La prima edizione del Giro d’Italia prende il via da Milano quando la maggioranza degli abitanti della città sono immersi in un sonno profondo. Sono, infatti le 2 e 53 del mattino quando la carovana infreddolita dei corridori si mette in moto. E’ il 13 maggio 1909 e nessuno, probabilmente, si rende conto di essere protagonista di un fatto storico, che resterà per sempre nella memoria dello sport italiano e internazionale. Quella che è destinata a diventare la principale corsa a tappe italiana è stata inventata dai responsabili della “Gazzetta dello Sport”, gli stessi che oggi sarebbero a capo di un Ufficio Promozione e Pubbliche relazioni, come un’iniziativa efficace per avvicinare qualche lettore in più al giornale. La corsa a tappe si svolge nell’Italia di inizio secolo, quella stessa Italia che sta imparando ad andare in bicicletta per lavoro e per svago. La bicicletta è il mezzo che regala autonomia, possibilità di muoversi senza dipendere da nessuno e senza dover possedere un cavallo. Nascono così le prime scampagnate e i giovani sono i primi ad accorgersi delle potenzialità del nuovo mezzo. Non c’è un grande interesse per il Giro d’Italia e per le gare ciclistiche in generale. Quello del ciclismo è un mondo fatto di scommesse e che suscita ancora diffidenza. Al “Verziere”, a Milano, i ciclisti si rincorrono ancora su un anello improvvisato a beneficio più degli scommettitori che dei tifosi. E anche quello che gareggia per le strade del Paese è un ciclismo che passa quasi inosservato. Se non ci fossero le cronache della “Gazzetta dello Sport” nessuno ne saprebbe niente. Oggi si parla di ciclismo eroico: i giri sono vere e proprie gare di sopravvivenza, le tappe sono sfibranti, da notte a notte, i ciclisti sono abbandonati su strade in gran parte non asfaltate e senza segnaletica. Sono campioni, ma campioni di fatica nei quali ancora non s’identifica del tutto l’Italia contadina, ricca di braccianti, muratori, spazzacamini. Non sanno ancora che il loro nome, scritto nell’albo d’oro del Giro, alcuni decenni dopo, verrà accomunato a quello di atleti miliardari e oculati gestori di se stessi. Ma, soprattutto, loro, per i quali una tappa può durare anche diciotto - venti ore, non sanno che, alla vigilia del duemila, verranno chiamati “tapponi” delle corse di durata non superiore alle sette ore. Per la cronaca, il primo Giro d’Italia lo vince Luigi Ganna, un grande atleta destinato a entrare nella leggenda del ciclismo. Ma lui ancora non lo sa.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
12 maggio, 2019
06 maggio, 2019
7 maggio 1925 – Sergio Bernardini, il partigiano fondatore della Bussola
Il 7 maggio 1925 nasce a Parigi da una famiglia toscana emigrata in Francia per motivi di lavoro Sergio Bernardini il futuro fondatore della Bussola di Focette, uno dei locali simbolo degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Quando i suoi genitori tornano in Italia per gestire una trattoria a Torino, lui si lega agli ambienti dell’antifascismo piemontese e nel 1944 entra a far parte della Resistenza a Cuneo. Dopo la Liberazione, nel 1947 attraversa a piedi l’Appennino, arriva in Versilia e si stabilisce a Viareggio dove si specializza nella gestione di vari locali da ballo e night: la Capannina, il Gatto Nero, L’Eden e il Caprice. Il primo gruppo scritturato per la Capannina è la Hot Jazz Band, un trio che schiera al pianoforte il futuro giornalista Piero Angela. Nel 1955 rileva la Bussola di Focette, destinata a diventare sotto la sua direzione uno dei locali più importanti d’Italia. Bernardini è stato uno dei personaggi più importanti della storia della musica leggera del dopoguerra. Manager attento e di grande fiuto è riuscito ad assumere nella canzone un ruolo che in molti ritengono sia equivalente a quello svolto da Remigio Paone o Garinei & Giovannini per il teatro. Muore a Baldichieri il 2 ottobre 1993.
05 maggio, 2019
6 maggio 1898 – Il feroce monarchico Bava
«Alle grida strazianti e dolenti/di una folla che pan domandava/il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò…» È il 6 maggio 1898, un venerdì, e nelle strade del capoluogo lombardo scendono migliaia di manifestanti. Si dice siano almeno quarantamila. Contro di loro vengono schierati ventimila soldati in assetto di guerra, sotto il comando di Fiorenzo Bava Beccaris, nominato regio commissario con pieni poteri. I primi morti restano sul terreno nel pomeriggio quando i soldati sparano contro gli operai che assediano la caserma del Trotter. Il giorno dopo, 7 maggio, di fronte alla proclamazione dello sciopero generale Bava Beccaris dichiara lo stato d’assedio e scatena le truppe. I militari avanzano sparando e la popolazione risponde lanciando tegole e mattoni dalle finestre e dai tetti. I tram vengono fatti deragliare per ostacolare le cariche della cavalleria e dei bersaglieri. Si erigono barricate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi mentre la cavalleria imperversa sui Bastioni con le sciabole sguainate. Viene anche dato l'ordine di sparare alle postazioni di cannoni attestate a Porta Genova, a S. Eustorgio e al Castello. I manifestanti resistono come possono ancora per due giorni. La battaglia si conclude lunedì 9 quando i bersaglieri espugnano l'ultima barricata alla Foppa. Mentre Bava Beccaris, in Prefettura, sta telegrafando a Roma la notizia della sua "vittoria", i carri della Croce Rossa stanno ancora setacciando le strade e le piazze della città per raccogliere morti e feriti. A chi chiedeva pane si è risposto con il piombo. Pace è fatta. Un mese dopo Re Umberto concederà al Bava Beccaris la Croce di Grand’Ufficiale «per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Per lui non sarà l'ultimo atto della vicenda. Due anni dopo un anarchico, Gaetano Bresci, arriverà dagli Stati Uniti per vendicare con l'uccisione del re i morti di quel giorno. Bava Beccaris, invece, vivrà a lungo e morirà a novantatré anni nel 1924. La memoria della sua sanguinosa repressione sopravviverà anche grazie a un canto che ricorderà per sempre « De' non rider sabauda marmaglia/se il fucile à domato i ribelli/se i fratelli ànno ucciso i fratelli/sul tuo capo quel sangue cadrà».
