Il 20 marzo 1949 un attacco cardiaco stronca la vita di Irving Fazola, considerato il miglior clarinettista di jazz di New Orleans della sua generazione. Il musicista ha trentasette anni. È nato infatti il 10 dicembre 1912 proprio a New Orleans, la città dove ha vissuto i maggiori trionfi e dove è morto. Il suo vero nome è Irving Henry Prestopnik, troppo complicato per un artista. Dovendosi scegliere il nome d’arte lo prende in prestito dalla storpiatura anglofona delle tre note musicali Fa Sol e La. Inizia a suonare il pianoforte da bambino, ma quando frequenta le scuole medie alla Warren Easton High School passa al clarinetto. Considerato un piccolo talento, a soli quindici anni suona da professionista nei Little Collegians di Candy Candido. Milita poi nelle orchestre di Louis Prima, Armand Hug, Sharkey Bonano, Ben Pollack, Augie Schellang, Gus Arnheim e Glenn Miller. Nel 1938 viene assunto dall’orchestra di Bob Crosby, con la quale rimane fino al 1940. Proprio nell’orchestra di Crosby improntata al dixieland, ha modo di catturare l’attenzione della critica per il suo stile fluido e ricco di swing e con una splendida sonorità in tutti i registri. Vagabondo e sempre pronto a nuove esperienze tra il 1940 e il 1945 suona con le formazioni di Jimmy McPartland, Tony Almerico, Claude Thornhill, Muggsy Spanier, Teddy Powell, Georg Brunis, Louis Prima e Leon Prima. Alla fine della seconda guerra affianca al lavoro dal vivo nei locali un’intensa attività alla radio e continua a lavorare assiduamente fino a quando il suo cuore cede.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
20 marzo, 2019
19 marzo, 2019
19 marzo 1974 - L'aeroplano diventa astronave
Il 19 marzo 1974 i Jefferson Airplane iniziano il loro primo tour sotto il nuovo nome di Jefferson Starship con una formazione che comprende Paul Kantner, Grace Slick, Johnny Barbata, David Freiberg, Pete Sears, Papa John Creach, Craig Chaquico e un ritrovato Marty Balin. Intervistato dai giornalisti sul significato del cambiamento di nome Kantner dichiara di non voler più cantare la rivoluzione ma di voler piuttosto mettere un musica l'evoluzione della specie e delle idee. La band, complice la ritrovata intesa tra lo stesso Kantner e Balin, si fa valere in classifica con una sorta di rock spaziale che mescola soft e funky e regala a Grace Slick un ruolo più sexy che nel passato. Meno cerebrali e più ballabili finiscono per essere inevitabilmente accusati di essersi venduti al mercato. Loro non si preoccupano troppo e sfornano album di grande successo come Dragon Fly del 1974 e soprattutto Red Octopus che, nel 1975, li porta al primo posto delle classifiche di vendita. Nel 1976 l’album Spitfire sembra ripiegare decisamente sulla musica di intrattenimento con cori, giochi di sintetizzatore, elaborazioni pianistiche e sottofondi orchestrali. Nel 1978 dopo Earth il gruppo entra in crisi e perde in un sol colpo Balin, Barbata, e soprattutto una Grace Slick prostrata dall’abuso di sostanze varie e di alcol. Nella gara a eliminazione del gruppo storico vince Paul Kantner che sceglie di orientare la band verso un rock consumistico con qualche apertura all’hard. Non sarà l’ultima metamorfosi.
18 marzo, 2019
18 marzo 1976 – L’uomo che cadde sulla terra
A Londra viene presentato, in prima visione assoluta il film “L’uomo che cadde sulla terra”, interpretato da David Bowie. All’evento mondano il cantante non partecipa perché è impegnato in tour, ma sia il pubblico che la critica mostrano di apprezzare l’interpretazione data da Bowie all’alieno arrivato sulla terra in pace e perseguitato dal potere. Molto liberamente ispirato a un romanzo di Walter Travis e sceneggiato da Paul Maysberg, il film diretto da Nicolas Roeg può essere considerato uno degli ultimi esempi del genere fantascientifico politicamente impegnato degli anni Settanta. Con David Bowie ci sono Rip Torn, Candy Clark, Buck Henry e Bernie Casey.
