06 aprile, 2019

7 aprile 1990 – The power of Snap!


Il 7 aprile 1990 al vertice della classifica dei singoli più venduti in Gran Bretagna c'è The power, un brano dance le cui note di copertina sostengono sia interpretato dagli Snap! In quel periodo nessuno crede che esista davvero un gruppo con quel nome. Infatti Snap! è una delle tante sigle nate per firmare la produzione di musica da discoteca, costruita in sala di registrazione miscelando rap, dance, house, funky e tanti altri generi e sottogeneri. Lo scopo è quello di costruire brani il cui unico requisito è la ballabilità. Il problema degli interpreti si pone soltanto in caso di successo, altrimenti una sigla vale l'altra. Il successo di The power rende perciò necessario dare consistenza spettacolare e televisiva alla sigla Snap!. Viene così inventato un trio composto da un "macho" e quattro ragazze. Il "macho" è Turbo B, all'anagrafe Durron Maurice Butler, un ex pugile con (dicono le biografie) un'esperienza come istruttore di "full contact" per le truppe americane di stanza in Germania. Le quattro ragazze sono, invece, sua cugina Jackie Harris, due sconosciute coriste presentate come Jackie H. e Beverly Broan e la cantante Penny Ford. Quest'ultima è l'unica componente a poter vantare una discreta carriera. Figlia del produttore Gene Reid e della cantante Carolin Ford, ha debuttato come solista nel 1986 e per un breve periodo ha sostituito Lorena Shelby nelle Klymaxx. Trovata la formula ideale, per qualche tempo le azioni del gruppo vanno decisamente bene. I dischi di successo si susseguono uno dopo l'altro mentre gli interpreti prendono sempre più confidenza con il loro ruolo di star. Il periodo buono finirà nel 1992 con il fiasco dell'album The madman's return. Nonostante il buon successo del singolo Rhythm is a dancer la produzione decide di non rischiare ed elimina l'unico maschio. Il povero macho Turbo B viene così sostituito dalla avvenente Nikki Harris, una delle due coriste di Madonna. Il cambiamento non serve però a ridare slancio al progetto. Siccome i creatori di questo tipo di prodotti non possono aspettare, gli Snap! vengono accantonati per far spazio a nuovi progetti più vendibili. L'unica capace di trarre profitto dall'esperienza degli Snap! sarà Penny Ford. Chiusa la parentesi ricomincerà come solista. Non avrà la fortuna del gruppo, ma saprà districarsi affiancando all'attività in proprio lunghi periodi come corista di studio e in concerto. Gli altri spariranno praticamente nel nulla.


05 aprile, 2019

6 aprile 1923 – Canal Street blues

Il 6 aprile 1923 in un precario studio di registrazione di Richmond, nello stato dell'Indiana, viene incisa per la prima volta Canal Street blues. Composto da Louis Armstrong e King Oliver il brano è dedicato a una delle più famose strade della storia del jazz che con i suoi cinquantun metri di larghezza è anche una delle vie urbane più ampie del mondo. Si trova a New Orleans e divide in due la città dal Mississippi a Metaire Road. La sua prima registrazione è curata dalla Creole Jazz Band di King Olivier, di cui è seconda cornetta Louis Armstrong che da meno di un anno ha lasciato il mestiere di scaricatore di carbone per dedicarsi interamente alla musica e sta cogliendo i primi risultati del suo lavoro. La seduta di registrazione del 6 aprile, oltre a Canal Street blues, vede la prima incisione di un altro brano di Armstrong, Dippermouth blues, destinato a diventare un classico con il titolo di Sugar foot stomp. Tutto il periodo passato dall'allegra banda della Creole Jazz Band negli studi di Richmond resterà nella leggenda del jazz. In quegli angusti e umidi locali inizia la storia d'amore tra Louis Armstrong e la pianista Lil Hardin, che qualche anno dopo diventerà la sua seconda moglie, ma nascono anche i primi contrasti artistici tra lo stesso Armstrong e il suo "vate" King Oliver. L'ambiente e la situazione, poi, sono quanto di più incredibile si possa immaginare. Il locale che ospita le sedute di registrazione è vicino alla ferrovia e i musicisti sono costretti a interrompersi ogni volta che, sbuffando e sferragliando, passa un treno. Al termine del passaggio riprendono l'esecuzione dal punto esatto dove hanno lasciato. Come se non bastasse, le esibizioni della band avvengono davanti a un pubblico di curiosi e appassionati che intervengono rumorosamente nelle pause con osservazioni, pareri e critiche che fanno spazientire King Oliver. Pur adeguandosi alle direttive del suo capo-orchestra, anche Armstrong non perde occasione per rimarcare il suo punto di vista, sostenuto nella sua battaglia da altri componenti della band che gli sono amici e parteggiano per lui come Johnny Dodds, Honoré Dutrey e Baby Dodds, oltre, ovviamente a Lil Hardin. Le giornate passano così tra discussioni, liti, interruzioni e lunghe jam session destinate al pubblico presente mentre il lavoro di registrazione procede a rilento. Nonostante tutto le incisioni di Richmond resteranno una testimonianza importante sia delle qualità di King Oliver e della sua band che del genio di Louis Armstrong.


