il tastierista Michael Chetwood, il batterista Tim Burgess e i chitarristi Ronnie Rogers e Taj Wyzgowski, quest'ultimo sostituito dopo qualche mese da Dean Howard. L'idea originaria è quella di formare una band che consenta loro di divertirsi suonando la musica che più amano, ma di non rinunciare alla possibilità di guadagnare anche qualche soldo in più. I risultati vanno al di là delle più rosee previsioni. Dopo un paio di singoli passati inosservati i T'Pau diventano una delle band-rivelazione del 1987 grazie al successo del singolo China in your hand e, soprattutto, dell'album Bridge of spies. L'improvviso e un po' imprevisto successo spinge la loro casa discografica a tentare il lancio della band anche negli Stati Uniti dove l'album, pubblicato con il titolo inspiegabilmente cambiato in T'Pau, pur entrando nella classifica dei dischi più venduti, non ripete i trionfi britannici. Meglio va al singolo Heart and soul, ma complessivamente si ha l'impressione che la loro musica non sia fatta per gli States. A dispetto di chi prevede una lunga carriera di successi, i T'Pau, dopo la pubblicazione del secondo album Rage, fortunato almeno quanto il primo, e di una terna di singoli, scompaiono praticamente nel nulla. Il silenzio discografico durerà per ben tre anni e, nel 1991, il ritorno in sala di registrazione delude le attese. Il loro terzo album The promise, infatti, appare stancamente ripetitivo e privo della freschezza che caratterizzava le loro precedenti registrazioni, viene stroncato dalla critica e ignorato dal pubblico. Pochi mesi dopo i T'Pau si sciolgono. Nel 1993 si parlerà ancora di loro quando verrà pubblicato l'antologico Heart and soul - The very best of T'Pau, con alcuni brani registrati dal vivo all'Hammersmith di Londra nel mese di marzo del 1988.

18 novembre, 2017

19 novembre 2001 – Gli Zen dal web a "Pornstar"

Il 19 novembre 2001 la casa discografica High Tuned Records pubblica Pornstar, il primo album degli Zen, una band romana divenuta in poco tempo popolarissima senza avere ancora pubblicato un disco. La storia inizia nel 1998 quando quattro amici dell’hinterland di Roma formano un gruppo cui danno, appunto, il nome di Zen. Dopo un paio d’anni di gavetta fra Roma e dintorni, si iscrivono più per scherzo che per reale convinzione all’edizione di Emergenza Festival del 2000. Man mano che le esibizioni si susseguono gli Zen prendono sempre maggiore confidenza con il palco e attirano la simpatia del pubblico. L’avventura finisce la vittoria nella finale del festival a Roma. Ormai ci hanno preso gusto. Per questo nell’agosto dello stesso anno partecipano all’annuale Taubertal Open Air Festival, una rassegna che si svolge nella deliziosa città medioevale tedesca di Rothenburg. In quell’edizione condividono lo stage con band come No Fun At All, Oomph! e Guano Apes. Nel settembre del 2000 suonano a Parigi insieme ai tedeschi Emil Bulls. Sempre in quel periodo, gli Zen incidono alcuni provini che promuovono via web attraverso il proprio sito e altri specializzati. È proprio il web a trasformarli in una sorta di fenomeno mediatico. In poche settimane il loro brano (This’s) the end of the world viene scaricato da centinaia di ragazzi da tutta Europa e la loro popolarità cresce in maniera esponenziale. La stessa High Tuned Records, dopo aver ascoltato il brano in rete, decide di scritturarli per il loro album d’esordio. Pornstar segna l’inizio di una bella avventura. Pochi mesi dopo gli Zen vinceranno Sanremo Rock & Trend.



17 novembre, 2017

17 novembre 1962 - Rita Pavone nel pallone

Il 17 novembre 1962 arriva al primo posto della classifica italiana dei dischi più venduti una canzone destinata a diventare una sorta di longseller senza età. Il brano si intitola La partita di pallone. Ne sono autori Carlo Alberto Rossi ed Edoardo Vianello e non è neppure una novità, visto che qualche tempo prima è stato inciso da Cocky Mazzetti senza risultati apprezzabili. Se la canzone è la stessa, cosa è cambiato? Tutto. Per prima l'interprete. Al posto dell'urlatrice melodica Cocky Mazzetti c'è Rita Pavone, una scatenata e lentigginosa diciassettenne torinese dalla voce esplosiva scoperta da Teddy Reno al Festival degli Sconosciuti di Ariccia. La RCA italiana, intenzionata a catturare il pubblico degli adolescenti, capisce fin dal primo momento che la ragazza può rompere gli schemi che fino ad allora hanno caratterizzato la presenza femminile nella canzone italiana e si adegua. Il secondo elemento di novità, funzionale al primo, è l'arrangiamento del brano affidato a Luis Enriquez Bacalov e costruito apposta per far suonare il disco a volume altissimo nei juke box. L'intenzione è esplicita fin dai quattro colpi di cassa che ne costituiscono l'avvio. Il livello della registrazione, superiore di quasi quattro volte alla norma, fa il resto. Quando viene gettonato nei juke box il brano non può non essere notato. In pochi giorni il disco vende più di un milione di copie e Rita Pavone diventa una star grazie anche al fatto che viene scelta, insieme a Gianni Morandi, come conduttrice di "Alta pressione", il primo programma televisivo scritto e pensato per gli adolescenti.