15 marzo, 2019
16 marzo 1975 – T Bone Walker, il primo bluesman elettrico
Il 16 marzo 1975 muore di polmonite a Los Angeles il leggendario chitarrista blues T Bone Walker, registrato all'anagrafe con il nome di Aaron Thibeaux Walker. Ha sessantaquattro anni ed è considerato uno dei padri del blues moderno per avere utilizzato per primo la chitarra elettrica in questo genere musicale. Nasce a Linden, nel Texas e il suo primo insegnante di musica è il compagno della madre, leader di una string band, un'orchestra composta soltanto da strumenti a corde, che lo fa strimpellare su un minuscolo banjo. A dieci anni incontra Blind Lemon Jefferson. Il grande bluesman cieco resta affascinato dal piccolo strimpellatore e lo prende sotto la sua protezione. Nel 1924 T Bone ottiene lavora come chitarrista e ballerino di tip tap nel "medicine show", uno spettacolino pubblicitario che intervalla la vendita di intrugli medicamentosi, del Dottor Breeding. A sedici anni è già il chitarrista della band di Ida Cox e, dopo un breve periodo nell'orchestra di Lawson Brooks, passa al servizio di un'altra delle grandi cantanti di quel periodo: Ma Rainey. Gli anni Trenta lo vedono schierato sul fronte dello swing craze con la Territory Band di Count Bilosky e con Cab Calloway. Nel 1935 si sposta sulla West Coast e scopre la chitarra elettrica, strumento che non lascerà più. Gli anni Quaranta vedono la nascita di quasi tutti i suoi brani più significati, da T Bone blues a Mean old world alla celebre Stormy Monday. Nel luglio del 1942, poi registra un singolo con i brani I got a break baby e il già citato Mean old world. Quel disco farà storia e verrà considerato il primo decisivo passo, della nuova generazione elettrica del blues. Un'ulcera dolorosissima ne riduce drasticamente l'attività per quasi tutti gli anni Cinquanta, caratterizzati da scarsi e isolati concerti e da un lavoro di studio quantitativamente modesto. A partire dagli anni Sessanta, riscoperto dalla generazione del nuovo rock che arriva dall'Europa partecipa a un'infinità di concerti. Neppure l'improvviso insorgere della tubercolosi riesce a frenarne il dinamismo e la disponibilità, anche se il fisico comincia a dare segni di cedimento. All'inizio degli anni Settanta alterna momenti di intenso lavoro a pause sempre più lunghe per le ricorrenti febbri influenzali e per la fragilità del sistema respiratorio. Una polmonite trascurata lo costringe alla resa. Si fa ricoverare all'ospedale di Los Angeles, ma non c'è più niente da fare.
15 marzo 1979 – Falsari per amore dei Talking Heads
Il 15 marzo 1979 i Talking Heads si esibiscono in un affollato concerto all'Agora di Cleveland. La band, dopo l'ultimo album More songs about building and food sta vivendo un periodo ricco di stimoli ed entusiasmante. Un lunghissimo tour che tocca le principali piazze europee e statunitense permette al gruppo guidato da David Byrne di verificare i risultati di un rinnovamento che lo sta progressivamente portando oltre gli schemi della new wave. Determinante, in questo senso, è il lavoro svolto da Brian Eno, l'ex tastierista dei Roxy Music che proprio Byrne ha voluto al suo fianco nella produzione dell'album, ma anche l'apporto creativo della bassista Tina Weymouth si fa sentire. Il suono dei Talking Heads si è fatto più corposo, gli apporti della chitarra di Jerry Harrison sono diventati meno casuali e nell'insieme la band appare come una delle più potenti "macchine da concerto" di quel periodo. Per questa ragione la loro etichetta, la Warner Bros, decide di registrare l'intero concerto del 15 marzo. L'intenzione è quella di farne un disco promozionale con il quale omaggiare una ristretta cerchia di giornalisti, critici e operatori del music business. Vede così velocemente la luce un album live intitolato Talking Heads live on tour, fuori catalogo e prodotto in seicento copie numerate. Contiene dieci brani ma, soprattutto, riesce a rendere efficacemente la magia della band in concerto. Tra i giornalisti che l'hanno ricevuto in regalo c'è chi non sa trattenere il suo entusiasmo e scrive «È straordinaria l'energia che arriva fin dall'ascolto delle prime note. Peccato che essa sia negata agli acquirenti dei dischi della band. L'album regala momenti straordinari, liberando quell'energia che in studio viene inevitabilmente compressa» Come molti dischi promozionali sembra destinato a finire nel carissimo mercato parallelo destinato agli amatori. Poco tempo dopo, invece, un numero crescente di rivenditori di dischi in varie parti del mondo espongono l'album tra le "rarità" in vetrina. Fatti i conti anche la Warner Bros capisce che le seicento copie originali sono diventate prima migliaia, poi centinaia di migliaia. Una gigantesca opera di riproduzione abusiva ha garantito ai fans il diritto di accedere a un disco che la Warner aveva deciso di rendere "esclusivo". A nulla valgono le denunce. Un gruppo di questi falsari si farà vivo con una lettera a vari magazine musicali sostenendo di aver agito «Per amore dei Talking Heads».