04 aprile, 2019

5 aprile 1944 – Evan Parker, sassofono solista


Il 5 aprile 1944 nasce a Bristol, in Gran Bretagna, il sassofonista Evan Parker. Legato fin da adolescente al mondo dello spettacolo dove ottiene i suoi primi ingaggi professionali come ballerino, inizia a studiare seriamente sassofono a partire dal 1958, quando compie i quattordici anni, sotto la guida di James Knott. Eclettico ed estroso suona il sax contralto fino a quando si ispira a Paul Desmond, ma non appena scopre John Coltrane non esita a passare prima al soprano e poi al tenore. Muove i suoi primi passi nel modern jazz facendosi apprezzare come strumentista, ma non ancora ventenne approda al free da cui si lascia conquistare definitivamente. Nel 1966, dopo le prime esperienze con John Stevens e Derek Bailey entra a far parte dello Spontaneous Music Ensemble. L'anno dopo si dedica a vari progetti con alcuni improvvisatori tedeschi, come Peter Kowald e Peter Brotzmann, con i quali incide vari dischi. Nel 1969, dopo un breve periodo al fianco di Manfred Schoof, entra nel trio di Alexander Von Schlippenbach, che diviene poi un quartetto. Quasi nello stesso periodo suona anche con Pierre Favre e finisce per costituire, insieme ad altri esponenti britannici del jazz più radicale la Music Improvisation Company, una sorta di band ufficiale della corrente. Nel 1970 accetta anche di far parte, quando richiesto, di due importanti orchestre internazionali come la Globe Unity e la Brotherhood of Breath con le quali registra vari dischi e tiene numerosi concerti in giro per il mondo. Dello stesso anno è anche la nascita del duo con il batterista Paul Lytton il cui lavoro in studio verrà raccolto in tre dischi. Nel 1971 realizza il sogno di dar vita a una propria etichetta discografica fondando, insieme a Derek Bailey, la Incus. Gli anni Settanta lo vedono molto attivo e impegnato in progetti con i suoi Bailey, Lytton, Von Schlippenbach e Stevens, oltre che con la London Jazz Composer's Orchestra. Progressivamente, però, la sua attività si orienta verso le "solo performance", in cui studio, sperimentazione ed esecuzione spettacolare diventano tutt'uno, come emerge dalla testimonianza di album come Saxophone solos e Monoceros. Alla fine degli anni Settanta è ormai considerato uno dei più originali strumentisti nari e cresciuti nel free jazz, tanto che viene addirittura coniato il termine "formula Evans" per definire l'originalità di uno stile nel quale la proposta sperimentale non esclude l'emotività.


4 aprile 1990 – Sarah, la Divina


Il 4 aprile 1990 muore, all’età di sessantaquattro anni, Sarah Vaughan, una delle più grandi cantanti jazz del mondo, soprannominata "The Divine" (La Divina). Solo l'anno prima aveva ricevuto il prestigioso riconoscimento del Grammy Award alla carriera. Nata il 27 marzo 1924 a Newark, nel New Jersey, a differenza di molti altri suoi colleghi jazzisti, non ha alle spalle un'esistenza tormentata o problematica, se si eccettuano i normali alti e bassi che caratterizzano un po' la vita di tutti gli artisti. Suo padre è un falegname che si diletta a esibirsi nel tempo libero come chitarrista blues, mentre la madre è corista di gospel nella chiesa del quartiere. Proprio quest'ultima la porta con sé fin da piccola e le insegna a cantare. In breve tempo diventa la beniamina del quartiere, ma la madre ha in mente altri progetti per lei. Sogna una figlia concertista classica e la iscrive a un corso di pianoforte. La giovane Sarah non ama la musica colta. Preferisce frequentare la compagnia dei suoi coetanei che strimpellano in improvvisati complessini jazz e, a diciott'anni, all'insaputa dei genitori si iscrive a un concorso per giovani talenti che si svolge nel famoso Apollo Theatre di Harlem. Qui la sua esibizione attira l'attenzione di Billy Eckstine, il cantante della Big Band di Earl Hines che parla con toni entusiastici della ragazza al leader dell'orchestra. Qualche tempo dopo il grande Hines la invita a entrare nella sua formazione come cantante e seconda pianista. Sarah accetta. In quel periodo il mondo del jazz è attraversato dalla forte ventata innovativa del be-bop. La cantante, affascinata dai "boppers" vive una lunga serie di esperienze artistiche al fianco di musicisti come Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Benny Green, Wardell Gray e Little Benny Harris. Gelosa della sua indipendenza, Sarah Vaughan chiusa nel 1944 l'esperienza orchestrale con Eckstine, che ha ereditato la formazione di Hines, non accetterà più di avere un ruolo subordinato. Farà uno strappo alla regola soltanto nel 1945 quando per un paio di mesi si unirà alla band di John Kirby. Nel corso della sua carriera lavora con quasi tutti i grandi del jazz, da Miles Davis a Oscar Peterson, a Leonard Feather, Stuff Smith, Count Basie, Cannonball Adderley e tanti altri. Il suo stile è unico: impostato su un fraseggio ricco di articolazioni sofisticate tende a riprodurre gli stili solistici dei grandi musicisti. La sua morte priva il jazz di una delle più originali e brillanti interpreti del jazz del dopoguerra.