5 maggio 1959 – Hal McIntyre, il sassofonista di Glenn Miller
Il 5 maggio 1959 muore in un incendio a Los Angeles, in California, il sassofonista e direttore d'orchestra Hal McIntyre. Harold, questo è il suo nome completo, ha compiuto da qualche mese quarantaquattro anni ed è nato Cromwell, una cittadina del Connecticut. Agli inizi della sua carriera si distingue per la straordinaria duttilità che gli consente di adattarsi alle più diverse situazioni ritmiche. Disciplinato, ma non privo di fantasia, riesce quasi naturalmente a integrarsi nelle strutture delle big band. Tra il 1935 e il 1936 cerca fortuna con una propria orchestra finché non viene notato dal trombonista, compositore e direttore d'orchestra Glenn Miller: «Quel ragazzo sembra nato per stare in un orchestra». Dall'apprezzamento alla scrittura il passo è breve. Giusto il tempo di chiudere il rapporto con la propria formazione e McIntyre si ritrova aggregato a una delle più popolari orchestre del mondo. Miller intuisce che le sue qualità non sono soltanto musicali. Tanto nella sua prima orchestra che nella seconda gli affida il ruolo di organizzatore musicale, oltre che di strumentista. Il suo apporto alla sezione delle ance si rivela essenziale nella costruzione di quelle sonorità che sono destinate a rendere immortale il lavoro di Glenn Miller. Nel 1941 con la big band di Miller prende anche parte al film "Serenata a Vallechiara". Il rapporto con il grande trombonista e direttore d'orchestra si chiude nello stesso anno quando McIntyre si mette in proprio dando vita a una formazione che porta il suo nome. La sua orchestra gode di una notevole popolarità e di un buon successo fino alla fine degli anni Quaranta, come molte altre, viene travolta dal declino dell'era delle big band. Chiusa l'esperienza non lascia le scene, né si vergogna di essere considerato ormai da tutti "il sassofonista che suonò con Glenn Miller". Con formazioni più ridotte delle grandi orchestre che gli hanno dato la fama, continua a dirigere e suonare fino alla morte.
04 maggio, 2019
4 maggio 1979 – Tourists, una band di passaggio
Il 4 maggio 1979, tra l'indifferenza generale viene pubblicato in Gran Bretagna il singolo Blind among the flowers. Ne sono interpreti i Tourists, una band formata due anni prima, con il nome di Catch, dal chitarrista Dave Stewart, proveniente dai Longdancer, dalla cantante e flautista Annie Lennox e dall'altro chitarrista Pete Coombes. Il nome è stato cambiato su suggerimento dei produttori discografici e anche la formazione si è irrobustita. Proprio durante la registrazione del disco la formazione si è ampliata con l'arrivo del batterista Jim Toomey e del bassista malese Eddie Chin. Di loro si dice un gran bene, anche se i risultati non sono all'altezza delle premesse. Nonostante il discreto successo degli album Tourists, Reality effect e Luminous basement, soltanto il singolo I only want to be with you ottiene un buon risultato commerciale. Siccome in campo discografico la differenza tra "una promessa" e "un'occasione mancata" è sottilissima, un anno dopo Blind among the flowers la critica comincia a storcere il naso. La band finisce per essere citata come esempio del fatto che non sempre «ottime individualità fanno un ottimo gruppo». Nonostante tutto, però, l'esperienza è destinata a restare nella storia musicale degli anni Ottanta come una tappa di passaggio per la nascita degli Eurythmics, una delle più ricche esperienze di quel periodo. Quando alla fine del 1980, insoddisfatti dei risultati, i Tourists decideranno di chiudere definitivamente l'esperienza del gruppo, infatti, Annie Lennox e Dave Stewart si chiuderanno negli studi di Conny Plank a Colonia insieme a Robert Gorl e Gabi dei Daf e Holger Czukay e Jackie Liebezeit dei Can. Proprio in queste sedute di registrazione in terra tedesca nascerà l'avventura degli Eurythmics. Quasi a confermare la caratteristica dei Tourists come band di passaggio, Pete Coombes ed Eddie Chin daranno vita, con minor successo di Annie e Dave, ma con interessanti risultati, agli Acid Drop.