12 marzo, 2019
13 marzo 1988 – Muore Andy Gibb, il fratellino dei Bee Gees
Il 13 marzo 1988 mentre è impegnato nella registrazione di un nuovo album per la Island Records muore a trent’anni Andy Gibb, per tutta la vita considerato il fratellino dei Bee Gees. Andrew Roy Gibb, questo è il suo nome completo, è infatti il minore dei fratelli Gibb, i tre membri dei Bee Gees. Più giovane di dieci anni finisce per trovare più un ostacolo che un aiuto nel successo dei fratelli famosi. I primi passi in musica li muove nella natìa Australia dove dà vita a una propria band. Nel 1977 il “fratellone” Barry Gibb e il manager Robert Stigwood lo convocano a Miami per farne una star. Con Barry come protettore, autore e produttore, Andy pubblica l'album Flowing rivers, che ottiene un successo eccezionale, così come i singoli I just wanna be your everything e (Love is) thicker than water. Il successo continua poi nel 1978 con l'album Shadow dancing e con il singolo omonimo. L'anno dopo, complici le sue frequenti crisi e i problemi legati alla tossicodipendenza, la sua popolarità inizia a calare. Nel 1980 un singolo in coppia con Olivia Newton-John e l'album After dark confermano il declino della sua stella. Nel 1981 registra All I have to do is dream con Victoria Principal, la popolare interprete della serie televisiva "Dallas", e debutta come attore a Los Angeles in "The Pirates of Penzance". Dopo alcune presenze in altri lavori teatrali canadesi e statunitensi, nel 1985 viene ricoverato a lungo in una clinica per risolvere i propri problemi di dipendenza dalle droghe. È una battaglia lunga e difficile nella quale alla fine soccomberà.
12 marzo 1966 – Il primo album dei Love
Il 12 marzo 1966 i Love pubblicano il loro primo album, intitolato semplicemente Love. Il disco è edito dall’etichetta Elektra, fino a quel momento specializzata nella produzione folk. Non diventa un successo galattico ma contribuisce a far conoscere la band formata nel 1965 dal chitarrista con gli altri chitarristi Johnny Echols e Bryan McLean, con il bassista Kenneth Forssi, il batterista Don Conka e i percussionisti Michael Stuart e Tjay Cantrelli. Al momento della registrazione di Love Don Conka non c’è già più, sostituito da Alban Pfisterer. È solo il primo di un'infinita serie di cambiamenti legati alle evoluzioni musicali di Arthur Lee che caratterizzeranno la vita dei Love. Dopo il secondo album Da Capo del 1967 Pfisterer, che era passato alle tastiere, lascia il gruppo seguito da Cantrelli. I cinque componenti rimasti pubblicano nello stesso anno Forever changes poi scompaiono dalla scena. Dopo un silenzio durato due anni, nel 1969 quando ormai tutti li danno per morti e seppelliti, i Love tornano con una formazione nuova composta oltre che da Lee, dal chitarrista Jay Donnellan, dal bassista Frank Fayard e dal batterista George Suranovich e un nuovo album intitolato Four sails. Sostituito Donnellan con Gary Rowles, la band realizza nello stesso anno anche il doppio Out here. Non è finita. L’anno dopo i Love con una formazione composta da Lee, Suranovich, Fayard, Gary Rowles e il chitarrista Nooney Rickett pubblicano False stat, un album alla cui registrazione partecipa anche Jimi Hendrix. A un nuovo silenzio segue un album da solista di Arthur Lee mentre solo nel 1973 arriva l'ultimo album dei Love di questo periodo, intitolato Reel to reel e realizzato da una formazione che, oltre a Lee, comprende i chitarristi Melvin Whittington e John Sterling, i bassisti Sherwood Akuna e Robert Rozelle e il batterista Joe Blocker. Nel 1977 Arthur riformerà la band con McLean, Sterling, Suranovich e il bassista Kim Kesterson.
11 marzo, 2019
11 marzo 2003 – Fiction Plane, il gruppo del figlio di Sting
L’11 marzo 2003 la MCA pubblica l'album Everything will never be ok dei Fiction Plane. Chi sono i Fiction Plane? Sono una band londinese composta, dal chitarrista e cantante Joe Sumner, dal bassista Dan Brown e dall'altro chitarrista Seton Daunt. Fino a pochi mesi prima si esibivano nei locali con il nome di Santa’s Boyfriend e in quel periodo fanno danni in giro per l'America di Bush cantando brani contro la guerra. Il disco punta il dito sull'assurdità della guerra e prende posizione contro il conflitto in Irak. Una canzone in particolare, Soldier machismo, affronta il tema dell’informazione divenuta propaganda politico–militare con lo scopo di confondere le coscienze. I temi affrontati, con l'aggiunta di un breve tour proprio negli Stati Uniti attraversati dalla campagna bellicista di Bush, hanno acceso i riflettori dei media su questi tre ragazzi che non nascondono dal punto di vista musicale di essere figli di molte influenze incrociate. La curiosità dei media, però, ha trovato un altro argomento su di loro, decisamente inatteso e sorprendente. Incuriositi