27 maggio, 2019

27 maggio 1940 – Inizia la storia del Quartetto Cetra


Il 27 maggio del 1940 il gruppo vocale Egie debutta al teatro Valle di Roma con “Caccia al passante”, uno spettacolo ideato e scritto dal Agenore Incrocci, che si firma con lo pseudonimo di Age e che è destinato a diventare uno dei grandi autori. Il nome del gruppo è la sigla ottenuta assemblando le iniziali dei nomi dei componenti: Enrico Gentile, Giovanni Giacobetti detto ‘Tata’, Iacopo Jacomelli e Enrico De Angelis. sulla falsariga dei gruppi vocali americani d’ispirazione jazzistica. Dopo la sostituzione di Jacomelli con Virgilio Savona cambiano nome in Quartetto Ritmo, per diventare poi Quartetto Cetra con l’arrivo di Felice Chiusano al posto di Gentile. L’esordio ai microfoni della radio avviene l’8 ottobre del 1941, quando, accompagnati dall’Orchestra Zeme, cantano Il Visconte di Castelfombrone. Nello stesso periodo, però, anche Enrico Gentile, il solista, è costretto a lasciare i compagni per adempiere agli obblighi militari e al suo posto arriva un giovane di Fondi in provincia di Latina, Felice Chiusano. Nel 1945 registrano un brano, Pietro Vughi il ciabattino, destinato a restare nella storia della canzone come il primo boogie woogie italiano. Nel mese di ottobre del 1947 in occasione di un concerto al Teatro delle Arti di Roma, la bolognese Lucia Mannucci sostituisce De Angelis, richiamato sotto le armi. Due anni dopo ottengono un grande successo con il brano Nella vecchia fattoria, una divertente rielaborazione di una vecchia filastrocca irlandese. Nel mese di settembre del 1951 vincono il prestigioso premio “Passerella d’oro” per la loro partecipazione alla rivista “Gran baldoria” di Garinei e Giovannini.. Nel 1954 partecipano al Festival di Sanremo con ben sei canzoni, tra cui la popolarissima Aveva un bavero. L’anno dopo vincono il primo Festival Internazionale della Canzone di Venezia, accoppiati a un duo composto da Carla Boni e Gino Latilla, con il brano Vecchia Europa. L’elenco dei riconoscimenti ottenuti nella loro carriera è lunghissimo e va dalla Maschera d’oro e dal Microfono d’Argento del 1956, al Telegatto del 1982. I quattro componenti del gruppo vengono insigniti dei titoli di Cavalieri del lavoro nel 1985 e di Commendatori della Repubblica nel 1988. Alla fine del 1988, dopo la morte di Tata Giacobetti si esibiscono ancora come I Cetra fino al 1990 quando la scomparsa di Felice Chiusano mette fine per sempre alla loro storia. Nel nutritissimo repertorio del gruppo ci sono canzoni come In un vecchio palco della Scala, Un bacio a mezzanotte, Vecchia America, Un romano a Copacabana, La vita è un paradiso di bugie, Musetto, Un disco dei Platters, Ricordate Marcellino, Un raggio di sole, Aprite le finestre, Mamma mia dammi cento lire, Donna, Bambino e Voglia di swing che, insieme a quelle già citate, sono tra le più rappresentative di quasi mezzo secolo di storia della canzone italiana.


26 maggio, 2019

26 maggio 1920 – Peggy Lee, la Norma Jean del North Dakota

Il 26 maggio 1920 nasce a Jamestown, nel North Dakota, Norma Jean Egstrom destinata a diventare, con il nome d'arte di Peggy Lee, una delle più popolari cantanti del periodo d'oro del rock and roll. Bionda e bianchissima, ancora adolescente si innamora della musica nera, in particolare del jazz. A diciassette anni debutta con l'orchestra di Will Osborne e successivamente canta con vari gruppi vocali che si esibiscono soprattutto nei locali della California. La svolta decisiva nella sua carriera avviene a Chicago nel 1941, quando Benny Goodman la ascolta quasi per caso e la scrittura per la sua orchestra. Ha soltanto ventun anni ma il debutto nella big band del "Re dello swing" non la spaventa. Nel 1942 la sua interpretazione di Why don't you right? fa il giro del mondo. L'anno dopo sposa il chitarrista Dave Barbour e lascia la formazione di Goodman per continuare come solista. Il matrimonio e la assillante gelosia di Barbour ne frenano la carriera, anche se proprio al fianco del chitarrista ottiene i primi lusinghieri risultati come compositrice. Nonostante qualche interpretazione di buon di successo e alcune apparizioni cinematografiche la sua stella sembra appannarsi sempre di più tanto che qualcuno si inizia a parlare di un suo prematuro ma inesorabile declino. Smentendo questi profeti del malaugurio gli anni Cinquanta segnano invece la definitiva consacrazione di Peggy Lee come uno dei personaggi musicali più interessanti di quel periodo. Liberatasi dall'ingombrante presenza di Barbour, da cui divorzia nel 1952, centrerà una lunghissima serie di successi come cantante, come compositrice e anche come attrice. Il suo percorso musicale verrà scandito dal successo di brani come Lover, Johnny guitar, Waiting for the train to come in e tanti altri. Nel 1955 la sua drammatica interpretazione nel film "Pete Kelly's blues" (Tempo di Furore) le varrà la nomination all'Oscar. Come compositrice collaborerà con quasi tutti i protagonisti del jazz e della musica orchestrale di quegli anni, da Duke Ellington a Quincy Jones, da George Shearing a Benny Carter. La sua versatilità artistica le consentirà di superare indenne anche la bufera del beat reinventandosi geniale conduttrice di show televisivi di successo e confermandosi come una delle grandi "signore della canzone" del dopoguerra. Muore a Bel Air il 21 gennaio 2002.

