18 luglio, 2019

18 luglio 1975 – Nasce il mito di Marley


Il 18 luglio 1975 una folla impressionante si accalca davanti al Lyceum di Londra dove è in programma un concerto di Bob Marley & The Wailers. Il servizio d'ordine, sorpreso e impreparato a reggere un afflusso di queste proporzioni, fatica a contenere l'urto dei corpi che si spingono per entrare. Interviene anche la polizia che, faticosamente, forma un cordone protettivo. Sono migliaia le persone senza biglietto costrette a restare fuori. La confusione è tale che anche Tyrone Downie, il tastierista degli Wailers, rischia di non poter suonare perché imbottigliato nella ressa. Alla fine Bob Marley può iniziare. L’intero concerto viene registrato e fornirà il materiale per l’album Live, destinato a portare nelle classifiche di vendita la magia che Bob e la sua band sanno creare dal vivo. Il concerto del 18 luglio resta nella storia della musica del Novecento soprattutto per la versione, strepitosa, di No woman, no cry registrata in quell’occasione e pubblicata in singolo. Sarà proprio questo disco a segnare la definitiva conquista da parte di Marley del difficile mercato inglese. Quel 18 luglio nasce un mito destinato a durare oltre la morte del musicista. In breve tempo il Rasta Marley diventerà una sorta di portavoce ufficiale della vasta comunità giamaicana in Gran Bretagna e dalle rive del Tamigi la sua popolarità inizierà a estendersi anche nell’Europa continentale. In quella trionfale sera di luglio la rockstar immaginata da Blackwell, il discografico giamaicano bianco che per primo ha creduto nelle sue possibilità, si separa dalle mani del suo creatore. Il suo destino sarà diverso da quello dei dominatori delle classifiche. Non sarà prigioniero della ricerca spasmodica del risultato commerciale. A Bob il successo discografico interesserà sempre poco, perché, come avrà modo di dichiarare più volte, lui si sente investito da una missione più grande: testimoniare la potenza di Jah in tutto il mondo. Lo farà fino alla morte, oltre la morte.



17 luglio, 2019

17 luglio 1942 – Zoot Money, un irrequieto bluesman britannico


Il 17 luglio 1942 nasce a Bournemouth, in Gran Bretagna, Zoot Money, uno dei grandi pionieri del blues britannico. Registrato all’anagrafe con il nome di George Bruno, il giovane Zoot studia pianoforte ma agli autori classici preferisce decisamente i ritmi e le melodie dei discendenti degli schiavi neri d'America. Quando, nel 1961, dà vita alla prima formazione della Big Roll Band ha soltanto diciannove anni. Lo affianca nell'impresa un gruppo di giovani destinati a lasciare un segno importante: il chitarrista Roger Collins, il bassista Johnny King, il batterista Peter Brooks e il sassofonista Kevin Drake. La Big Roll Band diventerà una sorta di contenitore di cui Zoot costituirà l'unico elemento stabile, tanto che non si potrà mai parlare di una "formazione tipo", ma di tante formazioni, ciascuna riferita a un periodo specifico. Una delle più significative è quella del 1963, che schiera, oltre a Zoot, il chitarrista Andy Somers (il futuro Andy Summers dei Police), il sassofonista Nick Newall e il batterista Colin Allen. Tra le numerose testimonianze discografiche di questo periodo, alcune ufficiali, altre meno, la migliore resta l'album live Zoot! del 1966, registrato al Klook's Kleek con la partecipazione del sassofonista Johnny Almond. In quell'anno Zoot abbandona il progetto della Big Roll per formare una nuova band: i Dantallion's Chariot. Non si fermerà lì. Irrequieto e sempre disponibile a nuove avventure alternerà progetti solistici a esperienze con gruppi diversi. Alla fine degli anni Sessanta farà anche parte di una delle ultime formazioni storiche degli Animals, la leggendaria band di Eric Burdon, con i quali registrerà l'album Everyone of us. All'inizio degli anni Settanta darà vita agli Ellis insieme a Steve Ellis, l'ex componente dei Love Affair, ma anche questa non sarà una scelta definitiva. Recuperata, come ogni volta, la sua libertà continuerà a vivere da protagonista le ricche esperienze della scena blues britannica.