02 aprile, 2019

3 aprile 1976 - "Disco lady" di Johnny Taylor, il primo disco di platino USA


Il 3 aprile 1976 arriva per la prima volta al vertice della classifica dei dischi più venduti il singolo Disco lady interpretato da Johnnie Taylor, destinato a passare alla storia per essere stato il primo disco di platino dell'industria discografica degli Stati Uniti. Taylor è un interprete di lungo corso che inizia a cantare gospel dall'età di otto anni in varie corali di Memphis e del Kansas e a quattordici anni è già famoso a Chicago negli Highway Q.C. Qui conosce Sam Cooke di cui prende successivamente il posto nei Soul Stirrers dopo aver militato in altri gruppi ancora come i Five Echoes. Chiamato anche “il filosofo del soul” inizia la sua carriera da solista nei primi anni Sessanta e arriva al successo nel 1969 con l'album Who's making love e con i singoli Who's making love e Take care of your homework. Da quel momento per tutti gli anni Settanta centra una lunga serie di successi, culminata nel 1976 proprio con il singolo Disco lady che vende oltre due milioni di copie ed è il primo disco beneficiato dalla decisione delle case discografiche di premiare con il disco di platino le vendite milionarie.


01 aprile, 2019

2 aprile 1971 – Il pubblico del Pop Festival freddo con Venditti


Il 2 aprile 1971 al Kilt di Roma ha inizio la seconda edizione del Pop Festival Italiano, una delle più importanti rassegne del panorama alternativo italiano. Il programma della manifestazione prevede che nell’arco di due giorni si esibiscano gruppi e artisti emergenti di generi diversi. Il pubblico accoglie un po’ freddamente Antonello Venditti che come gran parte degli artisti che gravitano intorno al Folk Club presenta le sue canzoni nel settore riservato al folk. Ai brani del cantautore romano vengono preferite le esibizioni di gruppi come La Pace e La Saggia Decisione. La rassegna ha in cartellone gran parte delle band più promettenti del periodo come i Punto, i Panna Fredda, i Fiori di Campo, gli Osanna, i Crisalide, i Free Love e Il Ritratto di Dorian Gray. Una curiosità è costituita dalla performance d’ispirazione afro-cubana de I Ragazzi di Mary Afy


30 marzo, 2019

30 marzo 1933 – Willie Nelson, il bianco country singer dell’Atlantic


Il 30 marzo 1933, a Forth Worth, in Texas, nasce Willie Nelson, uno dei più singolari ed eccentrici personaggi della musica country. A sei anni strimpella per la prima volta la chitarra e prima ancora di raggiungere la maggiore età è già un compositore molto apprezzato nel circuito dei locali di Nashville, considerato una sorta di Università del country. Il suo primo successo come autore è Night life, un brano destinato vendere che più di trenta milioni di dischi in oltre settanta versioni diverse. Il suo debutto come interprete è un po’ tardivo. Avviene infatti nel 1962, quando ha già ventinove anni, con il brano Touch me e l’album ...and then I wrote. Nonostante tutto sembra che al pubblico Willie Nelson piaccia più come autore che come cantante. Dopo otto anni con la “bianca” RCA e dodici album all’attivo, viene liquidato come un esperimento non perfettamente riuscito. Trova rifugio presso la “nera” Atlantic, una delle etichette simbolo del rhythm and blues, l’unica disposta a dare qualche chance al trentasettenne leone del country, da molti ritenuto ormai fuori dal giro. Contro ogni previsione l’operazione riesce. L’album Shotgun Willie, il primo con la nuova casa discografica, vende, nel giro di sei mesi, un numero di copie superiore alla somma di quelle vendute da tutti i suoi dischi precedenti. È il successo. Nel 1976 realizza, con la collaborazione di Jessi Colter, Tompall Glaser e Waylon Jennings, l'album Wanted: the outlaws, il primo disco country a superare il milione di copie vendute negli Stati Uniti. Questo strano cantautore “anziano” miracolato da una delle etichette storiche della musica nera non si fermerà più. Continuerà a comporre canzoni e a sfornare dischi di successo. Saranno debitrici nei confronti della sua creatività anche le colonne sonore di film come "Il cavaliere elettrico" di Sidney Pollack e “Honeysuckle Rose”, nel quale canterà in coppia con Emmylou Harris la canzone On the road again, destinata a vincere uno dei tanti Grammy Awards della sua carriera. Aperto alle più svariate esperienze musicali si lascerà tentare spesso dall’esperienza del lavoro di gruppo lavorando con vari artisti tra i quali Waylon Jennings, Merle Haggard, Kris Kristofferson, Paul English e Johnny Cash. Nel 1985 parteciperà all'organizzazione del Farm Aid, il Festival destinato a raccogliere fondi per aiutare le popolazioni rurali statunitensi vittime della “crisi del grano” e del fallimento di molte banche private.


20 marzo, 2019

20 marzo 1949 - Irving Fazola, il miglior clarinettista di New Orleans della sua generazione.