dall'omonimia, i magazine musicali si sono accorti per primi che il ventiseienne leader della band, Joe Sumner è figlio d'arte. Suo padre si chiama Gordon Sumner, ma è conosciuto in tutto il mondo con il nome di Sting. La notizia ha fatto rapidamente il giro del globo e il vecchio (si fa per dire) genitore sembra non sia rimasto indifferente all'exploit del figlio, soprattutto perché ottenuto "quasi di nascosto da papà". Da parte sua, in verità, Joe non affronta volentieri l'argomento, nel timore di rimanere prigioniero dell'ingombrante figura paterna. E a chi insiste ricorda che la sua infanzia è stata caratterizzata dall'avversione per la musica provocata dall'obbligo di frequenza a noiose lezioni di pianoforte. E per non lasciare dubbi sulla sua ispirazione aggiunge «Se non avessi incontrato sulla mia strada lo ska degli Specials e il grunge dei Nirvana probabilmente non sarei qui»
07 marzo, 2019
8 marzo 1971 – Le note di Hendrix a Radio Hanoi
«Hey man! Parlo con te, che porti la divisa di un paese lontano e sei qui, nel mio paese, a portare morte. Tu, che ogni giorno rischi di morire, ti sei mai chiesto perché? Questa non è la tua guerra. Nessuno ha minacciato il tuo paese, bruciato le tue case, ucciso i tuoi fratelli e le tue sorelle, tuo padre, tua madre, tua moglie e i tuoi bambini. Eppure sei qui. Bruci le nostre case e uccidi. Noi non ci arrenderemo. Dovrai ucciderci uno per uno, cancellare tutto e anche allora, se qualcuno sopravviverà, cercherà di vendicare i suoi morti. Perché tutto questo? Noi non vogliamo ucciderti, non abbiamo alcuna ragione per farlo. Ma se metti in pericolo la nostra vita e il nostro paese saremo costretti a spararti. E lo faremo. Credici, lo faremo. Non per crudeltà, ma per difenderci. Perché, amico, resti qui? Perché vuoi continuare una guerra che altri hanno deciso per te? Torna a casa tua, dai tuoi amici, dalla tua famiglia. Lasciaci vivere la nostra vita e torna a vivere la tua...» Così, con un invito ai soldati statunitensi a tornarsene a casa, l’8 marzo 1971 inizia le sue trasmissioni in inglese su tutto il territorio vietnamita l’emittente Radio Hanoi. Mentre cresce nel mondo la protesta contro la “sporca guerra” d’aggressione condotta dagli Stati Uniti nel paese asiatico, la stazione radiofonica nordvietnamita si rivolge direttamente ai soldati americani nella loro lingua. Le trasmissioni non sono, però, composte da proclami, ma anche da musica, tanta musica rock che riporta ai giovani in divisa dell’esercito invasore gli echi di una battaglia pacifista che si sta combattendo nel loro paese. Il primo brano trasmesso da Radio Hanoi è l’inno statunitense Star spangled banner, nella stralunata e acida versione di Jimi Hendrix, lo scomparso chitarrista nero. Negli Stati Uniti la stampa conservatrice scatena una polemica feroce contro tutti gli artisti coinvolti dalle iniziative del movimento pacifista, accusandoli di essere «complici di chi assassina i nostri ragazzi nelle giungle vietnamite». La risposta non tarda ad arrivare. Il primo a prendere posizione è il “padre nobile” della canzone politica, il folksinger Pete Seeger, che due giorni dopo l’inizio delle trasmissioni di Radio Hanoi annuncia di aver regalato i suoi dischi all’emittente nordvietnamita e parla ai giovani americani: «Non andate in Vietnam. Il sangue di ogni vietnamita ucciso è sangue versato anche per la nostra libertà. La loro battaglia è la nostra».
06 marzo, 2019
6 marzo 1936 – Sylvia da cantante a manager
Il 6 marzo 1936 nasce a New York Sylvia Vanderpool. Ancora adolescente registra i primi dischi all’inizio degli anni Cinquanta con il nome di Little Sylvia. Nel 1955 forma con Mickey Baker il duo Mickey & Sylvia destinato a ottenere un buon successo con brani come Love is strange del 1957 e Baby you're so fine del 1961. La vita della star però a Sylvia non piace e nel 1961 mentre sta per arrivare il ciclone dei Beatles che cambierà i gusti dei giovani di tutto il mondo il duo si scioglie e la ragazza decide di cimentarsi in campi diversi. Sylvia negli anni successivi dimostra di saperci fare in settori in genere riservati agli uomini e con grinta e determinazione diventa via via produttrice, autrice, tecnica di registrazione e infine vicepresidente dalle etichette Vibration e All Platinum, fondate in società con Mickey Baker. Quando gli affari le vengono a noia decide di rilassarsi un po’ tornando sulle scene. Nel 1971, infatti, decide di tornare in sala di registrazione per interpretare Pillow talk, una canzone composta da Al Green già sottoposta, senza risultati, all'attenzione di molti altri cantanti. Proprio Pillow talk la riporta in classifica, vendendo oltre due milioni di copie, ma Sylvia preferisce considerarlo un episodio isolato e torna a occuparsi di produzione.