02 maggio, 2019
3 maggio 1919 – Pete Seeger, un comunista made in USA
Il 3 maggio 1919 nasce a New York Pete Seeger, uno dei più grandi personaggi del folk statunitense. Dalla famiglia assorbe la passione per la musica popolare. Il padre, infatti, è l'etnomusicologo Charles Seeger, collaboratore del giornale comunista "Daily Worker" nonché attivista dell'associazione Composer Collectives For The Promotion Of American Music. Nel 1936 si iscrive alla facoltà di sociologia ad Harvard, ma due anni dopo lascia l'università per lavorare con Alan Lomax negli archivi della Biblioteca del Congresso a Washington, alla ricerca di canzoni popolari. Nel 1941 torna a New York dove forma gli Almanac Singers con Woody Guthrie, Lee Hays e Millard Lampbell. Nel 1948 con Hays, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman dà vita agli Weavers con i quali pubblica anche Goodnight Irene, un brano che resta al primo posto della classifica per tredici settimane vendendo oltre due milioni di dischi. Quando l'attività degli Weavers viene interrotta dalla caccia alle streghe scatenata dal senatore McCarthy contro gli oppositori di sinistra nel 1952, Pete, condannato più volte dal Comitato contro le Attività Antiamericane, continua ad esibirsi da solo nei campus universitari, nelle fabbriche e nei circoli sindacali. Negli anni Sessanta si impegna attivamente nel movimento pacifista aiutando giovani artisti come Arlo Guthrie, figlio del suo vecchio amico Woody, e Joan Baez. Ribelle e poco disposto ad accettare le regole verrà "adottato" dai giovani protagonisti della rinascita del folk e del folk rock. Sono loro che, per aiutarlo a sopravvivere, incideranno i suoi brani. Alcuni di questi finiranno ai primi posti delle classifiche di vendita come, per esempio, If I had hammer, interpretato da Peter Paul & Mary, Where have all the flowers gone? nelle versioni dei Kingston Trio e di Joan Baez e Turn, turn, turn portata al successo dai Byrds. Nel corso della sua carriera registrerà centinaia di canzoni, pubblicate in oltre cinquanta album.
2 maggio 1950 – Edith Piaf registra “Hymne à l’amour”
«Andrei ai confini del mondo/mi lascerei tingere i capelli di biondo/se tu me lo domandassi/andrei a staccare la luna/andrei a rubare la fortuna/se tu me lo domandassi/Rinnegherei la mia patria/rinnegherei i miei amici/se tu me lo domandassi/ridano pure di me/io farei qualunque cosa se tu me lo domandassi …» con queste parole il 2 maggio 1950 Edith Piaf consegna per sempre a un disco il suo disperato amore per il pugile Marcel Cerdan, l’uomo che come lei è venuto dalla strada e s’è fatto largo a suon di pugni. Edith lo ama alla follia e quando l’aereo su cui sta volando verso di lei si schianta su una montagna delle Azzorre il mondo le crolla addosso. Non vuole cantare più, non vuole vivere più, dice a tutti che non sopravviverà al dolore. Nessuno riesce a scalfire il muro che ha eretto attorno a sé, chiuso e impenetrabile a tutti tranne a una persona. È Marguerite Monnot, la donna, la compositrice e l’amica che l’accompagna da sempre e di cui si fida, a convincerla a riprendere il cammino sulla strada della vita. La prende per mano con pazienza l’aiuta a riprendere il filo della vita che si era interrotta. Edith la segue ma le chiede di aiutarla a erigere un monumento musicale all’amato Marcel. In quei giorni infatti nasce L’hymne à l’amour, la canzone che fa uscire la cantante dal guscio della disperazione. Il testo lo scrive Edith e la musica, larga e imponente come una sinfonia o una cerimonia religiosa è di Marguerite. A chi non ne conosce la storia il testo di L’hymne à l’amour appare infantile, lontanissimo dalla geniale creatività e dalla maturità sofferta di un’artista come Edith Piaf. È come se il dolore avesse scavato fino in fondo nella donna capace di dominare il mondo dall’alto delle sue canzoni e della sua personalità, tanto in fondo da far riemergere la bambina impaurita che era diventata cieca per non vedere più il mondo. Le canzoni, però, non si leggono. Si ascoltano. Il pubblico dell’Olympia, che l’ascolta per la prima volta all’inizio del 1950 piange e gioisce insieme a quella figurina nera che sul palco sembra rubare la voce alla tempesta. Non è solo una canzone quella che Edith Piaf fa vivere sul palcoscenico, ma è l’insieme dei sogni e dei dolori che l’hanno accompagnata. Il 2 maggio 1950 lo registra per la prima volta su disco. Anche nei solchi del tondo 78 giri dell’epoca la sua voce accompagna il sentimento, lo accarezza e si fa accarezzare, lo graffia e si fa graffiare fino a esserne travolta. Quando scrive e interpreta L’hymne à l’amour si comporta come ha sempre fatto nella sua vita. Se sente di dover fare una cosa la fa. La fa e basta senza porsi mai troppe domande perché ha imparato presto che nella vita le domande sono relativamente facili da porre ma non sempre si sopportano facilmente le risposte.