Il 20 marzo 1949 un attacco cardiaco stronca la vita di Irving Fazola, considerato il miglior clarinettista di jazz di New Orleans della sua generazione. Il musicista ha trentasette anni. È nato infatti il 10 dicembre 1912 proprio a New Orleans, la città dove ha vissuto i maggiori trionfi e dove è morto. Il suo vero nome è Irving Henry Prestopnik, troppo complicato per un artista. Dovendosi scegliere il nome d’arte lo prende in prestito dalla storpiatura anglofona delle tre note musicali Fa Sol e La. Inizia a suonare il pianoforte da bambino, ma quando frequenta le scuole medie alla Warren Easton High School passa al clarinetto. Considerato un piccolo talento, a soli quindici anni suona da professionista nei Little Collegians di Candy Candido. Milita poi nelle orchestre di Louis Prima, Armand Hug, Sharkey Bonano, Ben Pollack, Augie Schellang, Gus Arnheim e Glenn Miller. Nel 1938 viene assunto dall’orchestra di Bob Crosby, con la quale rimane fino al 1940. Proprio nell’orchestra di Crosby improntata al dixieland, ha modo di catturare l’attenzione della critica per il suo stile fluido e ricco di swing e con una splendida sonorità in tutti i registri. Vagabondo e sempre pronto a nuove esperienze tra il 1940 e il 1945 suona con le formazioni di Jimmy McPartland, Tony Almerico, Claude Thornhill, Muggsy Spanier, Teddy Powell, Georg Brunis, Louis Prima e Leon Prima. Alla fine della seconda guerra affianca al lavoro dal vivo nei locali un’intensa attività alla radio e continua a lavorare assiduamente fino a quando il suo cuore cede.


07 marzo, 2019

8 marzo 1971 – Le note di Hendrix a Radio Hanoi


«Hey man! Parlo con te, che porti la divisa di un paese lontano e sei qui, nel mio paese, a portare morte. Tu, che ogni giorno rischi di morire, ti sei mai chiesto perché? Questa non è la tua guerra. Nessuno ha minacciato il tuo paese, bruciato le tue case, ucciso i tuoi fratelli e le tue sorelle, tuo padre, tua madre, tua moglie e i tuoi bambini. Eppure sei qui. Bruci le nostre case e uccidi. Noi non ci arrenderemo. Dovrai ucciderci uno per uno, cancellare tutto e anche allora, se qualcuno sopravviverà, cercherà di vendicare i suoi morti. Perché tutto questo? Noi non vogliamo ucciderti, non abbiamo alcuna ragione per farlo. Ma se metti in pericolo la nostra vita e il nostro paese saremo costretti a spararti. E lo faremo. Credici, lo faremo. Non per crudeltà, ma per difenderci. Perché, amico, resti qui? Perché vuoi continuare una guerra che altri hanno deciso per te? Torna a casa tua, dai tuoi amici, dalla tua famiglia. Lasciaci vivere la nostra vita e torna a vivere la tua...» Così, con un invito ai soldati statunitensi a tornarsene a casa, l’8 marzo 1971 inizia le sue trasmissioni in inglese su tutto il territorio vietnamita l’emittente Radio Hanoi. Mentre cresce nel mondo la protesta contro la “sporca guerra” d’aggressione condotta dagli Stati Uniti nel paese asiatico, la stazione radiofonica nordvietnamita si rivolge direttamente ai soldati americani nella loro lingua. Le trasmissioni non sono, però, composte da proclami, ma anche da musica, tanta musica rock che riporta ai giovani in divisa dell’esercito invasore gli echi di una battaglia pacifista che si sta combattendo nel loro paese. Il primo brano trasmesso da Radio Hanoi è l’inno statunitense Star spangled banner, nella stralunata e acida versione di Jimi Hendrix, lo scomparso chitarrista nero. Negli Stati Uniti la stampa conservatrice scatena una polemica feroce contro tutti gli artisti coinvolti dalle iniziative del movimento pacifista, accusandoli di essere «complici di chi assassina i nostri ragazzi nelle giungle vietnamite». La risposta non tarda ad arrivare. Il primo a prendere posizione è il “padre nobile” della canzone politica, il folksinger Pete Seeger, che due giorni dopo l’inizio delle trasmissioni di Radio Hanoi annuncia di aver regalato i suoi dischi all’emittente nordvietnamita e parla ai giovani americani: «Non andate in Vietnam. Il sangue di ogni vietnamita ucciso è sangue versato anche per la nostra libertà. La loro battaglia è la nostra».

06 marzo, 2019

6 marzo 1936 – Sylvia da cantante a manager


Il 6 marzo 1936 nasce a New York Sylvia Vanderpool. Ancora adolescente registra i primi dischi all’inizio degli anni Cinquanta con il nome di Little Sylvia. Nel 1955 forma con Mickey Baker il duo Mickey & Sylvia destinato a ottenere un buon successo con brani come Love is strange del 1957 e Baby you're so fine del 1961. La vita della star però a Sylvia non piace e nel 1961 mentre sta per arrivare il ciclone dei Beatles che cambierà i gusti dei giovani di tutto il mondo il duo si scioglie e la ragazza decide di cimentarsi in campi diversi. Sylvia negli anni successivi dimostra di saperci fare in settori in genere riservati agli uomini e con grinta e determinazione diventa via via produttrice, autrice, tecnica di registrazione e infine vicepresidente dalle etichette Vibration e All Platinum, fondate in società con Mickey Baker. Quando gli affari le vengono a noia decide di rilassarsi un po’ tornando sulle scene. Nel 1971, infatti, decide di tornare in sala di registrazione per interpretare Pillow talk, una canzone composta da Al Green già sottoposta, senza risultati, all'attenzione di molti altri cantanti. Proprio Pillow talk la riporta in classifica, vendendo oltre due milioni di copie, ma Sylvia preferisce considerarlo un episodio isolato e torna a occuparsi di produzione.