04 marzo, 2019
5 marzo 1989 - Beppe Grillo non basta a salvare il Festival di Sanremo del 1989
Il 5 marzo 1989 per la prima volta nella sua storia il popolarissimo "Sorrisi e Canzoni TV", il più diffuso e moderato magazine di musica e spettacolo spara a zero sul Festival di Sanremo. Per la verità non è l’unico visto che l’edizione 1989 della kermesse sanremese sembra scontentare un po’ tutti, nonostante la vittoria della coppia Anna Oxa-Fausto Leali con Ti lascerò, l’esordio di Jovanotti con Vasco, e i ritorni di Gino Paoli e di Ornella Vanoni. Le critiche non mancano ma che anche un giornale come Sorrisi e Canzoni TV prenda posizione lascia il segno. Il giornale stronca l’eccessiva dilatazione del Festival, lasciando intendere che sia ormai divenuto un varietà più che un concorso canoro: «Se il festival di Sanremo non rinuncerà a questa caratteristica di contenitore cloaca, se la Rai insisterà solo per bieche ragioni di audience a diluirlo in tante serate, bene, allora c’è da aspettarsi che finisca soffocato da se stesso...». Insomma, le azioni del Festival di Sanremo sono in ribasso e non basta a rialzarle neppure l’estemporanea irruzione di Beppe Grillo che se la prende un po’ con tutti in assoluta tranquillità. Nessuno scandalo: tutto fa spettacolo sotto il cielo di Sanremo.
03 marzo, 2019
4 marzo 1919 – La pazzia uccide Scott Joplin il re del ragtime
Il 4 marzo 1919 muore in una casa di cura per malati mentali di New York il pianista Scott Joplin, uno dei padri fondatori del ragtime scritto, chiamato anche "King of ragtime", il re del ragtime. Nato il 24 novembre 1868 e Texarkana, nel Texas, dopo aver imparato a suonare il pianoforte, a quindici anni lascia la famiglia e scappa di casa per diventare musicista itinerante. Nel 1895 entra a far parte del Texas Medley Vocal Quartet. In quel periodo riesce anche a piazzare a qualche editore le sue prime composizioni: Please say you will e Picture of her face. Negli stessi anni inizia ad approfondire le tecniche pianistiche del ragtime. Diventa il pianista fisso del Maple Leaf Club di Sedalia, nel Missouri, dove incontra l'editore Carl Hoffman che nel 1898 gli produce The original rag, la sua prima importante opera, cui seguono Maple leaf rag, The sun flower slow drag e Swipsy , tutte e tre del 1899. Dopo la sfortunata A guest of honour che nel 1903 viene rappresentata una sola volta a St. Louis con scarso successo, nel 1905 si trasferisce a New York dove si fa catturare dall’ossessione di scrivere una vera e propria opera lirica ragtime. Il 4 marzo 1919 la morte se lo porta via dopo una vita passata tra difficoltà economiche ed espedienti per sopravvivere, senza aver mai trovato un impresario disposto a rappresentare Treemonisha, la sua opera, con A guest of honour, oggi più famosa. Nel 1974 Marvin Hamlisch utilizza la musica di Scott nella colonna sonora del film "La stangata". Dopo il successo de "La stangata", Treemonisha, composta nel 1907, viene rappresentata per la prima volta nel 1974 all'Uris Theatre di Broadway, con la produzione dell'Houston Grand Opera e con la partecipazione di cento pianisti di tutto il mondo. Peccato che Scott ormai non c’è più.
02 marzo, 2019
3 marzo 1966 – Buffalo Springfield, la band del compressore stradale
Il 3 marzo 1966 a Los Angeles nascono i Buffalo Springfield. La band unisce musicisti dalle esperienze più varie ed è destinata a lasciare un segno profondo nella storia del rock. Ne fanno parte tre chitarristi ricchi di talento e di idee come Stephen Stills e Richie Furay, provenienti dal gruppo folk degli Au Go Go Singers e il canadese Neil Young dei Mynah Birds, da cui proviene anche il bassista suo connazionale Bruce Palmer. La formazione è completata da un altro canadese: il batterista Dewey Martin già con i Dinah. In un primo momento al gruppo si era unito anche il bassista Ken Koblun, ma la sua collaborazione era durata lo spazio di un respiro. Da tempo Stills e Furay inseguivano l'idea di mettersi insieme a Young, ma per varie ragioni il canadese si era sempre sottratto agli impegni. La leggenda racconta che, proprio quando i due chitarristi, rotti i ponti con il loro gruppo, stavano ormai pensando a una soluzione diversa, Neil Young li avesse raggiunti a Los Angeles viaggiando in autostop e compiendo l'ultimo tratto di strada a bordo di un carro funebre. Leggende a parte il 3 marzo 1966 il gruppo è ormai una realtà, anche se non ha un nome. La soluzione è presto trovata. In una pausa della riunione costitutiva, Furay si alza per sgranchirsi le gambe e osserva fuori dall'appartamento gli operai di un cantiere stradale. Accanto a loro c'è un compressore che reca sul fianco il nome della ditta produttrice: Buffalo Springfield. Lo propone ai compagni che accettano. Nasce così uno dei più gruppi più amati dal movimento hippy. Una serie di concerti al fianco dei Byrds e regolari quanto affollate esibizioni al "Whisky a go go" sul Sunset Strip di Los Angeles li imporranno all'attenzione dei produttori più svegli e intuitivi. I primi a occuparsi di loro saranno Charlie Green e Brian Stone, il manager di Sonny & Cher. I due garantiranno alla band un contratto con la Atlantic e, soprattutto, un anticipo di ben dodicimila dollari. Nell'estate del 1966 i Buffalo Springfield pubblicheranno il loro primo singolo Nawadays Clancy can't even sing, un brano scritto da Neil Young che verrà censurato per il testo. Non otterrà grandi risultati commerciali, ma contribuirà a far conoscere la band fuori dai confini della California Sarà l'inizio di una breve ma intensa produzione che farà del gruppo uno dei principali artefici del progressivo spostamento del folk verso i suoni elettrici e aggressivi del country rock.