24 maggio, 2019

25 maggio 1972 – Horse with no name


Il 25 maggio 1972 il singolo Horse with no name degli America arriva al vertice della classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti. Il successo del trio che trascina in alto anche l'album America coglie tutti di sorpresa, a partire dalla loro casa discografica, la Warner Brothers, decisamente scettica nei confronti della band. Formatisi a Londra sull'onda del successo di Crosby, Stills, Nash & Young, gli America sono composti dall'inglese Dewey Bunnell e dagli statunitensi Dan Peek e Gerry Beckley. Cantanti e chitarristi di buon mestiere, i tre decidono di fare sul serio nel 1969 quando iniziano a girare per locali esibendosi in una lunga serie di cover intervallate da qualche raro pezzo di produzione propria. Quando la Warner pubblica Horse with no name la critica lo stronca sulla base di due sostanziali argomenti: la struttura della canzone è troppo semplice e la voce di Dewey Bunnell è identica a quella di Neil Young. Il giudizio è talmente negativo che anche la casa discografica non si fa grandi illusioni. Quando, a pochi giorni dall'uscita del disco, arrivano i primi dati delle vendite, alla Warner pensano a un errore di calcolo: 600.000 copie vendute! I giovani orfani delle melodie dei Beatles e dei provvisoriamente disciolti Crosby, Stills, Nash & Young fanno di loro i nuovi idoli del momento. Alfieri di un country rock morbido e del più totale disimpegno politico e sociale non riusciranno a durare a lungo. Ben presto la carenza di idee innovative, considerata all'inizio uno dei pregi della loro musica, si rivelerà un limite insormontabile. Costretti a ripetersi all'infinito nel ruolo di cantori di un mito californiano patinato e del tutto sganciato dalla realtà finiranno per annoiare anche i loro più affezionati sostenitori. Nel 1977 Dan Peek sceglie la vita mistica e gli America diventano due. La loro storia continuerà tra abbandoni e ritorni improvvisi sull'onda della nostalgia, senza però lasciare tracce importanti.

23 maggio, 2019

24 maggio 1974 – Il giorno che se ne andò Duke Ellington


Il 24 maggio 1974, dopo una lunga malattia, muore al Columbia Presbyterian Medical Center di New York il settantacinquenne Duke Ellington, all'anagrafe Edward Kennedy, uno dei più importanti direttori d'orchestra, pianisti e autori della storia del jazz. La sua vena creativa e la sua abilità nella direzione influenzano in modo determinante la musica della prima metà del Novecento e successivamente non mancano di esercitare un notevole fascino anche sulle nuove generazioni di artisti rock. Figlio di un maggiordomo della Casa Bianca, nasce a Washington e, nonostante il colore della sua pelle, vive un'infanzia privilegiata e riceve un'educazione raffinata e borghese che gli varrà l'appellativo di Duke (Duca). Pianista dall'età di sette anni, a diciotto è già un apprezzato professionista. Nel 1924 se ne va a New York per dirigere un quintetto da ballo. L'anno dopo è il protagonista in assoluto delle serate al Cotton Club, il locale jazz più famoso ed esclusivo della città dove resta fino al 1931. In questo periodo compone i suoi primi capolavori come Creole love call ed East St. Louis toodle-oo. Tenta anche di cimentarsi, senza molta fortuna, in un'opera di più largo respiro dalle profonde radici nere come "Creole rhapsody", stroncata e poi rivalutata dalla critica perché in anticipo sui tempi. Negli anni Trenta compone una serie di brani destinati a restare nella storia della musica del Novecento come In a sentimental mood, Sophisticated lady e Prelude to a kiss, ma lo spazio di un brano gli sta stretto. Il suo sogno è quello di musicare una sorta di poema epico sulla lunga marcia dei neri negli Stati Uniti dalla schiavitù alla definitiva affrancazione. Ci riesce nel 1943 quando alla Carnegie Hall esegue per la prima volta la suite Black brown and beige. Da quel momento, pur senza rinunciare a comporre brani di breve durata, privilegia opere di più vasto respiro: dalle suite ai poemi sinfonici, ai balletti alle grandi pagine corali. Considerato uno dei più grandi geni della musica afroamericana non si fa travolgere dalle mode e si guadagna il rispetto delle giovani generazioni degli anni Sessanta e Settanta. Prima che la malattia lo immobilizzasse aveva composto tre "Concerti sacri" che rappresentano un po' il suo testamento musicale. Alla sua morte l'orchestra che ne porta il nome passa nelle mani del figlio Mercer.