01 maggio, 2019
27 aprile, 2019
28 aprile 1963 – Quando gli Stones non avevano grinta
Il 28 aprile 1963 i neonati Rolling Stones si esibiscono al Crowdaddy Club di Richmond, un locale gestito da quel Giorgio Gomelsky che in futuro diventerà il manager degli Yardbirds e dei Trinity di Brian Auger. Gli Stones hanno trovato da poco stabilità attorno all'ex cantante dei Blue Boys e dei Blues Incorporated di Alexis Korner, il non ancora ventenne Mick Jagger. Con lui ci sono due chitarristi: Brian Jones, anch'egli proveniente dalla band di Korner e Keith Richards, già suo compagno nei Blue Boys. La formazione è completata da un batterista non di primo pelo come Charlie Watts che ha sostituito nel ruolo l'inesperto Tony Chapman e il bassista Bill Wyman che stando ai pettegolezzi sarebbe stato scelto perché possiede un buon impianto di amplificazione. Da qualche tempo sono un l'attrazione fissa di un locale come il Crowdaddy Club frequentato da un gran numero di giovani. Pian Piano la loro popolarità arriva alle orecchie degli "addetti ai lavori" stimolando la curiosità di vari produttori o sedicenti tali. La sera del 28 aprile in sala ci sono anche Andrew Loog Oldham e il suo socio Eric Easton, due personaggi dotati di un discreto fiuto e di buone capacità manageriali. Ascoltano con attenzione gli Stones e, al termine della serata chiedono di poter parlare con i ragazzi. Quando Oldham si trova di fronte un timido Mick Jagger, non cerca giri di parole: «Siete bravini, ma non avete grinta. Tu Mick sembri impacciato e goffo. Lasciati andare, maledizione! Sbatti in faccia al pubblico tutto quello che hai, non avere paura di fargli male. La musica pop è sesso, solo sesso, e la devi sbattere in faccia al pubblico» Pur se l'inizio non è dei migliori la discussione con il gruppo procede poi su binari più tranquilli. I ragazzi non hanno nessuno che si occupi né dell'immagine né della produzione. «Se siete d'accordo potrei occuparmi io di voi. Mi piacerebbe diventare il vostro manager, a patto che accettiate le mie condizioni». Qualche giorno dopo Oldham diventa il manager dei Rolling Stones. La sua cura sarà drastica. Accentuerà i lati più aggressivi di Jagger e soci sia sul palco che fuori. Costringerà poi i media a occuparsi della band inventando sul loro conto notizie "fuori dalle righe" e qualche scandaletto. Il risultato andrà oltre le stesse previsioni dell'intelligente manager. In breve tempo, i poco grintosi Stones diventeranno uno dei simboli musicali della ribellione e, soprattutto, del gusto dell'eccesso e della provocazione per ben più di una generazione.
25 aprile, 2019
26 aprile 1942 – Bobby Rydell ragazzo rassicurante
Il 26 aprile 1942 nasce a Philadelphia, in Pennsylvania, Bobby Rydell, destinato a diventare, insieme a Frankie Avalon e Fabian, uno dei tre rassicuranti idoli adolescenziali che accompagnano il boom discografico statunitense degli anni Cinquanta. Registrato all'anagrafe con il nome di Robert Louis Ridarelli che tradisce l'origine italiana della sua famiglia, il ragazzo comincia presto a respirare il profumo magico del primo rock and roll. A quindici anni forma una band insieme a un altro italoamericano come lui, Frankie Avallone, il futuro Frankie Avalon. Anche il nome del gruppo, Rocko & His Saints, denuncia le radici italiane di gran parte dei suoi componenti. Probabilmente la loro storia sarebbe finita lì se il music business statunitense non avesse deciso di creare i primi teen-idol con un duplice scopo: accompagnare la crescita delle vendite del disco con un prodotto destinato a un pubblico giovanile e costruire personaggi legati al rock & roll ma privi della carica eversiva tipica degli esponenti di questo genere. Ben sostenuto dalle trasmissioni televisive di Dick Clark, Bobby si impone come un rassicurante prototipo dell'adolescente medio americano sessualmente e politicamente innocuo. Il primo successo discografico arriva nel 1959 con Kissin' time. Da quel momento la sua avventura sembra non avere fine. I dischi volano nelle prima posizioni della classifica e anche Hollywood lo vuole per la versione cinematografica del musical "Ciao ciao Birdie", con Janet Leigh e Ann Margret. Come gli altri idoli adolescenziali, però, anche Bobby viene travolto dall'esplosione del beat e finisce per ritrovarsi ancor giovane nel circuito del revival nostalgico nonostante il tentativo di correre ai ripari pubblicando una mielosa versione della beatlesiana World without love. Nel 1986 si torna per un po' a parlare di lui quando Iggy Pop registra una versione del suo vecchio cavallo di battaglia Wild one, ma è soltanto un fuoco di paglia.