22 febbraio, 2019

22 febbraio 1968 – I Genesis, cinque diciottenni di belle speranze


Sono tutti studenti diciottenni i cinque componenti dei Genesis, un gruppo sconosciuto che il 22 febbraio 1968 pubblica per la prestigiosa Decca Records il suo primo singolo: un morbido brano acustico intitolato The silent sun. Il prodotto non sembra di quelli destinati a restare nella storia del rock e negli uffici della casa discografica inglese c’è chi storce il naso: «Dilettanti senza futuro. Ma chi li ha trovati?» La scoperta del gruppo, avvenuta quasi per caso, si deve a Jonathan King, uno degli uomini del reparto artistico della Decca. La storia inizia, infatti, qualche mese prima quando King resta colpito da uno dei tanti nastri quotidianamente inviati alla casa discografica da artisti desiderosi di farsi conoscere. Rintraccia il recapito della band che ancora non ha un nome e invita i suoi componenti a farsi sentire. Scopre così che il gruppo è formato da cinque allievi della Charterhouse Public School di Godalming nel Surrey che in precedenza facevano parte di due diverse band scolastiche: i Garden Wall e gli Anon. Il cantante si chiama Peter Gabriel, il tastierista Tony Banks, il batterista Chris Stewart e i chitarristi Anthony Phillips e Mike Rutherford. Jonathan King ha l’impressione che dietro alla timidezza e all’aria un po’ dimessa dei ragazzi ci siano idee e preparazione. Li invita quindi a continuare e li scrittura per un paio di dischi, incurante dello scetticismo di altri responsabili della produzione della Decca. Il singolo pubblicato il 22 febbraio 1968 passa inosservato, quasi a dar ragione agli scettici e non avrà miglior fortuna neppure il successivo The silent sun. Deciso a non ammettere lo sbaglio King convince Peter Gabriel e compagni a lavorare a un album, From Genesis to Revelation, che viene rapidamente stroncato dalla critica nonostante brani decisamente originali come Am I very wrong?. Stanco e demoralizzato King getta la spugna mentre i ragazzi, ormai senza più contratto discografico, tornano agli studi. Tony Banks e Mike Rutherford sembrano i più decisi a chiudere definitivamente con la musica, ma Gabriel non demorde. Un po’ per divertimento, un po’ perché nessuno ha di meglio da fare il gruppo, con qualche cambiamento, non si scioglie e continua a suonare. Due anni dopo sotto la guida carismatica di Peter Gabriel saranno proprio Banks e Rutherford, insieme al chitarrista Steve Hackett e al batterista Phil Collins a fare dei Genesis uno dei gruppi più originali tra i protagonisti del rock progressivo dei primi anni Settanta.

20 febbraio, 2019

21 febbraio 1976 - Il bis sanremese di Peppino Di Capri


Il 21 febbraio 1976 Peppino Di Capri vince per la seconda volta nella sua carriera il Festival di Sanremo con Non lo faccio più. La manifestazione, pur lontana dai fasti di un tempo, sembra lentamente recuperare prestigio. Qualche stupore destano le eliminazioni di personaggi come Rosanna Fratello, che interpreta in modo molto sensuale il brano Il mio primo rossetto e Romina Power, in gara con Noi due, una canzone scritta da lei stessa insieme al marito Al Bano, entrambe alla vigilia considerate sicure protagoniste della rassegna sanremese. Crescono anche le vendite dei dischi, grazie soprattutto a Linda bella Linda dei Daniel Sentacruz Ensemble, destinata a diventare il ‘tormentone’ musicale della primavera del 1976. Questa edizione del Festival ha poi anche il pregio di riproporre all’attenzione del pubblico Peppino Di Capri, uno dei geniali protagonisti della canzone italiana degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Nato nel 1939 a Capri, il cantante, il cui vero nome è Giuseppe Faiella inizia molto presto a suonare nei night club e a sedici anni vince, con la sua band, i Rockers una gara televisiva per voci nuove. Nel 1959 entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti con Nun è peccato, il primo di una lunghissima serie di successi. Formidabile interprete di un’azzeccata miscela tra il dialetto partenopeo e i ritmi d’oltreoceano stabilisce un vero e proprio record entrando, dal 1959 al 1964, per ben trentaquattro volte consecutive in hit parade. Nel 1963 dopo aver dominato la vetta della classifica con la sua versione di Don't play that song, vince il Cantagiro. Nel 1970 trionfa in quella che resta nella storia come l’ultima edizione del Festival di Napoli con Me chiamme ammore, in coppia con Gianni Nazzaro. A partire dal 1971 la sua storia artistica si incrocerà più volte con quella del Festival di Sanremo.