21 maggio, 2019

22 maggio 1924 – Charles Aznavour dalla Piaf al grande successo


Il 22 maggio 1924 nasce a Parigi Charles Aznavourian, destinato a diventare famoso con il nome di Charles Aznavour. Il lieto evento avviene per caso sul territorio francese dove i suoi genitori, profughi armeni, stanno aspettando un visto per trasferirsi negli Stati Uniti. Suo padre è il baritono Micha Aznavourian, figlio di un cuoco dello zar Nicola II, mentre sua madre Knar proviene da una famiglia di commercianti armeni stabilitisi in Turchia. Il tempo passa e il visto per gli Stati Uniti non arriva. Il vecchio Micha decide allora di aprire un piccolo ristorante armeno dove gli avventori possono trovare cibo e musica. Il locale, situato in Rue de la Huchette, diventa una luogo di ritrovo di artisti, in particolare musicisti e attori di teatro. Il piccolo Charles respira fin dai primi anni di vita questa atmosfera e ne resta affascinato. Nel 1933, quando ha solo nove anni, i suoi genitori lo iscrivono alla scuola di Spettacolo per assecondare la sua intenzione di diventare attore. Il ragazzo ha stoffa e ben presto inizia ritagliarsi piccoli ruoli nel cinema e nel teatro. Nel 1939 però, mentre il mondo si prepara a una nuova follia bellica, il padre Micha si arruola volontario nell’Armée e il quindicenne Charles Aznavourian lascia la scuola per lavorare. Sembra la fine dell’avventura nel mondo dello spettacolo, ma non è così. Nel 1941 incontra un giovane compositore. Si chiama Pierre Roche. I due decidono di unire la loro creatività. Nasce il duo Aznavour-Roche destinato a diventare popolarissimo nei locali di Parigi. Per Charles Aznavour è l’inizio di una lunghissima carriera. Nel 1946 Charles Aznavour incontra Edith Piaf. L’incontro lascia il segno su entrambi. Lui le regalerà alcune bellissime canzoni e lei gli apre le porte degli Stati Uniti. Alla fine degli anni Quaranta il duo Aznavour-Roche parte per una lunga tournée nordamericana dalla quale il buon Charles ritorna solo. Roche è rimasto oltreoceano per amore. Aznavour, pur essendo uno dei più apprezzati autori dell’epoca fatica ad affermarsi come interprete. Scrive canzoni per la Piaf, Mistinguett, Patachou, Juliette Gréco e un’infinità di protagonisti della scena musicale parigina ma fatica a farsi apprezzare in proprio. La svolta avviene nel 1957 quando, dopo una fortunata tournée nell’Africa del Nord, ottiene un sorprendente successo all’Alhambra che prelude a un vero e proprio trionfo nel tempio della musica parigina: l’Olympia. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta la sua popolarità cresce a dismisura in tutto il mondo con brani come Sur ma vie, Parce que, Après l’amour e La mamma. I suoi dischi arrivano al vertice delle classifiche di moltissimi paesi e i teatri più prestigiosi ospitano i suoi concerti. Anche il cinema lo vede protagonista di successo sia come interprete che come autore di colonne sonore e di brani indimenticabili. Il passare del tempo non lascia tracce su Charles Aznavour che negli anni Ottanta colleziona trionfi dal vivo, successi discografici e buone frequentazioni cinematografiche. Nel 1988, quando un terribile terremoto scuote l’Armenia mietendo oltre cinquantamila vittime, crea la fondazione “Aznavour pour l’Armenie” e, insieme a Henri Verneuil, chiama a raccolta novanta protagonisti dello spettacolo francese per registrare la canzone Pour toi Armenie. Il disco vende un milione di copie e il ricavato va interamente al popolo armeno. L’iniziativa gli vale la nomina ad Ambasciatore permanente in Armenia da parte dell’Unesco. L’impegno sociale non cancella quello artistico costellato da dischi straordinari come gli album Aznavour 2000 o Je voyage, e concerti memorabili come quello tenuto nel 1990 al Palais des Congrès di Parigi con la sua amica Liza Minnelli, quello di Montreux del 1997 per festeggiare i suoi cinquant’anni di carriera e quello svoltosi sempre al Palais des Congrès di Parigi del 2004 per festeggiare il proprio ottantesimo compleanno. Nel frattempo è diventato padrone dei suoi diritti visto che nel 1992 ha acquistato l’intero catalogo della società d’edizioni fonografiche Raoul Breton che oltre ai suoi brani comprende gran parte delle opere di Gilbert Bécaud, Edith Piaf e Charles Trenet. La sua popolarità non ha confini generazionali visto che nel 1999 i frequentatori dei siti Internet della CNN e di Time lo indicano, insieme a Elvis Presley e Bob Dylan come uno dei cantanti simbolo del ventesimo secolo. La Francia non ha voluto essere da meno. L’8 ottobre 2001 in una cerimonia ufficiale svoltasi all’Eliseo il Presidente Jacques Chirac l’ha decorato per i suoi meriti artistici. Come ha avuto più volte occasione di ripetere, i riconoscimenti ufficiali gli fanno piacere ma non lo cambiano. Il nuovo millennio lo vede nuovamente sulla breccia con dischi, concerti e qualche gesto eclatante come nell’aprile del 2002 quando canta la Marsigliese durante la mobilitazione contro il leader dell’estrema destra xenofoba Jean-Marie Le Pen ammesso al secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Muore il 1° ottobre 2018.

20 maggio, 2019

21 maggio 1944 - Carmen Villani una voce blues protagonista del cinema sexy


Il 21 maggio 1944 nasce a a Ravarino, in provincia di Modena, Carmen Villani, uno dei personaggi più singolari della storia dello spettacolo italiano, passata dal successo come cantante con una straordinaria voce nera al ruolo di bomba erotica in una serie di pellicole di grande successo nella commedia sexy all’italiana . La sua carriera inizia nel 1959 quando a soli quindici anni vince il Concorso per voci nuove di Castrocaro. In possesso di una voce dai toni blues viene invitata, unica cantante di musica leggera, al Festival Jazz di Sanremo e nel 1962 è a fianco di Gian Maria Volontè nel film dei Fratelli Taviani "Un uomo da bruciare" nel quale canta il brano Un domani per noi. Con l'esplosione del beat ottiene un buon successo con canzoni come La verità, Passa il tempo, Bada Caterina e Chitarre contro la guerra, con la quale vince il premio della critica al Festival delle Rose. Nel 1967 partecipa al Festival di Sanremo con Io per amore insieme a Pino Donaggio e a "Un disco per l'estate" con Ho perduto te. Torna sul palcoscenico sanremese nel 1969 con Piccola piccola in coppia con Alessandra Casaccia, nel 1970 con Hippy, insieme a Fausto Leali e nel 1971 in coppia con Domenico Modugno con Come stai. Nel 1975 debutta nel filone della commedia sexy con il film “La supplente” di Guido Leoni ottenendo un rapido e inaspettato successo. Da quel momento la canzone diventa un hobby e il cinema sexy una professione.