15 novembre, 2017

15 novembre 1913 – Gus Johnson, il batterista prodigio

Il 15 novembre 1913 nasce a Tyler, nel Texas, il batterista Gus Johnson. Ha ancora i calzoncini corti quando, viste le sue inclinazioni musicali, la famiglia vorrebbe farne un concertista di pianoforte, ma il bambino ha già altre idee. Alle noiose ore di studio dietro la tastiera preferisce la dirompente semplicità delle strutture ritmiche. Appena può si dedica allo studio di basso e batteria. È soprattutto quest'ultima a solleticare la sua curiosità. Ben presto anche la sua famiglia si deve arrendere all'evidenza, soprattutto dopo averlo visto all'opera al Lincoln Theatre di Houston. È il 1923 e il piccolo Gus Johnson ha soltanto dieci anni ma percuote rullanti, tamburi e piatti con il piglio del professionista consumato. La popolarità del batterista prodigio si allarga finché nessuno fa più caso alla sua età, tanto che nel 1925 il dodicenne Johnson suona con i McDavid’s Blue Rhythm Boys. Negli anni successivi lo si ritrova con le band di alcuni dei personaggi più significativi di quel periodo come Lloyd Hunter o Ernest "Speck" Redd. Nel 1938 viene scritturato a Kansas City dalla grande e popolarissima orchestra di Jay Mc Shann, con la quale rimane fino al 1943, anno in cui gli Stati Uniti gli mettono una divisa e lo mandano a combattere nella Seconda Guerra Mondiale. Due anni dopo torna alla vita civile e cerca di ritessere i contatti con l'ambiente musicale. Per la verità non deve faticare molto per trovare il primo ingaggio da parte della band di Jesse Miller. Nel 1947 suona nell’ultima grande orchestra di Earl Hines e, successivamente, con Cootie Williams. A partire dal 1949 diventa il batterista preferito di Count Basie che lo vuole con sé sia nella sua big band che nei gruppi più ristretti. Il sodalizio con Basie dura un quinquennio, poi se ne va, deciso a lavorare come indipendente sulla piazza di New York. Varie esperienze in studio precedono il suo ritorno dal vivo. Dopo una breve collaborazione con Lena Horne, nel 1957 accetta le offerte di Ella Fitzgerald con la quale resta per un paio d'anni. Nel 1959 è il batterista dell’orchestra di Woody Herman, ma anche questa esperienza non durerà più di un anno. Orgoglioso della sua indipendenza preferisce il lavoro in studio di registrazione ai ritmi forzati delle tournée. Dopo aver suonato con Gerry Mulligan alla fine degli anni Sessanta è uno dei protagonisti della World’s Greatest Jazz Band. Nel 1974 se ne andrà a Denver ma non terrà mai completamente fede ai ripetuti annunci di ritiro dalle scene.


14 novembre, 2017

14 novembre 1970 - L'irrequieto Ian Matthews al vertice delle classifiche di vendita

Il 14 novembre 1970 al vertice della classifica britannica arriva Woodstock, un suggestivo brano scritto da Joni Mitchell. Non lo interpreta la sua autrice, ma una band fino a quel momento sconosciuta che risponde al nome di Matthew's Southern Comfort. Dietro alla sigla c'è l'irrequieto Ian Matthews che ha appena lasciato i Fairport Convention per debuttare come solista. La band è nata quasi per caso assemblando i musicisti che hanno lavorato con lui alla registrazione del suo primo album: il chitarrista Mark Griffiths, il chitarrista Carl Barnwell, il bassista Andy Leigh, il batterista Ray Duffy e il percussionista Gordon Huntley. L'inaspettato successo di Woodstock lo convince a rinviare per un po' i progetti solistici e a dare continuità al lavoro di gruppo. Quando se ne andrà i suoi compagni, diventati semplicemente Southern Comfort, andranno avanti per conto loro fino al 1972 pubblicando ben tre album: Southern Comfort, Frog city e Stir don't shake. La carriera solistica di Ian Matthews, invece, non sarà accompagnata da troppa fortuna tanto che, dopo due album di scarso successo, il ragazzo cambierà idea e formerà una nuova band, i Plaisong, insieme ai tre chitarristi Dave Richards, Andy Roberts e Bobby Ronga. Scontento e deluso anche da questa esperienza continuerà da solo per il resto degli anni Settanta. All'inizio del decennio successivo una controversia legale con la casa discografica Mushroom lo costringerà a un forzato periodo di silenzio discografico, durante il quale lavorerà al Dipartimento Arte e Repertorio della Island di Los Angeles.