03 febbraio, 2019

3 febbraio 1968 – A Sanremo vincono due cantautori


Il 3 febbraio 1968, a sorpresa, un cantautore vince per la prima volta il Festival di Sanremo. Un anno dopo la morte di Luigi Tenco un artista della stessa scuola, Sergio Endrigo, sale sul podio più alto della rassegna sanremese. In coppia con lui c’è un altro personaggio emblematico della nuova musica di quel periodo: il brasiliano Roberto Carlos. La tragica morte di Tenco sembra aver cambiato molte cose e non è stata, almeno dal punto i vista musicale, inutile. I primi a cogliere le novità sono i critici che salutano nel risultato un segno d’apertura alle nuove tendenze e sottolineano come la vincitrice Canzone per te, non rientri negli "exploit da Festival", ma si inserisca a pieno titolo nella migliore produzione della malinconica vena del cantautore istriano. Tenco a parte, c'è da rilevare come quell'edizione del Festival risenta un po' del clima generale della società italiana, ricco di fermenti e ribellioni che di lì a poco sfoceranno in un vero e proprio movimento di contestazione generale al sistema. La vittoria di Endrigo non è l'unica novità di un Festival che vede la presenza di alcuni personaggi di primo piano della musica nera di quel periodo, come Shirley Bassey, Dionne Warwick e, soprattutto, Wilson Pickett e Earta Kitt. Proprio all'esplosivo Pickett viene affidato, in coppia con Fausto Leali, Deborah un brano "nero" nato dalla penna di Paolo Conte, altro cantautore per la prima volta a Sanremo. Per la cronaca quel Festival segna anche, almeno come autore, la presenza sanremese di Lucio Battisti. Il ragazzotto di Poggio Bustone è l'autore della mielosa Una farfalla impazzita, nobilitata da una buona interpretazione di Johnny Dorelli e dell'ormai ex idolo delle teen-ager Paul Anka. Il vero colpo grosso è però la contemporanea presenza di due leggende del jazz come Louis Armstrong e Lionel Hampton. Il primo interpreta in coppia con Lara Saint Paul Mi va di cantare, un motivetto vagamente dixieland che può contare sull'accompagnamento della band di Hengel Gualdi, mentre il secondo è incaricato di ripetere al vibrafono, riarrangiandole, tutte le canzoni in gara. Le piacevoli anomalie di questa edizione sessantottina del Festival trovano la loro sintesi proprio nella vittoria di Sergio Endrigo, un cantautore per il quale le canzoni d'amore non sono un ostacolo all'impegno politico e sociale. Non a caso presterà qualche anno dopo la sua immagine alla campagna elettorale dello PSIUP, il Partito Socialista di Unità Proletaria.


01 febbraio, 2019

1 febbraio 1973 – Il giamaicano bianco Chris Blackwell punta sul reggae


«Il reggae è una delle migliori espressioni della cultura del mio paese. Credo che valga la pena di investire qualche soldo per favorirne la diffusione, anche perché sono convinto che questa musica possa sfondare sul mercato americano». Così il 1 febbraio 1973 Chris Blackwell, il manager giamaicano bianco proprietario della casa discografica Island Records, annuncia la sua intenzione di creare la Mango Record, un’etichetta interamente dedicata agli interpreti del reggae. La decisione è importante perché è destinata ad aprire le porte del mercato statunitense a un gran numero di artisti giamaicani fino a quel momento al margine del music business e a influenzare profondamente l’evoluzione musicale degli anni Settanta. La scelta è in linea con la missione di questo originale produttore che negli anni ha dimostrato di saper fondere con successo l’amore per le musiche della propria terra con la capacità di fare affari. Chris Blackwell fonda la Island in Giamaica nel 1958 producendo un album del pianista cieco Lance Hayward, anche se il primo successo discografico arriva soltanto l’anno dopo con Boogie in my bones di Laurel Aitken. Ben presto si sente stretto nei confini dell’isola che gli ha dato i natali e a partire dal 1962 si trasferisce in Gran Bretagna. Il suo obiettivo iniziale è quello di conquistare il mercato della comunità degli immigrati giamaicani e tra i primi dischi della sua produzione britannica c’è un singolo Judge not di un certo Robert Marley. Per una distrazione dello stampatore il nome del cantante sull’etichetta destinata al mercato inglese viene, però, storpiato in Robert Morley. Blackwell non se ne accorge nemmeno. Nel 1964 è uno dei principali artefici del successo internazionale dello ska pubblicando My boy lollipop di Millie Small, ma non rinuncia a dire la sua anche sulla scena del pop e del rock inglese. Produce lo Spencer Davis Group e, dopo il suo scioglimento, accompagna Stevie Winwood, che lui considera l’artista più geniale della band nella nuova avventura con i Traffic. Non dimentica, però, la musica giamaicana. Nel 1969 trasforma lo sconosciuto Jimmy Chambers in Jimmy Cliff, star della scena musicale internazionale, ma ci rimane male quando se ne va perché «le major pagano di più» di quanto possa pagare lui. Fortunatamente non passerà molto tempo prima che un altro giamaicano, uno strano tipo di nome Bob Marley, bussi alla sua porta...