19 maggio, 2019

20 maggio 1937 – L'ultima registrazione di Robert Johnson

Il 20 maggio 1937 a Dallas, in Texas, il venticinquenne Robert Johnson chiude la seconda e ultima seduta di registrazione della sua carriera iniziata il giorno prima. L’altra è di qualche mese prima ed è un po’ più lunga visto che si svolge tra il 23 e il 27 novembre 1936 a San Antonio, sempre nel Texas. In quelle due sedute si concentra la sua intera produzione discografica, composta da meno di trenta canzoni, quasi tutte destinate all’immortalità come Crossroads, Love In Vain, Sweet Home Chicago, Preachin' The Blues, Dust My Broom, Stones In My Passway, Come On In My Kitchen, Hellbound On My Trail e la cupa e disperata Terraplane Blues. Nato l’8 maggio 1911 ad Hazlehurts nel Mississippi Robert Johnson è uno dei grandi autori e interpreti del blues rurale e le sue canzoni segnano una tappa significativa nella storia del blues. Le sue testimonianze discografiche sono pochissime un po’ per la sua riluttanza a chiudersi in sala di registrazione e un po’ perché la sua vita finisce presto. Viene infatti assassinato il 13 agosto 1938. Dopo la sua morte per oltre vent'anni il suo ricordo resta affidato agli artisti neri, come Ellmore James che, nel 1952, riporta al successo Dust my broom. Negli anni Sessanta, con l'emergere del rock blues bianco, la sua opera viene recuperata soprattutto dai gruppi britannici e diventa parte della stessa storia del rock nell'interpretazione di artisti come Captain Beefheart che incide Terraplane Blues, i Cream con Crossroads, i Rolling Stones con Love in vain e Stop breakin' down, Eric Clapton con Crossroads, For untile late, Ramblin' on my mind, John Mayall e tanti altri.

18 maggio, 2019

19 maggio 1971 – Il nuovo jazz dei C.C.C.


Il 19 maggio 1971 i C.C.C. (Creative Construction Company), un sorta di gruppo cooperativo di jazz formato dal violinista Leroy Jenkins, dal sassofonista Anthony Braxton, dal trombettista Leo Smith e dal batterista Steve McCall si esibiscono a New York. Nati l'anno prima in quella straordinaria fucina che è l'area di Chicago, sono considerati un'anomalia nella scena jazz di quel periodo. La loro musica fa storcere il naso ai puristi e ai tradizionalisti perché, pur essendo basata su una logica strutturale quasi geometrica che punta, però, la sua attenzione sui diversi piani del colore sonoro. Le assonanze e le dissonanze sono il gioco attorno al quale ruota la loro creatività che affonda le sue radici nel lavoro iniziato qualche anno prima dai singoli componenti. Non è un caso che nel 1968 Anthony Braxton abbia inciso un album intitolato Three composition of new jazz avvalendosi dell'apporto di Jenkins e Smith, gli stessi che condividono con lui l'esperienza dei C.C.C.. Il concerto newyorkese è un po' una sorta di esame di maturità per la band, il cui stile non è ancora stato classificato, ma di lì a poco verrà definito "musica creativa". Nei giorni precedenti le pagine dedicate al jazz dei giornali cittadini hanno "pompato" l'avvenimento con un dibattito i cui toni sono andati anche al di là degli aspetti banalmente musicali. Sostenitori e detrattori aspettano, dunque, al varco la band per riprendere ad accapigliarsi. I quattro musicisti sono un po' perplessi, ma abbozzano. Si presentano sul palco con un organico rinforzato dal pianista Muhal Richard Abrams e dal contrabbassista Richard Davis. Iniziano a suonare in sordina, un po' legati dalla strana atmosfera che aleggia in sala. Poi si scaldano e pian piano sciolgono anche il pubblico. Il concerto newyorkese del 19 maggio resterà nella storia della band come uno dei più significativi della band e con il materiale registrato verrà prodotto il miglior disco in assoluto targato C.C.C.

18 maggio 1958 – Toyah, la regina della new wave

Il 18 maggio 1958 nasce a Birmingham, in Gran Bretagna, la cantante Toyah, all'anagrafe Toyah Willcox, una delle voci più originali e più celebrate della new wave britannica. Fin da ragazzina la sua prima idea non è quella di cantare, ma di diventare attrice. Frequenta regolari corsi di teatro e sembra avere davvero la stoffa per fare carriera in tutti i campi della recitazione. Partecipa a un musical della BBC, lavora con il National Theatre e si fa notare in film come "Jubilee", "Il grano è verde" e, soprattutto, "Quadrophenia", ispirato all'omonima opera rock degli Who, oltre che nel serial televisivo "Dr. Jekyll & Mr. Hyde". Quella della recitazione non resta, però, la sua unica passione. Con il passare degli anni ne coltiva un'altra. Si chiama musica. Parallelamente all'attività di attrice forma nel 1977 la sua prima band e un paio d'anni dopo pubblica l'album Sheep farming in barnet e il singolo Victims of the riddle. Nel 1980 pur senza abbandonare il cinema viene insignita del titolo di "rivelazione femminile dell'anno" per gli album Toyah Toyah Toyah e The blue meaning. Sono gli anni di maggior successo per quella che tutti chiamano "la regina della new wave" e vengono scanditi dai record di vendite di album come Anthem e The Changeling. Come accade per tutti i personaggi legati a un genere, la crisi della new wave finisce per appannare la sua stella. A sorpresa, però, nel 1986 torna alla ribalta per il sodalizio con Robert Fripp, l'ex leader dei King Crimson, divenuto anche suo compagno nella vita. I due pubblicano insieme l'album The lady of the tiger e partono per un lungo e, per molti versi, straordinario tour accompagnati da una band di cui fanno parte anche Trey Gunn e il batterista Paul Beavis. L'esperienza accanto a Fripp le consentirà di affrontare gli anni successivi con maggior personalità. Il personaggio della regina della new wave lascerà il posto a una preparata e apprezzata signora della canzone.