12 novembre, 2017

13 novembre 2000 - "One" dei Beatles? Un affare commerciale

Dopo molte anticipazioni e annunci il 13 novembre 2000 esce One, l'antologia dei successi dei Beatles che, come recita il comunicato stampa della EMI, «riunisce i loro ventisette singoli numeri uno in classifica». Si completa così una grande operazione di marketing iniziata con il volume dell'autobiografia "ufficiale". L'album, che schizza rapidamente i vertici delle classifiche di vendita in moltissimi paesi, punta chiaramente a strappare a Thriller di Michael Jackson il record del "disco più venduto di tutti i tempi". In realtà One non aggiunge niente di nuovo alla leggenda dei Fab Four, anche se i brani sono conosciuti, belli e rimasterizzati con cura. In più, a dispetto dei comunicati stampa, il disco non raccoglie davvero «tutti i singoli arrivati al primo posto in classifica». Nella track list infatti c'è da rilevare l'assenza, apparentemente inspiegabile, di Rain e Strawberry fields forever. In realtà una ragione c'è ed è spiegabilissima: l'intera operazione è stata accuratamente studiata a tavolino per arrivare al vertice delle classifiche e tentare il record. In breve: con ventisette brani si arriva al limite della capienza di un normale compact disc. Con l'inserimento dei due brani mancanti l'album avrebbe dovuto essere sdoppiato in due Cd e il maggior costo di vendita avrebbe reso impossibile l'assalto al record di "disco più venduto di tutti i tempi". Si è perciò preferito una sorta di "falso storico" di successo a un'antologia corretta, ma non da record. Nonostante tutto però One un modesto valore aggiunto ce l'ha: contiene le famose foto di John, Paul, George e Ringo scattate da Richard Avedon. Per chi s'accontenta...

12 novembre 1988 – Wild Wild West

Il 12 novembre 1988 al vertice della classifica statunitense dei dischi più venduti c’è il brano Wild wild west realizzato da una band britannica poco conosciuta al grande pubblico. Sono gli Escape Club e sono stati formati a Londra cinque anni prima dal cantante Trevor Steel, dal chitarrista John Holliday, dal bassista Johnnie Christo e dal batterista Milan Zekavica. Agli inizi della loro storia i quattro non se la passano benissimo. Come molti altri suonano nei locali e sognano di diventare famosi con i dischi. Le prime esperienze in sala di registrazione avvengono tra le accoglienti ma poco significative mura di un'etichetta indipendente che pubblica il loro primo singolo destinato a restare una sorta di demo. Va meglio il passo successivo quando il secondo singolo Rescue me e l'album White fields riescono a trovare spazio nella ristretta cerchia degli appassionati e portano in regalo l’inserimento degli Escape Club in qualche elenco dei i gruppi - rivelazione del momento elaborato dalle riviste di nicchia. Pur apprezzati sembrano destinati a una tranquilla carriera nei club e in qualche concerto senza grandi exploit né sul piano commerciale né su quello della popolarità planetaria. Quando non se l’aspettano più arriva la svolta. Nel corso di un’esibizione vengono notati da Chris Kinsey, un produttore che ha all’attivo, tra gli altri, alcune cose dei Rolling Stones, di Peter Frampton e degli Psychedelic Furs. Kinsey capisce che i ragazzi hanno qualità da vendere e li convince a mollare gli stretti confini della Gran Bretagna per attraversare l’oceano. Profondo conoscitore del grande business degli States li segue con cura nella realizzazione dell’album che dovrebbe segnare l’inizio del grande successo. Il risultato è all’altezza delle aspettative. La canzone Wild wild west si piazza al vertice della classifica dei dischi più venduti seguita dall'album omonimo che fa faville nei negozi. Osannati dal pubblico e trattati con garbo dalla critica gli Escape Club non manterranno le promesse. Wild wild west resterà un episodio isolato. Tre anni dopo, nel 1991 l’album Dollars and sex verrà accolto piuttosto freddamente nonostante il discreto successo di vendita del singolo I'll be There.