2 marzo 1964 – Joe Rushton, lo specialista del sassofono basso
Il 2 marzo 1964 a San Francisco, in California un infarto chiude per sempre la vita e la carriera di Joe Rushton, uno dei rari jazzisti esperti in uno strumento inusuale come il sassofono basso. Ha cinquantasei anni e all’anagrafe è registrato con il nome di Joseph Augustine Rushton. Nato a Evanston nell’Illinois, inizia a soffiare negli strumenti ad ancia nel periodo dell'adolescenza. A partire dal 1928, quando ha ventun anni e suona nei California Ramblers, sceglie definitivamente il sassofono basso, fino a quel momento considerato una voce marginale nelle jazzband. cui è praticamente l'unico strumentista specialisti. Prima della fine dell'anno lascia la band e si mette in proprio dando vita a una formazione con la quale opera nei locali di Chicago fino al 1932. Chiusa l'esperienza autonoma riprende a girovagare tra le orchestre dell'area chicagoana. Nel 1934 suona con la band di Ted Weems e successivamente con i gruppi di Frank Snyder e Bud Freeman. Instabile come tutti i jazzisti di razza, dopo aver militato per ben tre anni nella formazione diretta da Jimmy McPartiand, nel 1942 lascia l'Illinois e se ne va in California, dove entra a far parte dell’orchestra di Benny Goodman. Ci resta fino al 1943 quando per l'ennesima volta sceglie di cambiare aria. Tra il 1944 e il 1945 il suo sassofono basso è alle dipendenze della band di Horace Heidt. Alla fine della seconda guerra mondiale incontra Red Nichols, che gli propone di unirsi a lui nei riformati Five Pennies. Rushton accetta con riserva. Il sodalizio si rivelerà, invece, saldissimo e il suo apporto caratterizzerà lo stile della nuova edizione dei Five Pennies. Praticamente non se ne andrà più, anche se periodicamente annuncerà il suo ritiro dalle scene. Per la verità i suoi non sono soltanto annunci, visto che per un certo periodo trova anche lavoro come operaio in una fabbrica di aeroplani. La voglia di suonare è più forte di tutto e anche quando il suo cuore comincia a dargli qualche problema lui non se ne cura. Nel 1963 si imbarca in una lunga e faticosa tournée con Nichols e i Five Penny che lo lascia fisicamente e psicologicamente prostrato. Per l'ennesima volta annuncia il ritiro dalle scene, ma poi riprende a suonare. Il suo cuore cede mentre è ancora nel pieno della sua attività. Oltre alle incisioni delle band nelle quali ha militato di lui restano testimonianze su vinile nel lavoro in studio di gruppi come quelli di Pete Daily, Floyd O’Brien e Zep Meissner.
27 febbraio, 2019
27 febbraio 1965 – I Seekers per la prima volta al vertice in Gran Bretagna
Il 27 febbraio 1965 al vertice della classifica britannica arriva il brano I'll never find another you dei Seekers, il gruppo formato nel 1964 in Australia da Judith Durham, Keith Potger, Bruce Woodley e Athol Guy. Keith, l'unico non australiano di nascita, ma emigrato all'età di sei anni, prima di unirsi alla band lavora come produttore radiofonico, Judith come segretaria presso un patologo e Athol e Bruce come impiegati in una agenzia di Melbourne. Tra il 1965 e il 1966 i Seekers ottengono uno straordinario successo in Inghilterra dove, appena arrivati, debuttano nel “Sunday Night at The Palladium”. Il successo arriva fin dal primo singolo I'll never find another you cui segue A world of our own e The carnival is over. La fortuna continua anche nel 1966 con Someday one day, Walk with me e Morningtown ride e nel 1967 con Georgie girl, When will the good apples fall e Emerald City. Nello stesso anno Judith, senza successo, pubblica come solista il singolo The olive tree e poco tempo dopo anche i Seekers, arrivati così rapidamente al vertice della classifica, altrettanto rapidamente vengono abbandonati dal pubblico.