16 luglio, 2019

16 luglio 2004 - Chi vota per Bush non è punk


«Questa compilation non nasce per fare profitti: nasce per fare la differenza». La scritta in inglese campeggia bene in evidenza nel libretto che accompagna Rock Against Bush – vol. 1 l’album promosso e realizzato dall’eclettico Fat Mike a supporto del sito www.punkvoter.com. per convincere i giovani ad andare a votare contro Bush. La filosofia dell’album, presentato anche in Italia il 16 luglio, e del sito è, grosso modo, riassumibile così: chi vota per Bush non è punk e chi si astiene è un pisciasotto. E se il presidente dell’America imperialista che punta a farsi impero sceglie il mondo intero come scenario per la sua campagna elettorale, i punk decidono di fare lo stesso perché alla minaccia globale si risponde con la mobilitazione globale. L’album viene così distribuito ovunque e anche in un mercato provinciale come quello italiano si può acquistare per 14 Euri. Sono soldini spesi bene sia per la causa che per il contenuto musicale. In allegato c’è un dvd, forse un po’ ostico per chi non frequenta troppo l’inglese, con videoclip (di Bad Religion, Anti-Flag, NOFX e Strike Anywhere), documentari sulla guerra in Iraq, divertenti spot anti-Bush e un monologo del comico David Cross. La scaletta del Cd è ricca. Accanto ai nomi sempre presenti in iniziative di questo genere ci sono anche gruppi inaspettati. Balzano all’occhio Pennywise, Strike Anywhere, Anti-Flag, NOFX, New Found Glory, Sum 41, Less Than Jake, Soviettes, Ataris, Authority Zero, Strong Out e il quasi leggendario Jello Biafra supportato per l’occasione dai D.O.A. Tra i brani spiccano la bella versione elettrica di Sink, Florida, sink degli Against Me!, l'inedito Give it all dei Rise Against e una Baghdad degli Offspring che è in realtà la riscrittura della Tehran del loro primo album. L’elenco comprende altri nomi illustri come Social Distortion, Descendents o Billy Bragg che affianca i Less Than Jake. Gli amanti dei generi più di confine si possono deliziare con il crossover dei Frisk, il metallo industriale dei Ministry, l'indie-rock degli ormai disciolti Denali, la new wave degli Epoxies, lo ska-core degli RX Bandits, il folk-punk di The World/Inferno Friendship Society o l'emo-pop-rock degli Alkaline Trio e dei Get Up Kids. La campagna di Punkvoter.com sarà supportata anche da decine di concerti cui parteciperanno, oltre ai gruppi citati, Bad Religion, Blink, Good Charlotte, Foo Fighters, Green Day e Sonic Youth, destinati a finire nell’annunciata seconda compilation. Di fronte a quest’offensiva mediatica l’establishment non è stato fermo. In pochi giorni è nato un sito “di destra”, ConservativePunk.com, che ha arruolato l'ex cantante dei Misfits Michael Graves, l’ex Black Flag Henry Rollins e il leggendario Johnny Ramone, tutti favorevoli alla rielezione di Bush. Il tentativo, però, come scrive la stampa d’oltreoceano «…finora ha raccolto scarse adesioni e si è tolto poche soddisfazioni…». Sono timidi e un po’ patetici pannicelli messi a fermare l’onda. Nata sull’onda del movimento contro la guerra l’ondata musicale anti-Bush non sembra facilmente arrestabile. Chi vota per Bush non è punk, appunto.