16 maggio, 2019

17 maggio 1980 – Echo & The Bunnymen in classifica


Il 17 maggio 1980 gli Echo & The Bunnymen entrano per la prima volta nella classifica britannica dei dischi più venduti con il singolo Rescue. È il primo consistente risultato di una delle formazioni più attive della new wawe d'oltremanica. La band nasce attorno alla carismatica personalità del cantante Ian McCulloch, protagonista, nella seconda metà degli anni Settanta, della scena musicale della zona di Liverpool prima come solista e poi come componente dei Crucial Three, una band che comprende, oltre a lui, Pete Wyllie e Julian Cope. Dopo una brevissima esperienza con gli A Shallow Madness, nel 1978 dà vita agli Echo & The Bunnymen con il chitarrista Will Sergeant e il bassista Les Pattinson. Il nuovo gruppo fa il suo debutto su vinile con il singolo autoprodotto Pictures on my wall che attira l'attenzione dei talent scout della WEA Records. Il loro primo contratto discografico coincide con l'arrivo del batterista Pete de Freitas. Il buon successo del singolo Rescue fa da traino all'album Crocodiles e in breve tempo li impone tra i maggiori protagonisti della nuova avanguardia psichedelica britannica che, sia pur con varie differenze, si ritrova nella generica definizione di new wawe. Tra il 1983 e il 1984 toccano l'apice del successo con singoli come The cutter o The killing moon e album come Porcupine o Ocean rain. Parallelamente all'attività del gruppo ciascun componente sviluppa progetti personali. Nel 1983 il chitarrista Will Sergeant pubblica l'album Themes for grind e l'anno dopo McCulloch entusiasma la critica con una versione di The september song di Kurt Weill. Verso la metà degli anni Ottanta si avvertono i primi segni di stanchezza nella vita della band. All'inizio del 1986 Pete de Freitas se ne va sbattendo la porta e viene sostituito per qualche mese da Mark Fox, ex batterista degli Haircut One Hundred. Il ritorno di Freitas e la pubblicazione dell'album Echo and The Bunnymen non sciolgono gli interrogativi sul destino del gruppo che nel 1988 si produce in una versione di People are strange dei Doors, inserito nella colonna sonora del film "Ragazzi perduti". L'uscita di Ian McCulloch e la morte di Freitas in un incidente stradale chiudono, di fatto, la storia della band, anche se i componenti superstiti continueranno a tenerne in vita il nome.

14 maggio, 2019

15 maggio 1998 – L’ultimo viaggio di Frank Sinatra


Il 15 maggio 1998 si spegne a Los Angeles, all’età di ottantadue anni, per un attacco di cuore, Frank Sinatra, soprannominato “The voice”, la voce e considerato il più popolare cantante statunitense del secolo. Nella sua lunga e strepitosa carriera ha inciso oltre duemila canzoni raccolte in centosessantasei album, ha girato una sessantina di film e il suo patrimonio personale è valutato in circa trecentosessanta miliardi di lire. Ha avuto quattro mogli, tre figli e una mai smentita passione per l’alcool, il fumo, le belle donne. Alla cerimonia funebre, che si svolge nella Chiesa del Buon Pastore di Beverly Hills, partecipano mogli, figli e oltre quattrocento invitati. Francis Albert Sinatra, questo è il vero nome di Frank, nasce il 12 dicembre 1915 a Hoboken nel New Jersey in una famiglia di origine italiana. La sua carriera inizia nel 1933 quando forma il gruppo degli Hoboken Four. Nel 1939 entra a far parte, come vocalist, dell'orchestra di Harry James e l'anno successivo è il nuovo cantante dell'orchestra di Tommy Dorsey nella quale sostituisce Jack Leonard. Nel 1941 un referendum indetto dalla rivista Billboard lo indica come miglior cantante dell’anno e l’anno dopo decide di continuare come solista diventando in breve tempo l'idolo della gioventù americana che gli appiccica due soprannomi: 'The voice” e “Swoonatra” (per gli svenimenti delle ragazze alla fine dei concerti). In quel periodo si accorge di lui anche il cinema che inizialmente lo utilizza soltanto in qualche film musicale, ma successivamente ne fa un attore a tutto campo, bravo anche nei ruoli drammatici, tanto da vincere anche un Oscar per la sua interpretazione in "Da qui all'eternità". La sua popolarità ha un momento di crisi negli anni Cinquanta con l’esplodere del rock and roll, ma, dopo aver fondato una propria casa discografica, la Reprise Records, Frank inizia a recuperare posizioni fino a ottenere, nel 1966, uno straordinario successo mondiale con Stranger in the night. Pur avendo più volte annunciato il suo ritiro, non ha mai abbandonato la scena musicale fino all’ultimo, confermandosi uno degli interpreti più inossidabili e capace di attraversare da protagonista oltre sessant'anni della storia della musica leggera.