29 gennaio, 2019

30 gennaio 1958 – Volare, oh oh


Il 30 gennaio 1958 inizia un Festival di Sanremo destinato a lasciare un segno profondo nella canzone italiana. Alla rassegna, che si svolge dal 30 gennaio al 1° febbraio, partecipa un giovane cantante e autore, Domenico Modugno. La canzone che presenta, Nel blu, dipinto di blu, già nei giorni delle prove suscita più d’una perplessità in critici ed esperti. C'è chi si chiede perché sia stata ammessa e chi ne parla decisamente male. Nella trappola cadono anche i più scafati. Perfino un musicista cresciuto alla scuola del jazz e, in genere, aperto alle innovazioni come il maestro Gorni Kramer la boccia senza pietà. Gli sfugge la portata della composizione, non ne capisce il senso e si lascia andare a commenti non proprio lusinghieri: «Ma che pazzia è questa canzone? Non ha stile, non esiste». Non diversa, per la verità, è l’opinione dei giornalisti presenti, con qualche rara eccezione come quella di Mario Casalbore, un "veterano" della stampa festivaliera che non esita ad andare controcorrente e prendere le parti di Modugno. Il brano merita tutta questa attenzione. È insolito e innovativo a partire dal testo in cui evidenti sono i riferimenti surrealisti, ma anche dal punto di vista musicale non scherza. Nel blu, dipinto di blu, infatti, porta per la prima volta sul palcoscenico di Sanremo varianti ritmiche e compositive nelle quali non è difficile cogliere l’eco delle novità che arrivano d’oltreoceano. Nonostante il pessimismo e le critiche degli "addetti ai lavori" il pubblico saluta con una vera e propria ovazione l’esibizione di Modugno che rompendo la tradizione dei cantanti composti e immobili, sul ritornello, allarga le braccia come se volesse levarsi in volo. Il pubblico che affolla il salone delle feste del Casinò di Sanremo si fa trascinare dall'entusiasmo e non sono pochi gli spettatori che si alzano in piedi sventolando i fazzoletti e accompagnandolo in coro. La diretta televisiva fa il resto. La carica emotiva del brano arriva ovunque e tutta l’Italia resta soggiogata dalla personalità di Modugno e dalla forza trascinante della sua canzone. Nei giorni successivi il ritornello «Volare, oh, oh...» diventa quasi il nuovo inno nazionale. Il successo di Nel blu, dipinto di blu sarà clamoroso e non resterà rinchiuso nei confini italiani. La canzone, in varie versioni, farà il giro del mondo vende oltre venticinque milioni di dischi. Un record all'epoca superato soltanto da White christmas di Bing Crosby.

22 gennaio, 2019

21 gennaio 1937 - Snooks Eaglin, cieco e vagabondo


Il 21 gennaio 1937 a New Orleans, in Louisiana, nasce Snooks Eaglin, uno dei quei bluesmen vagabondi che si sono formati percorrendo in lungo e in largo le regioni del sud degli Stati Uniti e assimilando una grande varietà di stili, dal jazz suonato nella città del delta al gospel, al blues vero e proprio fino alla musica hillbilly che ha rappresentato spesso per lui una piacevole parentesi. Dopo aver imparato da autodidatta a suonare la chitarra nel 1952 entra a far parte dei Flamingoes, un gruppo con un repertorio incentrato sul rock'n'roll, sul country e sul western come prevedono il gusto e le tendenze del tempo. Siccome i pochi soldi che gli derivano dall’attività in gruppo non gli bastano e per ampliare il bilancio canta e suona per le strade della città natale spesso accompagnato spesso da Percy Randolph e da Lucius Bridges. Nel 1956, a diciannove anni, diventa cieco in seguito a un tumore al cervello asportatogli con una difficile operazione chirurgica. Nel 1958, con l'aiuto di Harry Oster e Richard B. Allen, registrare alcuni dischi con alcune importanti etichette che gli aprono anche la strada per potersi esibire in locali più importanti. Negli anni Sessanta dopo il matrimonio con Doretha si stabilisce a St. Rose, sempre in Louisiana. Nell'aprile del 1970 partecipa per la prima volta al New Orleans Jazz & Heritage, una manifestazione che lo avrà come ospite fisso per cinque anni consecutivi. In quel periodo viene spesso in Europa, soprattutto a Londra dove in compagnia con il Professor Longhair anima una lunga serie di parties privati organizzati dal Ritz Hotel. Ormai considerato un grande del blues più facile e ballabile continuerà da protagonista anche negli anni successivi.


01 gennaio, 2019

2 gennaio 1945 – Armando Gill, il primo cantautore della canzone italiana


Il 2 gennaio 1945 muore nella sua Napoli Armando Gill, all’anagrafe Michele Testa Piccolomini, il primo cantautore della canzone italiana. La sua età resta avvolta nel mistero. Alcune biografie dicono sia nato a Napoli il 23 luglio 1877, altre il 21 gennaio 1878. Rampollo di una famiglia molto in vista frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ma passa gran parte del tempo a suonare e cantare nei vari locali del capoluogo partenopeo. Per sfuggire alle ire del padre sceglie di esibirsi con il nome d’arte di Armando Gill. Nel 1898 pubblica musica e testo della sua prima canzone Fenesta 'nchiusa cui segue 'O surdato. In quel periodo la popolarità dei suoi brani non supera i confini della città di Napoli, ma il ragazzo non se ne cura. Quello che più gli interessa è poter continuare a suonare e cantare. I quattro soldi che gli arrivano dagli editori gli bastano per vivere senza dover presentarsi davanti a papà Pasquale con il capo cosparso di cenere. Progressivamente il suo lavoro riscuote consensi sempre più ampi e nel 1910 arriva il primo successo su scala nazionale con Bel soldatin. La sua popolarità è destinata ad allargarsi a dismisura nel 1918 quando compone e interpreta Come pioveva, una canzone destinata a restare nella storia della musica leggera italiana come uno dei più grandi successi di tutti i tempi. Viaggia per l’Europa acclamato ovunque fino a quando, nel 1933, un impresario statunitense gli offre l’occasione della vita. È disposto a coprirlo d’oro se accetta di varcare l’oceano e trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti. Armando Gill tentenna, prende tempo, fa sapere che non è sua intenzione fare scelte così radicali. Gli americani rilanciano: l’offerta resta valida anche se il cantautore non se la sente di trasferirsi definitivamente negli States. L’ultima proposta prevede una serie di concerti nelle maggiori città statunitensi con la possibilità di revocare unilateralmente e senza alcuna motivazione il contratto. In realtà dietro al quella che sembra un’indecisione costruita ad arte per alzare il prezzo c’è il terrore di Gill per il mare. Lo spaventa la sola idea di mettere piede su una nave. Alla fine rinuncia e resta nella sua Napoli. Dieci anni dopo, stanco dell’ambiente, decide di ritirarsi a vita privata.