15 luglio, 2019

15 luglio 1978 – L’album più bello di Chuck Mangione

Il 15 luglio 1978 il trombettista Chuck Mangione si esibisce all'Hollywood Bowl in un concerto destinato a entrare nella storia del jazz rock. La performance, infatti, verrà pubblicata l’anno dopo nel doppio album An evening of magic - Live at the Hollywood Bowl che segnerà il punto più alto del successo di uno dei protagonisti dell'ultimo periodo dell'epoca d'oro del jazz rock. Anche se i grandi successi di vendite e i concerti affollati non lo lasciano prevedere, Mangione alimenta le ultime fiammate di un genere che alla fine degli anni Settanta sta già evolvendosi verso la “new age music” dopo aver toccato vertici altissimi grazie all’impegno di musicisti come, tra gli altri, Miles Davis, Herbie Hancock, Wayne Shorter, Chick Corea, Tony Williams, John McLaughlin, Donald Byrd. Chuck Mangione, all’anagrafe Charles Frank Mangione, nasce a Rochester, New York, il 29 novembre 1940. Suo padre è amico di musicisti come Art Blackey, Horace Silver e, soprattutto, di Dizzy Gillespie che regala al piccolo Chuck la sua prima tromba quando ha soltanto otto anni. Il ragazzo si innamora della musica. Diplomatosi alla Eastman School of Music, nel 1960 forma con suo fratello Gap i Jazz Brothers della cui formazione fanno parte musicisti come Ron Carter, Sal Nistico, Roy McCurdy e Jimmy Garrison. Cinque anni dopo, trasferitosi a New York, si unisce ai Jazz Messenger del vecchio amico di famiglia Art Blackey e suona con musicisti come Maynard Ferguson, Keith Jarrett, Chick Corea. Lasciati i Jazz Messenger forma, nel 1968, il Chuck Mangione Quartet e nel 1970 durante uno show televisivo dirige la Rochester Filarmonic Orchestra nell'esecuzione di Friends and love, una sua composizione che ottiene un grande successo di pubblico e che, pubblicata in un doppio album, diventa il suo primo successo discografico. La buona accoglienza riservata a questo disco spinge i discografici a proporgli di registrare un nuovo album con la Rochester Filarmonic Orchestra. Nasce così Together, un disco meno originale del predente ma benedetto da un analogo, se non superiore, successo commerciale. Da quel momento i successi discografici non si contano. L’onda lunga del jazz rock sostiene la sua esperienza, accompagnata da una genialità istintiva. Nel 1980 si mobiliterà per i terremotati dell’Irpinia con un concerto insieme al fratello Gap, Chick Corea e Dizzy Gillespie che verrà pubblicato l’anno dopo nell’album Tarantella.



13 luglio, 2019

13 luglio 1920 – Umberto Cesari, il pianista che amava Fats Waller


Il 13 luglio 1920 nasce a Chieti il pianista Umberto Cesari. All’inizio dell’attività, pur essendo in possesso di una formazione classica non disdegna incursioni sempre più frequenti nella musica leggera. La sua carriera sembra ormai incanalata sui binari di una tranquilla routine da strumentista d’accompagnamento quando l’ascolto casuale di un disco che contiene After you’ve gone nella versione di Fats Waller gli fa scoprire il jazz. È quasi un colpo di fulmine. Gli orizzonti del giovanotto chietino cambiano improvvisamente e anche la sua impostazione stilistica per un po’ appare fortemente condizionata da quella di Waller. Negli anni immediatamente successivi alla Liberazione dà vita a ben due formazioni: il Cristall Trio e un sestetto impostato sulla falsariga delle formazioni di Benny Goodman di cui si occupa persino Down Beat, la rivista per le forze armate statunitensi di stanza in Europa. La sua popolarità si allarga e alla fine degli anni Quaranta se ne va a New York per suonare in una grande orchestra radiofonica. Nel marzo del 1950 è, però di nuovo in Italia per registrare negli studi della Parlophon una leggendaria versione di Begin the Beguine con il Trio, un gruppo che oltre a lui comprende Carlo Pes alla chitarra e Carletto Loffredo al basso. In breve tempo diventa uno dei più apprezzati strumentisti jazz di studio. Tra le sue registrazioni più famose ci sono quelle con il quartetto di Aurelio Ciarallo per la Columbia nel 1954, quattro brani con la Roman New Orleans Jazz Band per la RCA nel 1958 e otto nel 1959 con la stessa band che può contare per l’occasione anche sull’apporto del clarinettista Peanuts Hucko e del trombettista Trummy Young. Il 24 ottobre 1960, con Sergio Biseo al basso e Roberto Podio alla batteria, registra negli studi della RCA la famosa Pino solitario. Nella sua carriera ha incontrato quasi tutti i protagonisti del jazz di quel periodo. Suona a lungo con Stéphane Grappelli e, in jam session, incrocia il suo strumento con quelli di personaggi straordinari come Django Reinhardt, Louis Armstrong, Trummy Young, Cozy Cole, Arvell Shaw, Jack Teagarden, Bill Coleman, Barney Bigard, Don Byas, Toots Thielemans, Chet Baker, Max Roach, Zoot Sims, oltre a moltissimi musicisti europei. Da sempre poco incline a mostrarsi in pubblico, negli anni Sessanta rende il suo isolamento quasi inaccessibile rifiutando quasi tutte le proposte di nuove registrazioni. Fanno eccezione un concerto in trio con Giovanni Tommaso al contrabbasso e Daniel Humair alla batteria tenuto il 28 marzo 1968 per Rai Radio e la registrazione nel 1975 dell'album Reminiscenze per la Carosello. Muore nel 1992.