12 maggio, 2019

13 maggio 1909 – Parte il primo Giro d’Italia


La prima edizione del Giro d’Italia prende il via da Milano quando la maggioranza degli abitanti della città sono immersi in un sonno profondo. Sono, infatti le 2 e 53 del mattino quando la carovana infreddolita dei corridori si mette in moto. E’ il 13 maggio 1909 e nessuno, probabilmente, si rende conto di essere protagonista di un fatto storico, che resterà per sempre nella memoria dello sport italiano e internazionale. Quella che è destinata a diventare la principale corsa a tappe italiana è stata inventata dai responsabili della “Gazzetta dello Sport”, gli stessi che oggi sarebbero a capo di un Ufficio Promozione e Pubbliche relazioni, come un’iniziativa efficace per avvicinare qualche lettore in più al giornale. La corsa a tappe si svolge nell’Italia di inizio secolo, quella stessa Italia che sta imparando ad andare in bicicletta per lavoro e per svago. La bicicletta è il mezzo che regala autonomia, possibilità di muoversi senza dipendere da nessuno e senza dover possedere un cavallo. Nascono così le prime scampagnate e i giovani sono i primi ad accorgersi delle potenzialità del nuovo mezzo. Non c’è un grande interesse per il Giro d’Italia e per le gare ciclistiche in generale. Quello del ciclismo è un mondo fatto di scommesse e che suscita ancora diffidenza. Al “Verziere”, a Milano, i ciclisti si rincorrono ancora su un anello improvvisato a beneficio più degli scommettitori che dei tifosi. E anche quello che gareggia per le strade del Paese è un ciclismo che passa quasi inosservato. Se non ci fossero le cronache della “Gazzetta dello Sport” nessuno ne saprebbe niente. Oggi si parla di ciclismo eroico: i giri sono vere e proprie gare di sopravvivenza, le tappe sono sfibranti, da notte a notte, i ciclisti sono abbandonati su strade in gran parte non asfaltate e senza segnaletica. Sono campioni, ma campioni di fatica nei quali ancora non s’identifica del tutto l’Italia contadina, ricca di braccianti, muratori, spazzacamini. Non sanno ancora che il loro nome, scritto nell’albo d’oro del Giro, alcuni decenni dopo, verrà accomunato a quello di atleti miliardari e oculati gestori di se stessi. Ma, soprattutto, loro, per i quali una tappa può durare anche diciotto - venti ore, non sanno che, alla vigilia del duemila, verranno chiamati “tapponi” delle corse di durata non superiore alle sette ore. Per la cronaca, il primo Giro d’Italia lo vince Luigi Ganna, un grande atleta destinato a entrare nella leggenda del ciclismo. Ma lui ancora non lo sa.


06 maggio, 2019

7 maggio 1925 – Sergio Bernardini, il partigiano fondatore della Bussola


Il 7 maggio 1925 nasce a Parigi da una famiglia toscana emigrata in Francia per motivi di lavoro Sergio Bernardini il futuro fondatore della Bussola di Focette, uno dei locali simbolo degli ultimi anni Cinquanta e dei primi Sessanta. Quando i suoi genitori tornano in Italia per gestire una trattoria a Torino, lui si lega agli ambienti dell’antifascismo piemontese e nel 1944 entra a far parte della Resistenza a Cuneo. Dopo la Liberazione, nel 1947 attraversa a piedi l’Appennino, arriva in Versilia e si stabilisce a Viareggio dove si specializza nella gestione di vari locali da ballo e night: la Capannina, il Gatto Nero, L’Eden e il Caprice. Il primo gruppo scritturato per la Capannina è la Hot Jazz Band, un trio che schiera al pianoforte il futuro giornalista Piero Angela. Nel 1955 rileva la Bussola di Focette, destinata a diventare sotto la sua direzione uno dei locali più importanti d’Italia. Bernardini è stato uno dei personaggi più importanti della storia della musica leggera del dopoguerra. Manager attento e di grande fiuto è riuscito ad assumere nella canzone un ruolo che in molti ritengono sia equivalente a quello svolto da Remigio Paone o Garinei & Giovannini per il teatro. Muore a Baldichieri il 2 ottobre 1993.

05 maggio, 2019

6 maggio 1898 – Il feroce monarchico Bava


«Alle grida strazianti e dolenti/di una folla che pan domandava/il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò…» È il 6 maggio 1898, un venerdì, e nelle strade del capoluogo lombardo scendono migliaia di manifestanti. Si dice siano almeno quarantamila. Contro di loro vengono schierati ventimila soldati in assetto di guerra, sotto il comando di Fiorenzo Bava Beccaris, nominato regio commissario con pieni poteri. I primi morti restano sul terreno nel pomeriggio quando i soldati sparano contro gli operai che assediano la caserma del Trotter. Il giorno dopo, 7 maggio, di fronte alla proclamazione dello sciopero generale Bava Beccaris dichiara lo stato d’assedio e scatena le truppe. I militari avanzano sparando e la popolazione risponde lanciando tegole e mattoni dalle finestre e dai tetti. I tram vengono fatti deragliare per ostacolare le cariche della cavalleria e dei bersaglieri. Si erigono barricate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi mentre la cavalleria imperversa sui Bastioni con le sciabole sguainate. Viene anche dato l'ordine di sparare alle postazioni di cannoni attestate a Porta Genova, a S. Eustorgio e al Castello. I manifestanti resistono come possono ancora per due giorni. La battaglia si conclude lunedì 9 quando i bersaglieri espugnano l'ultima barricata alla Foppa. Mentre Bava Beccaris, in Prefettura, sta telegrafando a Roma la notizia della sua "vittoria", i carri della Croce Rossa stanno ancora setacciando le strade e le piazze della città per raccogliere morti e feriti. A chi chiedeva pane si è risposto con il piombo. Pace è fatta. Un mese dopo Re Umberto concederà al Bava Beccaris la Croce di Grand’Ufficiale «per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». Per lui non sarà l'ultimo atto della vicenda. Due anni dopo un anarchico, Gaetano Bresci, arriverà dagli Stati Uniti per vendicare con l'uccisione del re i morti di quel giorno. Bava Beccaris, invece, vivrà a lungo e morirà a novantatré anni nel 1924. La memoria della sua sanguinosa repressione sopravviverà anche grazie a un canto che ricorderà per sempre « De' non rider sabauda marmaglia/se il fucile à domato i ribelli/se i fratelli ànno ucciso i fratelli/sul tuo capo quel sangue cadrà».