1° gennaio 1966 - "Sound of silence" al vertice grazie a Tom Wilson


Il 1° gennaio 1966 The sound of silence di Simon & Garfunkel arriva al vertice della classifica dei singoli più venduti negli Stati Uniti. Con due anni di ritardo rispetto alla prima registrazione uno degli inni dei giovani impegnati nel movimento dei diritti civili riceve anche la consacrazione del mercato. La sua prima comparsa è del 1964, quando Simon & Garfunkel la inseriscono nell'album interamente acustico Wednesday morning 3 AM. In quel momento non suscita particolare interesse un po' perché penalizzata dalla scarsa originalità complessiva del disco ma, soprattutto, perché l'attenzione del pubblico più attento ai contenuti si sposta su un altro brano, He was my brother dedicato a un ragazzo morto durante una manifestazione per i diritti civili nel Mississippi. La seconda versione di The sound of silence è quella di un album solista pubblicato a Parigi da Paul Simon nel 1965. La terza e definitiva versione è quella che arriva al vertice della classifica. Cosa è cambiato? Molto. Ci ha messo le mani Tom Wilson, uno dei collaboratori di Dylan nella sua "svolta elettrica", che ha aggiunto alla versione acustica del brano una base grintosa con basso, chitarra elettrica e batteria. In più è stato adottato dai giovani del movimento per i diritti civili e dalle radio universitarie che lo ritrasmettono fino alla nausea. In poche settimane diventa il disco più acquistato degli Stati Uniti. Sull'onda del successo Simon & Garfunkel saranno per cinque anni la "coppia d'oro" della musica statunitense pubblicando brani indimenticabili e vendendo più di venti milioni di dischi.

13 dicembre, 2018

14 dicembre 1981 – Claudio Villa e Luciano Tajoli finalmente insieme


Il 14 dicembre 1981 in Versilia al teatro tenda Bussoladomani si svolge un concerto intitolato “Finalmente insieme” che unisce sullo stesso palco i due interpreti più rappresentativi della tradizione melodica italiana: gli amici-nemici Claudio Villa e Luciano Tajoli. L’idea è di Bernardini, il padre padrone della Bussola, è stata accolta con entusiasmo dai due protagonisti e il concerto arriva dopo quelli di Julio Iglesias, Miguel Bosè e Claudio Baglioni. Nonostante una serata da tregenda, fredda, con una pioggia torrenziale e un vento di libeccio che piega gli alberi, sono più di quattromila gli spettatori che accorrono in Versilia per l'evento. Villa e Tajoli non deludono il pubblico. Regalano tre ore e mezza di canzoni esibendosi in una sorta di botta e risposta musicale accompagnato da un’orchestra vera. Le voci dei due campioni della melodia si inseguono sugli arrangiamenti elaborati dal maestro Maraviglia, che si è sbizzarrito a dare respiro alle trombe e ai sax, chiamando spesso in primo piano anche la sezione ritmica. Le prime due ore di concerto seguono una scaletta precisa poi, per oltre un'ora, c'è spazio per canzoni a richiesta, senza limitazioni e senza esclusioni di sorta. A notte fonda, quando ancora sul tendone di Bussoladomani infuria la bufera e il pubblico preme davanti ai camerini per salutare gli artisti Claudio Villa non perde l'occasione per criticare il music business italiano «Da più di vent’anni considerano Luciano impresentabile perchè zoppo. Da dieci anni non mi vogliono perché son vecchio, eppure... eccoci qua alla faccia di chi ci vuole morti e seppelliti!».

24 novembre, 2018

25 novembre 1921 - Matthew Gee jr, un trombone sofisticato


Il 25 novembre 1921 nasce a Houston, nel Texas Matthew Gee jr. considerato uno dei principali trombonisti di stile be bop del dopoguerra. Influenzato soprattutto agli inizi da Trummy Young, preferisce poi prendere la strada indicata da J. J. Johnson adottando uno stile molto sofisticato che gli consente di trasferire su uno strumento massiccio come il trombone le melodie complicate e sottili proprie del be bop. Gee questa sua caratteristica la conserva sia quando suona in piccoli gruppi sia quando si trova in formazioni più grosse. Da giovane affina la sua preparazione musicale all'Alabama State Teachers' College e quindi comincia a suonare professionalmente con musicisti come Joe Morris, Gene Ammons, Dizzy Gillespie e Count Basie. Nel 1952 collabora con il sassofonista Illinois Jacquet con cui compie una tournée in Europa nel 1954. Da allora continua a suonare sempre su buoni livelli. Nel dicembre del 1959 fa parte della formazione orchestrale di Duke Ellington che incide gli undici pezzi contenuti nell’album Blues in Orbit nel quale suona anche il flicorno in Swingers Get.