10 luglio, 2019

10 luglio 1991 – Un fulmine sugli Happy Mondays


Il 10 luglio 1991, quando mancano trenta minuti all’inizio del concerto degli Happy Mondays nella Plaza de Toros di Valencia, un fulmine si abbatte sul palco mettendo fuori uso gran parte degli strumenti della band. Sembra un segno del destino per il gruppo formato a Salford, in Gran Bretagna, undici anni prima dai fratelli Shaun e Paul Ryder, uno cantante e l'altro bassista, dal batterista Gary Whelan e dal chitarrista Mark Day. Dopo l'arrivo del tastierista Paul Davis prendono il nome definitivo di Happy Monday ispirandosi all'omonima canzone dei New Order, la loro band preferita. Qualche disco autoprodotto precede la pubblicazione del singolo Freaky dancin', prodotto proprio da Barney Sumner, uno dei componenti dei New Order Il loro sound, una sapiente fusione tra la dance, l'acid house e le linee morbide del pop, attira l'attenzione di John Cale che, nel 1986 li aiuta nella registrazione dell'album Squirel and G-Man twenty four hour party people plastic face carnt smile (white out). Il successivo Bummed, precede l'inizio di una lunga serie di guai per la band che iniziano nel 1989 con l'arresto di Shaun Ryder e Mark Berry per detenzione di sostanze stupefacenti. Da quel momento la loro storia è un continuo alternarsi di successi discografici e pause sempre più lunghe per problemi di droga. All'inizio degli anni Novanta dopo lo splendido Manchester rave on, il gruppo si ferma perché Shaun Ryder si chiude in clinica per disintossicarsi dall'eroina. Il concerto di Valencia del 10 luglio 1991 è uno di quelli programmati per rilanciare la band, per questo il fulmine appare come un segnale. Qualche mese dopo la tossicodipendenza di Shaun Ryder, ricoverato nuovamente in clinica, bloccherà ancora l'attività del gruppo e segnerà l'inizio della crisi. Nel mese di febbraio del 1993, dopo l'uscita dal gruppo dello stesso Shaun e dopo violente liti e discussioni, la storia degli Happy Mondays si concluderà con una traumatica separazione.