24 aprile, 2019
25 aprile 1970 – Muore Otis Spann, il pianista di Muddy Waters
Il 25 aprile 1970 un cancro al fegato chiude a quarant’anni la vita e la carriera del pianista blues Otis Spann, uno dei più famosi componenti della band di Muddy Waters. Nato a Belzoni, nel Mississippi, discepolo di Big Maceo è l'ultimo, in ordine anagrafico, dei grandi pianisti blues della scuola di Chicago. Nonostante la sua breve carriera ha il merito di essere stato il primo pianista a porsi il problema di rinnovare la lezione del blues elettrico di Chicago disancorandolo dai modelli a dodici battute della tradizione del Mississippi. Fino a quando il pianoforte non gli consente di ottenere l'indispensabile per vivere fa anche l'imbianchino. La sua scelta professionale si orienta verso i tasti bianchi e neri nel 1953 quando, dopo aver suonato con Louis Myers, entra a far parte della band di Muddy Waters, con cui resta fino al 1968. Il sodalizio con il grande Muddy non è basato soltanto su uno straordinario affiatamento musicale, ma anche su una solidissima amicizia. Quando nel 1968 se ne va per continuare come solista Waters e la band, privati del suo apporto, entrano in un periodo di crisi creativa. Nel corso della breve sua carriera il suo pianoforte si distingue in molti dischi dei protagonisti del rinnovamento del blues e del rock, da Chuck Berry a Bo Diddley, a Howlin' Wolf, a Paul Butterfield e Mike Bloomfield, ai Fleetwood Mac, a Eric Clapton, a Jimmy Page e molti altri. Negli anni Sessanta inizia a cantare. La sua voce rauca e "affumicata" che canta sui tempi lenti, mentre il piano distilla le armonie del blues, ne alimentare la leggenda. La prima interpretazione vocale su disco è Goodbye Newport blues inserita nell'album Muddy Waters at Newport del 1960. Due anni dopo la sua morte, l'8 settembre 1972 i suoi amici bluesman dedicheranno alla sua memoria l'Ann Arbor Blues & Jazz Festival. Ci saranno tutti, a partire dal vecchio amico Muddy Waters per arrivare a Howlin' Wolf, Freddie King, Junior Walker e moltissimi altri.
23 aprile, 2019
23 aprile 1955 – Henry Busse, maestro della sordina
Il 23 aprile 1955, proprio alla vigilia del debutto del suo nuovo gruppo muore a Chicago il trombettista Henry Busse. Nato a Magdeburg, in Germania, il 19 maggio 1894 emigra negli Stati Uniti nel 1912 e fa le sue prime esperienze da professionista nell'orchestra di bordo di un transatlantico. Le sue doti di trombettista eclettico dal vibrato molto particolare, dalla sonorità morbida e da una notevole abilità nell'uso della sordina, vengono notate da Paul Whiteman che nel 1919 lo vuole con il suo gruppo come tromba solista. Con la band di Whiteman resta per molti anni contribuendo non poco al suo successo e lasciando segni importanti come il suo assolo in When day is done. Nel 1932 si trasferisce a Cincinnati per dare vita al progetto di formare un’orchestra di swing morbido piacevole da ascoltare e ballare. Passa poi allo Chez Paree di Chicago e per un decennio è tra i protagonisti della musica orchestrale da grandi ritrovi. Quando muore è ha appena formato un nuovo gruppo stabile per il Peabody Hotel di Chicago. Nel corso della sua lunga e fortunata carriera partecipa a vari film. Di lui restano numerose incisioni, tra le quali due notevoli versioni di Milenberg joys e Red hot Henry Brown con un gruppo hot formato da alcuni elementi della orchestra di Paul Whiteman. Tra le sue composizioni di maggior successo si ricordano Hot Lips e Wang Wang Blues.
22 aprile, 2019
21 aprile 1973 – Billion Dollar Babies
Il 21 aprile 1973 il trasgressivo Alice Cooper, bersagliato dagli strali della critica benpensante di tutto il mondo, arriva al vertice della classifica degli album più venduti negli Stati Uniti con il suo Billion dollar babies. Finalmente convinta dalle vendite del precedente School's out la Warner Bros ha accettato di non porre limiti alla genialità creativa dell'oltraggioso artista. L'album è confezionato in un cartone trattato da una copertura plastica che fa assomigliare a un grosso portafoglio in similpelle. All'interno c'è un gigantesco assegno da due bilioni di dollari, mentre una foto ritrae il cantante vestito con un ambiguo satin bianco che tiene in braccio un neonato truccato con il suo caratteristico make-up di scena. A differenza del passato, però, la creatività della rockstar non è frenata dalle esigenze di produzione. Gli aspetti più raccapriccianti della sua invenzione fantastica, ricchi di richiami sessuali e grandguignoleschi, questa volta non sono pura decorazione esteriore. Con una buona dose di sarcasmo Alice Cooper punta i suoi strali sul consumismo e le piccole manie che assillano la società opulenta nordamericana. Lo show dal vivo che accompagna il lancio del disco è, se possibile, ancora più provocatorio delle canzoni. Grottesche scenografie portano sul palco dei suoi concerti le paure, le ossessioni e i riti maniacali della quotidianità della middle class statunitense. È nel corso di questo tour che compare il numero della ghigliottina, con la testa di Alice Cooper che rotola insanguinata sul palco, destinato a restare come uno degli effetti limiti della storia dei grandi concerti dal vivo. Per la prima volta i suoi eccessi attraggono l'attenzione di intellettuali e artisti distanti dall'ambiente musicale. Il più entusiasta è il pittore Salvador Dalì che lo proclama "re della confusione totale" e dedica alla sua genialità una scultura agghiacciante che riproduce un cervello da cui fuoriesce una stecca di cioccolato.