11 novembre, 2017

11 novembre 1944 - Jesse Colin Young, l’anima e il cuore degli Youngbloods

L’11 novembre 1944 nasce a New York Jesse Colin Young, registrato all’anagrafe con il nome di Perry Miller, l’anima e il cuore degli Youngbloods, uno dei gruppi più rappresentativi del folk-jazz della costa dell’Est statunitense. La sua avventura musicale muove i primi passi all’inizio degli anni Sessanta quando abbandona l'università per cantare, accompagnandosi con la chitarra, nei folk club. Nel 1964 pubblica il suo primo album, Soul of a city boy, seguito, l'anno dopo, da Youngblood, un titolo premonitore. Proprio nel 1965, infatti, Jesse conosce il chitarrista Jerry Corbitt con il quale forma, insieme al batterista di scuola jazz Joe Bauer, il primo nucleo degli Youngbloods. Il gruppo attira rapidamente l'attenzione di pubblico e critica grazie alla sua originale fusione di folk e jazz. La sua qualità artistica si fa ancora più solida e convincente dopo l’arrivo di un quarto componente, il chitarrista e tastierista “Banana” Lowell Levinger. Nel 1966 gli Youngbloods, ormai considerati una delle band più interessanti della East Coast, iniziano a lavorare alla registrazione del loro primo album. Il perfezionismo di Jesse e dei suoi compagni ritarda a lungo l’uscita del disco e solo all’inizio del 1967 vede la luce The Youngbloods, accompagnato dal singolo Grizzly bear. Pochi mesi dopo viene messo sul mercato un secondo album, ma la band è ormai affascinata dai nuovi fermenti musicali e culturali che stanno attraversando l’intero panorama musicale statunitense. Lasciano New York, città che sentono stretta e troppo statica per potersi esprimere compiutamente, e se ne vanno a San Francisco. Qui gli Youngbloods perdono Jerry Corbitt, che tenterà senza grande fortuna la carriera di solista, e diventano un trio. Nel 1969 centrano il maggior successo commerciale della loro storia con una nuova versione di Get together, un brano già inserito nel loro primo album del 1967. Nonostante i buoni risultati il gruppo è ormai entrato in fase calante. A nulla serve l'inserimento in formazione del bassista Michael Kane. Gli Youngbloods si separano alla fine del 1971. L’ultimo album ufficiale, Good and dusty vede la luce dopo lo scioglimento della band. Jesse Colin Young continua come solista ma non rinuncia all’idea di riformare il gruppo. Ci riuscirà negli anni Ottanta, ma gli scarsi risultati lo convinceranno a lasciar perdere e a continuare da solo sulla sua strada.


09 novembre, 2017

10 novembre 1967 – Il blues doloroso di Ida Cox

Il 10 novembre 1967 muore a Knowille nel Tennessee, la città dove è nata settantadue anni prima, la cantante Ida Cox, una delle "grandi signore" del blues classico. Interprete profonda degli aspetti più dolorosi della musica afroamericana, dà voce alla tragicità della condizione di chi vive nei ghetti e nelle periferie delle grandi città del nord degli Stati Uniti. La sua Death letter blues resta nella storia del blues come una sorta di tragico rituale di dolore e di pena che più di tante parole riassume il lungo calvario dei neri d'America. Ida Cox, come Bessie Smith, Ma Rainey e tante altre signore del blues, quando canta parla di se stessa, delle difficili condizioni di un'infanzia e un'adolescenza da cui non si può uscire indenni. I successi non cancellano le tracce e le cicatrici, non solo spirituali, dei periodi difficili. La musica sembra un'ancora di salvezza per lei che ha pensato spesso di farla finita, anche se arriva troppo tardi per risparmiarle qualche umiliazione di troppo. Nel 1922, quando a Chicago registra una serie di classici per la Paramount che le regalano la popolarità e danno il via al periodo migliore della sua carriera, ha già superato i trent'anni. L'anno dopo entra nei leggendari Blues Serenaders di Lovie Austin. La sua voce commuove il mondo intero sulle note di brani struggenti come Graveyard dream blues o Worried mama blues e le dà la possibilità di buttare alle spalle i tempi difficili. Lei però non dimentica, non ce la fa a dimenticare. Il contrasto tra lo sfavillare delle luci dei grandi locali alla moda e la sua esperienza precedente la porta ben presto ad avere ricorrenti crisi di rigetto. Nelle sue canzoni parla con la morte, vista come una presenza liberatoria e tutt'altro che tragica. Nel 1929 rompe definitivamente con l'ambiente che la circonda. Insieme al pianista Jessie Crump, divenuto anche suo compagno di vita, organizza uno show ambulante che gira in tutti gli stati del Sud, i più vicini al grande padre Mississippi cui si rivolge spesso nelle sue canzoni. Il successo dell'iniziativa convince John Hammond a scritturarla per i suoi memorabili concerti newyorkesi intitolati "Dallo spiritual allo swing". Come accade alle altre "signore del blues" anche Ida verso gli anni Cinquanta decide di ritirarsi a vita privata nella sua casa di Knowille. Non torna più sul palcoscenico e raramente accetta di entrare in sala d'incisione fino alla morte che arriva il 10 novembre 1967.