09 luglio, 2019

9 luglio 2003 – Festa Nazionale di Liberazione a Modena Park


«A Modena Park puoi starci anche tutta vita…» Le parole di una delle più suggestive canzoni di Ivan Graziani sono diventate un po’ il simbolo di una Festa di Liberazione nazionale tra le più particolari e ricche. A partire dal 9 luglio 2003 fino a domenica 27 la città emiliana diventa il centro di un crocevia ideale tra cultura, politica, musica e parole in movimento. Parte lì, infatti, la prima di tre feste nazionali di Liberazione, la seconda delle quali è in programma a Venezia alla fine d’agosto e la terza, la più grande, a Roma, nella Capitale. Il programma della Festa dà l’idea di un grande laboratorio aperto a mille contributi. Ricca e articolato è anche il programma degli spettacoli concepito non come una lunga serie di eventi slegati tra loro, ma come una vetrina sulla molteplicità dei generi, delle linee, delle tendenze, con l’unica scelta pregiudiziale di invitare soltanto artisti che non abbiano avuto ambiguità sul tema della guerra globale. Ci sono alcune "chicche" come il californiano Elliott Murphy, che ha anticipato di un giorno l’inizio del suo tour italiano per esserci, il jazzista Gaetano Liguori che rimette in scena la sua Cantata rossa per Tall El Zataar, o Claudio Lolli e Il Parto delle Nuvole Pesanti che rifanno sul palco della Festa Ho visto anche gli zingari felici. Nella programmazione singolare, accanto a personaggi noti e importanti, ci sono immagini e suoni diversi con alcune delle band che hanno partecipato al Cd di Liberazione Not in my name” e altre che sono state protagoniste dei concerti del Forum Europeo di Firenze, per finire ai suggestivi suoni zingari di Federico Sirianni e della sua Molotov Orchestra. Due serate hanno un gusto particolare. La prima è “Cattivo come il pane”, una lunga kermesse condotta da David Riondino con la partecipazione di musici, artisti e intellettuali dedicata alla memoria di Valerio Peretti, uno scrittore, vignettista, autore radiofonico e televisivo scomparso pochi mesi prima che aveva regalato spesso la sua genialità a Liberazione e al PRC pur senza averne mai fatto parte. La Tv lo ha ricordato come “uno degli autori di Striscia la notizia”, la Festa lo ricorda come un compagno e un amico impegnato in tanti campi. La seconda serata-omaggio viene dedicata a Franco Trincale, l’espressione migliore di una tradizione, quella dei cantastorie, che rischia quotidianamente di non trovare più spazio in una società sempre più repressiva verso le forme d’arte libere. Per un giorno Trincale non deve esibirsi all’angolo di una strada ma canta le sue canzoni sul grande Palco Centrale con un impianto d’amplificazione “vero”. A ben guardare, gli spettacoli della Festa, pensati e messi in fila uno dopo l’altro, finiscono per rappresentare una sorta di affresco dai mille colori capace di parlare di politica con un linguaggio diverso.



08 luglio, 2019

8 luglio 1904 – Bill Challis, l’autodidatta laureato


L’8 luglio 1904 nasce a Wilkes-Barre, in Pennsylvania il pianista e arrangiatore Bill Challis, uno dei più singolari personaggi del jazz degli anni Venti e Trenta. È ancora un bambino quando scopre il fascino della tastiera. Senza maestri si applica con costanza a quello che considera un hobby divertente e in pochi anni i tasti bianchi e neri del pianoforte non hanno più segreti per lui. Non pensa, però, di fare della musica la sua attività principale. Seguendo i consigli della sua famiglia si applica a fondo sui libri. I suoni restano un passatempo cui dedicare le ore libere e, quando si stanca del pianoforte, passa al sassofono. A volte ascolta con interesse i gruppi jazz che arrivano nella sua zona, ma il suo sogno è quello di laurearsi. Superati gli esami d’ammissione all’università frequenta con profitto i corsi delle facoltà di economia e filosofia. L’indecisione nella scelta tra sassofono e pianoforte, che caratterizza il suo rapporto con la musica sembra condizionare anche la scelta della materia in cui laurearsi: economia o filosofia? Alla fine si laurea in filosofia economica. Nel frattempo, però, ha iniziato a suonare il pianoforte in una band universitaria e, perfezionista come al solito, si sta applicando con assiduità anche agli studi musicali. Dopo la laurea si diploma in pianoforte e composizione. Il primo ad accorgersi di lui è il violinista e capo orchestra Dave Harmon che lo scrittura come pianista e arrangiatore. Da quel momento la laurea viene appesa a un muro. Nel 1926 entra a far parte dell’orchestra di Jean Goldkette e nel 1928 è con Paul Whiteman. In entrambe lascia un segno con le sue originali orchestrazioni. Pigro per natura e insofferente nei confronti delle esibizioni dal vivo a partire dal 1930 decide di ridurre l’attività come strumentista dedicandosi agli arrangiamenti. Tra le beneficiate dal suo lavoro di quel periodo ci sono le orchestre di Glen Gray, dei Dorsey Brothers e di Willard Robinson. Tra il 1935 e il 1936, all’apice della sua popolarità, può contare anche su un proprio programma radiofonico intitolato “Bill Challis and His Music”. Nel dopoguerra, con la fine dell’epopea delle grandi orchestre, la sua attività tenderà progressivamente a ridursi. Di lui restano nella storia del jazz gli arrangiamenti per le orchestre di Jean Goldkette e di Paul Whiteman fondamentali nella valorizzazione di grandi solisti come Bix Beiderbecke, Frankie Trumbauer e Joe Venuti.