25 febbraio, 2019
26 febbraio 1978 – Tace il sax di Alix Combelle
Il 26 febbraio 1978 muore a Mantes la Jolie, in Francia, il sassofonista Alix Combelle, per molto tempo considerato miglior sax tenore sulla scena del jazz europeo. Nato a Parigi il 15 giugno 1912 è figlio d’arte visto che suo padre è il primo sassofono nell'orchestra della Guardia Repubblicana. Proprio il padre è il suo primo maestro, anche se all’inizio il buon Alix sembra intenzionato a non voler ripercorrere le orme del padre. Agli inizi della sua carriera infatti si fa ingaggiare da Bruno Coquatrix come batterista. La scelta dura poco. Ben presto molla piatti e tamburi per il sax tenore suonando prima con Gregor & the Gregorians e poi, nel 1935, allo Stage B con l'orchestra di Arthur Briggs. Successivamente forma un proprio gruppo che nel 1940 prende il nome di Jazz de Paris. Nonostante l'occupazione tedesca della Francia il jazz francese non si nasconde e il gruppo di Combelle lascia varie registrazioni che oggi forniscono una testimonianza importante sull’evoluzione del genere in quel periodo. Dopo la liberazione, Alix Combelle forma un’orchestra che pian piano finisce per passare alla musica da ballo. Nel 1962 chiude ogni attività come musicista professionista. Resta però nell’ambiente organizzando vari concerti e scrivendo di jazz per il Bulletin du Hot Club de France. Di lui restano varie incisioni che testimoniano di una tecnica sopraffina e di uno stile vicino a quello di Coleman Hawkins e Chu Berry.
24 febbraio, 2019
25 febbraio 1970 – Il matrimonio lampo di Mina
Alla fine degli anni Sessanta le cronache rosa hanno in Mina uno dei bersagli preferiti. La sua riservatezza, l’assenza di smentite, la sostanziale indifferenza nei confronti dei media alimentano e incoraggiano il gioco dei «si dice, si sussurra, sembra che…». Circola anche la voce che la cantante si sia sposata in gran segreto con Augusto Martelli in una antica chiesetta del quartiere Ticinese di Milano. In realtà il rapporto sentimentale tra la cantante e il maestro Martelli è ormai esaurito anche se i due continuano a collaborare sul piano professionale. All’inizio del mese di gennaio del 1970 Mina si esibisce in concerto a Terni. Al termine dello spettacolo il suo vecchio amico Fabrizio Zampa, giornalista con un passato da batterista nei Flippers, va in camerino a salutarla. L’accompagna un collega, Virgilio Crocco, giornalista del Messaggero di Roma. La cantante resta piacevolmente colpita da quest’ultimo, un uomo gentile, distinto e un po’ chiuso in se stesso. Tra i due scocca una scintilla che fin dal primo momento è qualcosa di più di una semplice simpatia. Un mazzo di fiori, una telefonata, qualche confidenza colpiscono Mina più di un lungo e stucchevole corteggiamento. Si rivedono a Bologna qualche giorno dopo e decidono di non perdere altro tempo. Il 25 febbraio 1970 si sposano nel Municipio di Trevignano, in provincia di Roma. Perché aspettare?
24 febbraio 1988 – Memphis Slim: io sono solo l'ambasciatore del blues...
Il 24 febbraio 1988 muore a Parigi all’età di settantatré anni, il pianista e cantante blues Peter Chapman, meglio conosciuto con il nome d’arte di Memphis Slim, dal nome della città dove è nato. Tra i bluesmen storici è sicuramente il più amato dal pubblico giovanile europeo, anche perché proprio in Europa ha stabilito, a partire dal 1961 la sua residenza, ripudiando l'ingrata terra natale che non amava il suo blues didascalico e poco incline alle concessioni spettacolari. A sette anni inizia a picchiare sui tasti di un pianoforte sotto la guida di suo padre e a dieci già si esibisce nelle sale da ballo riservate ai neri del suo quartiere. Nel 1931 incontra Roosevelt Sykes che lo prende sotto la sua ala protettiva. Sei anni dopo è a Chicago dove pubblica vari brani, tra cui il suo primo successo "Beer drinkin' woman", e trova un posto fisso come pianista del gruppo di Big Bill Broonzy. Verso la metà degli anni Quaranta lascia la band di Broonzy intenzionato a percorrere nuove strade. Per un po' si esibisce da solo e poi forma gli House Rockers, un gruppo di cui fanno parte, fra gli altri, i sassofonisti Alex Atkins ed Ernest Corton e il bassista Big Crawford. Nonostante il successo, le tournée e i dischi fatica ad adattarsi alle regole del music business statunitense. Il blues non è per lui solo spettacolo, ma cultura e voglia di raccontare. Di sé dice: «Sono un ambasciatore, l'ambasciatore del blues. Canto, suono e compongo sapendo che non sto inventando niente. Il blues esisteva prima di me e continuerà a esistere anche quando non ci sarò più. Io sono solo il suo ambasciatore». In linea con questa impostazione è anche il suo modo di presentare le canzoni al pubblico, tutte rigorosamente in ordine cronologico, intervallate con aneddoti e ricordi personali. Quando nel 1960 Joe Glaser, il vecchio manager di Louis Armstrong, lo porta in Europa scopre un mondo nuovo. Vede migliaia di giovani ai concerti che pendono dalle sue labbra, seguono i suoi racconti in silenzio e decide di lasciare, per sempre, gli Stati Uniti. Si stabilisce definitivamente a Parigi e ricomincia da capo. Non è raro incontrarlo nei locali della capitale francese, al Mars Club, al Blues Bar e, soprattutto al Trois Mallet dove resta in cartellone quasi ininterrottamente dal 1962 al 1974. Ama Parigi, ma da buon ambasciatore non lo ammetterà mai per non offendere gli altri paesi europei. A chi glielo chiederà dirà sempre d'aver scelto la capitale francese soltanto perché è «al centro dell'Europa».