20 aprile, 2019
20 aprile 1951 – La difficile ascesa di Luther Vandross
Il 20 aprile 1951 nasce a New York il cantante soul Luther Vandross. Figlio di una cantante gospel e di un interprete di standard italoamericani, respira fin da piccolo nell'ambiente famigliare la passione per la musica. È ancora studente quando forma il suo primo gruppo con Carlos Alomar e Robin Clark. Nonostante gli inizi precoci la carriera non è in discesa per Luther Vandross. Per sopravvivere si adatta al lavori più disparati e più d'una volta medita di lasciar perdere la musica. La prima svolta avviene quando il suo vecchio amico Carlos Alomar, impegnato come chitarrista nella registrazione dell'album Young americans di David Bowie, gli trova una scrittura come corista. Impressionato dalle sue qualità Bowie gli affida anche gli arrangiamenti vocali. Da cosa nasce cosa e Luther si ritrova corista nel tour di promozione dell'album. Nel 1975 il suo brano Everybody rejoice (A brand new day) viene inserito nella colonna sonora del film "The wiz". L'anno dopo forma i Luther con i quali pubblica un paio d'album accolti con freddezza dal pubblico. Lo scarso successo discografico finisce per frustrare ancora una volta i sogni di Vandross che, non trovando etichette disposte a scritturarlo, si adatta a registrare jingles per spot televisivi. Solo nel 1979 le cose iniziano a girare per il verso giusto. Dopo aver cantato nell'album Sounds... and stuff like that! di Quincy Jones e nei cori di Le freak degli Chic, e di We are family delle Sister Sledge, cura gli arrangiamenti vocali di No more tears (enough and enough) per l'inedito duo formato da Barbra Streisand e Donna Summer. Da quel momento la sua carriera di autore, produttore e arrangiatore decolla, ma nessuno sembra ancora disposto a prenderlo sul serio come cantante. Sarà la Epic a rompere l'isolamento pubblicando il suo primo album da solista Never too much. Quasi quarantenne verrà finalmente inserito nel ristretto elenco delle migliori voci nere degli anni Ottanta.
18 aprile, 2019
19 aprile 1928 – Alexis Corner, padre del London Blues
Il 19 aprile 1928 a Parigi, in Francia, nasce Alexis Korner considerato, insieme a Cyril Davies, l'artefice della diffusione del blues in Gran Bretagna e caposcuola di quel genere che ancora oggi viene chiamato London Blues. Di padre austriaco e di madre greco-turca, Korner ha lasciato la Francia con i genitori e si è trasferito oltremanica nel 1939 quando ha soltanto undici anni. Schivo e un po' brontolone, ama ironizzare su chi vede in lui il profeta del blues: «Se io sono il padre del blues britannico Cyril Davies è la madre. Non so se lui sarà contento di questa distribuzione dei ruoli…» In realtà la sua opera di divulgazione si rivelerà fondamentale in tutta l'evoluzione musicale degli anni Sessanta. La musica britannica deve a lui e a Davies la conoscenza e lo studio dell'opera di grandi artisti come Big Bill Broonzy, Muddy Waters, John Lee Hooker, Brownie McGhee, Sonny Terry, Memphis Slim e Otis Spann. Nel 1955 i due suonano al Roundhouse, un Club del West End londinese che verrà considerato il tempio del London Blues. Nel 1961 formano la Blues Incorporated, un gruppo destinato a tenere a balia gran parte dei protagonisti della grande stagione del rock britannico. Nella sua formazione passeranno, tra gli altri, Mick Jagger, Art Wood, Charlie Watts, Long John Baldry, Jack Bruce, Ginger Baker, Ron Jones, Graham Bond, Keith Richards, Eric Burdon, Paul Jones, Lee Jackson, Danny Thompson, Hughie Flint, John McLaughlin, Terry Cox, John Surman, Dick Heckstall-Smith, Dave Holland e Mike Westbrook. Il sodalizio di Alexis Korner con Davies finisce nel 1962 dopo una banale lite sull'utilità o meno di introdurre una sezione fiati nella line-up del gruppo. Cyril se ne va per formare la Cyril Davies Blues Band, mentre Korner prosegue per la sua strada. Nel 1967 dà vita ai Free At Last con Marsha Hunt, Hughie Flint, Victor Brox (poi sostituito dal futuro Led Zeppelin Robert Plant), Gerry Conway, Binky McKenzie e Cliff Barton. Due anni dopo è sul palco di Hyde Park con il chitarrista danese Peter Thorup, per dare il suo contributo al concerto dei Rolling Stones in memoria di Brian Jones. Sempre nel 1969 forma i New Church, una band destinata a durare lo spazio di un respiro, cui segue l'esperienza della big band dei CCS (Collective Consciousness Society) e degli Snape. Una lunga serie di album da solista precederà la sua morte per tumore, che avviene nel 1984 in una distratta Parigi, la città che gli aveva dato i natali.