5 maggio 1959 – Hal McIntyre, il sassofonista di Glenn Miller


Il 5 maggio 1959 muore in un incendio a Los Angeles, in California, il sassofonista e direttore d'orchestra Hal McIntyre. Harold, questo è il suo nome completo, ha compiuto da qualche mese quarantaquattro anni ed è nato Cromwell, una cittadina del Connecticut. Agli inizi della sua carriera si distingue per la straordinaria duttilità che gli consente di adattarsi alle più diverse situazioni ritmiche. Disciplinato, ma non privo di fantasia, riesce quasi naturalmente a integrarsi nelle strutture delle big band. Tra il 1935 e il 1936 cerca fortuna con una propria orchestra finché non viene notato dal trombonista, compositore e direttore d'orchestra Glenn Miller: «Quel ragazzo sembra nato per stare in un orchestra». Dall'apprezzamento alla scrittura il passo è breve. Giusto il tempo di chiudere il rapporto con la propria formazione e McIntyre si ritrova aggregato a una delle più popolari orchestre del mondo. Miller intuisce che le sue qualità non sono soltanto musicali. Tanto nella sua prima orchestra che nella seconda gli affida il ruolo di organizzatore musicale, oltre che di strumentista. Il suo apporto alla sezione delle ance si rivela essenziale nella costruzione di quelle sonorità che sono destinate a rendere immortale il lavoro di Glenn Miller. Nel 1941 con la big band di Miller prende anche parte al film "Serenata a Vallechiara". Il rapporto con il grande trombonista e direttore d'orchestra si chiude nello stesso anno quando McIntyre si mette in proprio dando vita a una formazione che porta il suo nome. La sua orchestra gode di una notevole popolarità e di un buon successo fino alla fine degli anni Quaranta, come molte altre, viene travolta dal declino dell'era delle big band. Chiusa l'esperienza non lascia le scene, né si vergogna di essere considerato ormai da tutti "il sassofonista che suonò con Glenn Miller". Con formazioni più ridotte delle grandi orchestre che gli hanno dato la fama, continua a dirigere e suonare fino alla morte.

04 maggio, 2019

4 maggio 1979 – Tourists, una band di passaggio


Il 4 maggio 1979, tra l'indifferenza generale viene pubblicato in Gran Bretagna il singolo Blind among the flowers. Ne sono interpreti i Tourists, una band formata due anni prima, con il nome di Catch, dal chitarrista Dave Stewart, proveniente dai Longdancer, dalla cantante e flautista Annie Lennox e dall'altro chitarrista Pete Coombes. Il nome è stato cambiato su suggerimento dei produttori discografici e anche la formazione si è irrobustita. Proprio durante la registrazione del disco la formazione si è ampliata con l'arrivo del batterista Jim Toomey e del bassista malese Eddie Chin. Di loro si dice un gran bene, anche se i risultati non sono all'altezza delle premesse. Nonostante il discreto successo degli album Tourists, Reality effect e Luminous basement, soltanto il singolo I only want to be with you ottiene un buon risultato commerciale. Siccome in campo discografico la differenza tra "una promessa" e "un'occasione mancata" è sottilissima, un anno dopo Blind among the flowers la critica comincia a storcere il naso. La band finisce per essere citata come esempio del fatto che non sempre «ottime individualità fanno un ottimo gruppo». Nonostante tutto, però, l'esperienza è destinata a restare nella storia musicale degli anni Ottanta come una tappa di passaggio per la nascita degli Eurythmics, una delle più ricche esperienze di quel periodo. Quando alla fine del 1980, insoddisfatti dei risultati, i Tourists decideranno di chiudere definitivamente l'esperienza del gruppo, infatti, Annie Lennox e Dave Stewart si chiuderanno negli studi di Conny Plank a Colonia insieme a Robert Gorl e Gabi dei Daf e Holger Czukay e Jackie Liebezeit dei Can. Proprio in queste sedute di registrazione in terra tedesca nascerà l'avventura degli Eurythmics. Quasi a confermare la caratteristica dei Tourists come band di passaggio, Pete Coombes ed Eddie Chin daranno vita, con minor successo di Annie e Dave, ma con interessanti risultati, agli Acid Drop.


02 maggio, 2019

3 maggio 1919 – Pete Seeger, un comunista made in USA


Il 3 maggio 1919 nasce a New York Pete Seeger, uno dei più grandi personaggi del folk statunitense. Dalla famiglia assorbe la passione per la musica popolare. Il padre, infatti, è l'etnomusicologo Charles Seeger, collaboratore del giornale comunista "Daily Worker" nonché attivista dell'associazione Composer Collectives For The Promotion Of American Music. Nel 1936 si iscrive alla facoltà di sociologia ad Harvard, ma due anni dopo lascia l'università per lavorare con Alan Lomax negli archivi della Biblioteca del Congresso a Washington, alla ricerca di canzoni popolari. Nel 1941 torna a New York dove forma gli Almanac Singers con Woody Guthrie, Lee Hays e Millard Lampbell. Nel 1948 con Hays, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman dà vita agli Weavers con i quali pubblica anche Goodnight Irene, un brano che resta al primo posto della classifica per tredici settimane vendendo oltre due milioni di dischi. Quando l'attività degli Weavers viene interrotta dalla caccia alle streghe scatenata dal senatore McCarthy contro gli oppositori di sinistra nel 1952, Pete, condannato più volte dal Comitato contro le Attività Antiamericane, continua ad esibirsi da solo nei campus universitari, nelle fabbriche e nei circoli sindacali. Negli anni Sessanta si impegna attivamente nel movimento pacifista aiutando giovani artisti come Arlo Guthrie, figlio del suo vecchio amico Woody, e Joan Baez. Ribelle e poco disposto ad accettare le regole verrà "adottato" dai giovani protagonisti della rinascita del folk e del folk rock. Sono loro che, per aiutarlo a sopravvivere, incideranno i suoi brani. Alcuni di questi finiranno ai primi posti delle classifiche di vendita come, per esempio, If I had hammer, interpretato da Peter Paul & Mary, Where have all the flowers gone? nelle versioni dei Kingston Trio e di Joan Baez e Turn, turn, turn portata al successo dai Byrds. Nel corso della sua carriera registrerà centinaia di canzoni, pubblicate in oltre cinquanta album.