22 febbraio, 2019
22 febbraio 1968 – I Genesis, cinque diciottenni di belle speranze
Sono tutti studenti diciottenni i cinque componenti dei Genesis, un gruppo sconosciuto che il 22 febbraio 1968 pubblica per la prestigiosa Decca Records il suo primo singolo: un morbido brano acustico intitolato The silent sun. Il prodotto non sembra di quelli destinati a restare nella storia del rock e negli uffici della casa discografica inglese c’è chi storce il naso: «Dilettanti senza futuro. Ma chi li ha trovati?» La scoperta del gruppo, avvenuta quasi per caso, si deve a Jonathan King, uno degli uomini del reparto artistico della Decca. La storia inizia, infatti, qualche mese prima quando King resta colpito da uno dei tanti nastri quotidianamente inviati alla casa discografica da artisti desiderosi di farsi conoscere. Rintraccia il recapito della band che ancora non ha un nome e invita i suoi componenti a farsi sentire. Scopre così che il gruppo è formato da cinque allievi della Charterhouse Public School di Godalming nel Surrey che in precedenza facevano parte di due diverse band scolastiche: i Garden Wall e gli Anon. Il cantante si chiama Peter Gabriel, il tastierista Tony Banks, il batterista Chris Stewart e i chitarristi Anthony Phillips e Mike Rutherford. Jonathan King ha l’impressione che dietro alla timidezza e all’aria un po’ dimessa dei ragazzi ci siano idee e preparazione. Li invita quindi a continuare e li scrittura per un paio di dischi, incurante dello scetticismo di altri responsabili della produzione della Decca. Il singolo pubblicato il 22 febbraio 1968 passa inosservato, quasi a dar ragione agli scettici e non avrà miglior fortuna neppure il successivo The silent sun. Deciso a non ammettere lo sbaglio King convince Peter Gabriel e compagni a lavorare a un album, From Genesis to Revelation, che viene rapidamente stroncato dalla critica nonostante brani decisamente originali come Am I very wrong?. Stanco e demoralizzato King getta la spugna mentre i ragazzi, ormai senza più contratto discografico, tornano agli studi. Tony Banks e Mike Rutherford sembrano i più decisi a chiudere definitivamente con la musica, ma Gabriel non demorde. Un po’ per divertimento, un po’ perché nessuno ha di meglio da fare il gruppo, con qualche cambiamento, non si scioglie e continua a suonare. Due anni dopo sotto la guida carismatica di Peter Gabriel saranno proprio Banks e Rutherford, insieme al chitarrista Steve Hackett e al batterista Phil Collins a fare dei Genesis uno dei gruppi più originali tra i protagonisti del rock progressivo dei primi anni Settanta.
20 febbraio, 2019
21 febbraio 1976 - Il bis sanremese di Peppino Di Capri
Il 21 febbraio 1976 Peppino Di Capri vince per la seconda volta nella sua carriera il Festival di Sanremo con Non lo faccio più. La manifestazione, pur lontana dai fasti di un tempo, sembra lentamente recuperare prestigio. Qualche stupore destano le eliminazioni di personaggi come Rosanna Fratello, che interpreta in modo molto sensuale il brano Il mio primo rossetto e Romina Power, in gara con Noi due, una canzone scritta da lei stessa insieme al marito Al Bano, entrambe alla vigilia considerate sicure protagoniste della rassegna sanremese. Crescono anche le vendite dei dischi, grazie soprattutto a Linda bella Linda dei Daniel Sentacruz Ensemble, destinata a diventare il ‘tormentone’ musicale della primavera del 1976. Questa edizione del Festival ha poi anche il pregio di riproporre all’attenzione del pubblico Peppino Di Capri, uno dei geniali protagonisti della canzone italiana degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Nato nel 1939 a Capri, il cantante, il cui vero nome è Giuseppe Faiella inizia molto presto a suonare nei night club e a sedici anni vince, con la sua band, i Rockers una gara televisiva per voci nuove. Nel 1959 entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti con Nun è peccato, il primo di una lunghissima serie di successi. Formidabile interprete di un’azzeccata miscela tra il dialetto partenopeo e i ritmi d’oltreoceano stabilisce un vero e proprio record entrando, dal 1959 al 1964, per ben trentaquattro volte consecutive in hit parade. Nel 1963 dopo aver dominato la vetta della classifica con la sua versione di Don't play that song, vince il Cantagiro. Nel 1970 trionfa in quella che resta nella storia come l’ultima edizione del Festival di Napoli con Me chiamme ammore, in coppia con Gianni Nazzaro. A partire dal 1971 la sua storia artistica si incrocerà più volte con quella del Festival di Sanremo.
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