17 aprile, 2019
18 aprile 1973 - Willie Smith, il leone
Il 18 aprile 1973 muore a New York il settantacinquenne pianista e compositore Willie "The Lion" Smith uno dei primi e più autorevoli esponenti dello stride jazz. La sua tecnica ha influenzato un gran numero di pianisti, primo fra tutti Duke Ellington che, non a caso, gli ha dedicato una sua splendida composizione intitolata Portrait of The Lion. Registrato all’anagrafe con il nome di William Henry Joseph Bonaparte Bertholoff, a quattro anni resta orfano di padre e la madre trova un nuovo compagno in un certo signor Smith che aggiunge ai suoi lunghissimi dati anagrafici un nome in più. Proprio la madre, pianista, è la sua prima maestra di musica. Da lei impara le tecniche di base sufficienti a diventare organista nella chiesa del quartiere newyorkese dove vivono. Dotato di un talento naturale per la tastiera scopre ben presto di poterlo sfruttare adeguatamente. A quindici anni inizia a ottenere i primi ingaggi come pianista prima a New York, poi ad Atlantic City e a Newark. In pochi anni diventa una delle attrazioni fisse di locali come il Leroy's, lo Small's e il Garden Of Joy conquistandosi rapidamente una buona reputazione e una notevole popolarità. Nel 1920 entra a far parte dei Jazz Hounds, la band di Mamie Smith, con i quali partecipa alla storica registrazione di Crazy blues. Dopo aver lavorato per qualche anno in varie riviste musicali e spettacoli di vaudeville, dà vita a una propria band con la quale suona al Capitol Palace, al Rhythm Club e in altri celebri cabaret di New York. Chiusa l'esperienza in gruppo tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta si esibisce come solista prima di essere ingaggiato per partecipare a varie sedute di registrazione di Clarence Williams. Durante gli anni Trenta si esibisce spesso con un gruppo che porta il suo nome e di cui fanno parte strumentisti di prim'ordine come Ed Allen, Cecil Scott, Buster Bailey, Frank Newton, Pete Brown e John Kirby. Con stessa compagnia registra vari dischi per la Decca. Nel 1939 accetta una proposta dell'etichetta Commodore e realizza da solo al pianoforte una sorta di antologia personale di tutti i brani che l'hanno reso famoso da Echoes of spring a Passionette. La sua carriera non conosce soste né cali di tensione. Attivissimo alla testa di proprie band e instancabile anche nell'attività di solista lascia il segno in varie edizioni del festival di Newport sia negli anni Cinquanta che negli anni Sessanta.
17 aprile 1974 – Un'overdose toglie Vinnie Taylor agli Sha Na Na
Il 17 aprile 1974 il chitarrista Vinnie Taylor degli Sha Na Na, all’anagrafe Chris Donald, muore per overdose a venticinque anni nell’Holiday Inn di Charlottesville in Virginia. Taylor non è uno dei membri fondatori della band nata nel 1969 dall'ex sassofonista dei Danny and The Juniors Lenny Baker e divenuta famosa in tutto il mondo per la sua entusiasmante partecipazione al Festival di Woodstock. La morte di Taylor arriva in un periodo difficile per il gruppo. Sempre nel 1974, infatti, anche i due tastieristi Screamin' Scott Symon e John Bauman vengono messi fuori combattimento. Il primo per un esaurimento nervoso e il secondo da un collasso. La band sembra arrivata al capolinea, ma non è così. Dopo un periodo piuttosto anonimo gli Sha Na Na torneranno al successo nel 1978 partecipando al film "Grease" con John Travolta e Olivia Newton-John.
15 aprile, 2019
16 aprile 1972 – La prima volta dell’Electric Light Orchestra
Il 16 aprile 1972 l’Electric Light Orchestra suona per la prima volta in concerto al Fox & Greyhound Pub di Croydon. Il pubblico può finalmente vedere dal vivo la band nata l’anno prima da una costola dei Move. La storia dell’Electric Light Orchestra, infatti, inizia nel 1971 quando Roy Wood, leader dei Move, idoli del pop inglese, mette in pratica l'idea di un gruppo che mescoli componenti classiche in una struttura sonora d'atmosfera sinfonico-progressiva filtrando il tutto con il rock. Con lui ci sono il batterista Ben Bevan e il chitarrista Jeff Lynne. Dopo la buona accoglienza riservata dal pubblico a Electric Light Orchestra, il primo album molto sperimentale da cui viene anche estratto il singolo 10538 Ouverture, il 16 aprile si mostrano in pubblico. È l’inizio di una storia lunga e tormentata. Pochi mesi dopo Roy Wood e Jeff Lynne litigano sulle prospettive e Wood se ne va dando vita ai Wizzard. Lynne e Bevan, invece, continuano e trasformano la ELO in una sorta di orchestra rock con elementi classici, aggregando al gruppo il violinista Wilf Gibson, il bassista Michael d'Albuquerque, il tastierista Richard Tandy e i violoncellisti Mike Edwards e Colin Walker. È solo la prima scossa di un gruppo che alterneràmomenti di grande successo a profonde liti e ricomposizioni nell’organico.