2 maggio 1950 – Edith Piaf registra “Hymne à l’amour”


«Andrei ai confini del mondo/mi lascerei tingere i capelli di biondo/se tu me lo domandassi/andrei a staccare la luna/andrei a rubare la fortuna/se tu me lo domandassi/Rinnegherei la mia patria/rinnegherei i miei amici/se tu me lo domandassi/ridano pure di me/io farei qualunque cosa se tu me lo domandassi …» con queste parole il 2 maggio 1950 Edith Piaf consegna per sempre a un disco il suo disperato amore per il pugile Marcel Cerdan, l’uomo che come lei è venuto dalla strada e s’è fatto largo a suon di pugni. Edith lo ama alla follia e quando l’aereo su cui sta volando verso di lei si schianta su una montagna delle Azzorre il mondo le crolla addosso. Non vuole cantare più, non vuole vivere più, dice a tutti che non sopravviverà al dolore. Nessuno riesce a scalfire il muro che ha eretto attorno a sé, chiuso e impenetrabile a tutti tranne a una persona. È Marguerite Monnot, la donna, la compositrice e l’amica che l’accompagna da sempre e di cui si fida, a convincerla a riprendere il cammino sulla strada della vita. La prende per mano con pazienza l’aiuta a riprendere il filo della vita che si era interrotta. Edith la segue ma le chiede di aiutarla a erigere un monumento musicale all’amato Marcel. In quei giorni infatti nasce L’hymne à l’amour, la canzone che fa uscire la cantante dal guscio della disperazione. Il testo lo scrive Edith e la musica, larga e imponente come una sinfonia o una cerimonia religiosa è di Marguerite. A chi non ne conosce la storia il testo di L’hymne à l’amour appare infantile, lontanissimo dalla geniale creatività e dalla maturità sofferta di un’artista come Edith Piaf. È come se il dolore avesse scavato fino in fondo nella donna capace di dominare il mondo dall’alto delle sue canzoni e della sua personalità, tanto in fondo da far riemergere la bambina impaurita che era diventata cieca per non vedere più il mondo. Le canzoni, però, non si leggono. Si ascoltano. Il pubblico dell’Olympia, che l’ascolta per la prima volta all’inizio del 1950 piange e gioisce insieme a quella figurina nera che sul palco sembra rubare la voce alla tempesta. Non è solo una canzone quella che Edith Piaf fa vivere sul palcoscenico, ma è l’insieme dei sogni e dei dolori che l’hanno accompagnata. Il 2 maggio 1950 lo registra per la prima volta su disco. Anche nei solchi del tondo 78 giri dell’epoca la sua voce accompagna il sentimento, lo accarezza e si fa accarezzare, lo graffia e si fa graffiare fino a esserne travolta. Quando scrive e interpreta L’hymne à l’amour si comporta come ha sempre fatto nella sua vita. Se sente di dover fare una cosa la fa. La fa e basta senza porsi mai troppe domande perché ha imparato presto che nella vita le domande sono relativamente facili da porre ma non sempre si sopportano facilmente le risposte.


27 aprile, 2019

28 aprile 1963 – Quando gli Stones non avevano grinta

Il 28 aprile 1963 i neonati Rolling Stones si esibiscono al Crowdaddy Club di Richmond, un locale gestito da quel Giorgio Gomelsky che in futuro diventerà il manager degli Yardbirds e dei Trinity di Brian Auger. Gli Stones hanno trovato da poco stabilità attorno all'ex cantante dei Blue Boys e dei Blues Incorporated di Alexis Korner, il non ancora ventenne Mick Jagger. Con lui ci sono due chitarristi: Brian Jones, anch'egli proveniente dalla band di Korner e Keith Richards, già suo compagno nei Blue Boys. La formazione è completata da un batterista non di primo pelo come Charlie Watts che ha sostituito nel ruolo l'inesperto Tony Chapman e il bassista Bill Wyman che stando ai pettegolezzi sarebbe stato scelto perché possiede un buon impianto di amplificazione. Da qualche tempo sono un l'attrazione fissa di un locale come il Crowdaddy Club frequentato da un gran numero di giovani. Pian Piano la loro popolarità arriva alle orecchie degli "addetti ai lavori" stimolando la curiosità di vari produttori o sedicenti tali. La sera del 28 aprile in sala ci sono anche Andrew Loog Oldham e il suo socio Eric Easton, due personaggi dotati di un discreto fiuto e di buone capacità manageriali. Ascoltano con attenzione gli Stones e, al termine della serata chiedono di poter parlare con i ragazzi. Quando Oldham si trova di fronte un timido Mick Jagger, non cerca giri di parole: «Siete bravini, ma non avete grinta. Tu Mick sembri impacciato e goffo. Lasciati andare, maledizione! Sbatti in faccia al pubblico tutto quello che hai, non avere paura di fargli male. La musica pop è sesso, solo sesso, e la devi sbattere in faccia al pubblico» Pur se l'inizio non è dei migliori la discussione con il gruppo procede poi su binari più tranquilli. I ragazzi non hanno nessuno che si occupi né dell'immagine né della produzione. «Se siete d'accordo potrei occuparmi io di voi. Mi piacerebbe diventare il vostro manager, a patto che accettiate le mie condizioni». Qualche giorno dopo Oldham diventa il manager dei Rolling Stones. La sua cura sarà drastica. Accentuerà i lati più aggressivi di Jagger e soci sia sul palco che fuori. Costringerà poi i media a occuparsi della band inventando sul loro conto notizie "fuori dalle righe" e qualche scandaletto. Il risultato andrà oltre le stesse previsioni dell'intelligente manager. In breve tempo, i poco grintosi Stones diventeranno uno dei simboli musicali della ribellione e, soprattutto, del gusto dell'eccesso e della provocazione per ben più di una generazione.