14 aprile, 2019
15 aprile 1967 – Totò ci lascia
Colto da un malore sul set del film "Capriccio all’italiana" Totò muore nella sua casa di Roma il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino per una devastante serie di attacchi cardiaci. Alle 11,20 del 17 Aprile 1967 la salma è trasportata nella chiesa di Sant'Eugenio in Viale delle Belle Arti. Sulla bara ci sono la sua bombetta e un garofano rosso. La cerimonia ufficiale è limitata ad una semplice benedizione perché le autorità religiose non possono accettare la suo convivenza con la Faldini senza matrimonio. Nel pomeriggio la salma arriva a Napoli accolta, già all'uscita dell'autostrada e alla Basilica del Carmine, da una folla enorme. Totò viene sepolto nella cappella De Curtis al Pianto, il cimitero di Capodichino sulle alture di Napoli. Finisce qui la storia di uno dei più importanti personaggi dello spettacolo italiano. Totò nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità, a Napoli, al n. 109 di via Santa Maria Antesaecula. Figlio di Anna Clemente, viene registrato con il nome di Antonio Clemente perché il padre naturale, Giuseppe De Curtis, figlio di un marchese e costretto a dipendere dalle finanze del genitore perché senza lavoro, non può riconoscerlo pena la perdita del sostegno finanziario indispensabile a sopravvivere. Totò cresce tra i vicoli di Napoli, e per i compagni delle avventure d’infanzia il suo nome è già quello che poi diverrà quello artistico. Finite le elementari se ne va in collegio dove un insegnante boxando per scherzo con lui gli rompe il setto nasale definendo inconsapevolmente quella che sarà una linea caratteristica della sua maschera comica. Quando sale sul palcoscenico porta ancora i calzoni corti. A quindici anni debutta in uno dei piccoli teatri di Napoli. Con il nome d’arte di Clerment, derivato dalla storpiatura del suo cognome. Dopo l’interruzione dovuta alla Prima Guerra Mondiale, cui partecipa come fante, torna al teatro e nel 1928 finalmente può fregiarsi del cognome del padre diventando Antonio De Curtis visto che il suo genitore è diventato agente teatrale e si è reso economicamente indipendente dalla famiglia. Trasferitosi con la famiglia a Roma diventa uno dei protagonisti del teatro di varietà allargando pian piano a tutta Italia la popolarità del suo personaggio: una marionetta disarticolata, con la bombetta, il tight fuori misura, le scarpe basse e le calze colorate. Alle soddisfazioni della vita artistica fanno da contraltare le tragedie sentimentali come il suicidio per amore suo di Liliana Castagnola, una famosa cantante di café-chantant che si uccide nella notte del 3 dicembre del 1931 ingerendo barbiturici dopo una lite. Il drammatico episodio segnerà per sempre la vita di Totò che, oltre a far seppellire Liliana nella tomba di famiglia dei De Curtis imporrà il suo nome anche alla figlia avuta nel 1933 da Diana Bandini Lucchesi Rogliani. Nello stesso anno Antonio De Curtis viene adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, che gli concede il suo nome, in cambio di un vitalizio. In quel periodo forma anche una propria compagnia attraversando da dominatore gli anni d'oro dell'avanspettacolo. Anche il cinema si accorge di lui e nel 1937 lo chiama a interpretare "Fermo con le mani!", il suo primo film cui segue due anni dopo "Animali pazzi". Non ottengono un grande successo, ma segnano l’inizio di una carriera destinata a dargli nuove soddisfazioni a partire dal 1947 con "I due orfanelli". La carriera cinematografica segna tutta la seconda parte della sua vita d’attore, che lo porterà ad essere protagonista di centodue film, trascurando definitivamente il teatro. Anche dal punto di vista sentimentale si apre una nuova epoca, segnata dalla felicità e dall’amore per la giovanissima Franca Faldini, che non sposerà mai ma l’accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. La vita di Totò si chiude sul lavoro.
14 aprile 1934 – La piccola Loretta del Kentucky
La famiglia Webb non ha il tempo né la voglia di festeggiare quando, il 14 aprile 1934, viene al mondo la piccola Loretta. A Butcher Holler, nel Kentucky, la crisi morde forte e lavoro non ce n'è per nessuno. Chi può immaginare che la mocciosa che si aggira tra le case sporca e con i capelli arruffati diventerà uno dei più grandi personaggi del country statunitense con il nome d'arte di Loretta Lynn? La bambina impara a suonare la chitarra dai vagabondi di strada e si diverte a strimpellare per gli amici. La vita, però, sembra non avere tempo per i suoi sogni. Le affibbiano un marito quando non ha ancora compiuto quattordici anni e prima ancora di aver capito bene cosa le sia successo si ritrova madre di quattro figli. Le resta la consolazione della chitarra e delle canzoni che pian piano diventano quasi un lavoro. Si offre ai locali in cambio di qualche soldo e di un pasto per sé e per i figli, conosce vari musicisti e forma anche una band, i Trailblazers, mentre la sua popolarità cresce. Alla fine degli anni Cinquanta arriva anche il primo contratto discografico e, inaspettato, nel 1960 il primo grande successo con Honky tonk girl. I tempi duri sono ormai lontani. I suoi dischi scalano regolarmente le classifiche e i soldi non sono più un problema. Nel 1972 è la prima donna della storia a potersi fregiare del titolo di "artista country dell'anno", un evento in un mondo di uomini rudi e col cappello da cow boy. Nel 1975 la sua canzone The pill viene censurata ed esclusa dalla programmazione radiofonica e televisiva ma lei non si scompone, preferisce togliersi la soddisfazione di far vincere per quattro volte il titolo di "duo country dell'anno" ai suoi duetti con Conway Twitty. La mocciosa arruffata e sporca è diventata un'artista celebrata e miliardaria che investe i suoi guadagni in una catena di negozi tipici e in una società di edizioni musicali e di spettacoli. Il pubblico la ama e glielo fa capire anche quando la sua autobiografia "Coal miner's daughter" diventa uno dei libri più venduti. Analoga accoglienza riceve il film omonimo (in Italia "La ragazza di Nashville"), interpretato da una Sissy Spacek in stato di grazia che vincerà anche l'Oscar. Negli anni Ottanta la sua stella sembra offuscarsi di fronte alle fluorescenti star di quel decennio, ma lei non se ne cura. Pubblica qualche disco e vive un po' appartata, ma non è al capolinea. Nel 1993 farà di nuovo gridare al miracolo con Honky tonk angels un album realizzato insieme a Dolly Parton e Tammy Wynette.
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