07 luglio, 2019

7 luglio 1979 – Tu sei l'unica donna per me


Il 7 luglio 1979 arriva al vertice della classifica italiana dei dischi più venduti il brano Tu sei l'unica donna per me. Lo interpreta Alan Sorrenti, un cantautore considerato fino a un paio d'anni prima uno dei pochi solisti italiani in grado di cimentarsi senza sfigurare sul terreno del rock progressivo. Al suo attivo ci sono lavori sperimentali e un paio d'album di buon livello come Aria e Come un vecchio incensiere all'alba di un villaggio deserto. Da un anno, però, lo sperimentalismo non fa più per lui. Il successo di Tu sei l'unica donna per me ne consolida la svolta commerciale, iniziata nel 1978 prima con la rivisitazione di Dicitencello vuie e poi con un altro campione di vendite come Figli delle stelle. Gran parte della critica, che l'ha seguito con simpatia nella fase più impegnata e sperimentale della sua carriera, snobba la svolta dance di Alan Sorrenti, ironizzando sulla sua nuova immagine e sulla banalità di un'impronta musicale sostenuta da un largo uso di falsetti in stile Bee Gees. «Una gran voce sprecata» scrivono alcuni giornali specializzati. Lo stesso atteggiamento assumono i suoi ammiratori della prima ora che, delusi e traditi, gli voltano le spalle. Il cantautore viene invece scoperto dal grande pubblico, quello che affolla le discoteche ed è affascinato dalla "febbre del sabato sera". È questa sterminata platea che porta il suo brano al vertice delle classifiche di vendita dove resterà per ben tre mesi. Sull'onda del successo Alan Sorrenti e il suo produttore Corrado Bacchelli penseranno di poter conquistare anche il pubblico d'oltreoceano ripetendo, in piccolo, l'operazione riuscita all'australiano Robert Stigwood con i Bee Gees. Tra New York e Los Angeles verrà realizzata All day in love, la versione inglese di Tu sei l'unica donna per me, mentre l'immagine del cantante si americanizzerà al limite del ridicolo. L'operazione finirà per incepparsi tra eccessi di megalomania e qualche ingenuità.




05 luglio, 2019

6 luglio 1983 – Jean-Michel Jarre, un album in una sola copia


Il 6 luglio 1983 il francese Jean-Michel Jarre pubblica il suo nuovo album Music for supermarkets stampato in una sola copia. Battuto all’asta, il disco viene venduto per sessantanovemila franchi francesi. Non è la prima e non sarà l’ultima stravaganza del figlio del grande compositore francese di colonne sonore Maurice Jarre. Jean-Michel, nato il 24 agosto 1948 a Lione diventa alla fine degli anni Settanta, il simbolo della nuova musica francese. Diplomatosi al Conservatorio di Parigi, nel 1968 entra a far parte del Gruppo di Ricerca Musicale di Parigi, diretto da Pierre Shaffer. Nel 1972, appena ventiquattrenne, compone le musiche per "Aor", una coreografia di Norbert Schmuki e porta per la prima volta i suoni elettronici nel Teatro dell'Opera di Parigi, il tempio della classicità. Cinque anni dopo l’album Oxigene e il singolo omonimo scalano le classifiche di tutto il mondo. Jarre, musicista puro come Mike Oldfield, si caratterizza come un personaggio schivo con l'abitudine a lavorare da solo. La sua musica costituisce una sorta di sintesi cibernetica tra l'elegante e patinata creatività del padre e l'onirica immaginazione del rock sinfonico. Il successo di Oxigene gli vale il Grand Prix dell'accademia Charles Cross di Parigi e il titolo di “personaggio dell'anno” dalla rivista statunitense “People Magazine”. Pur continuando a pubblicare dischi di successo ritiene che la sua musica debba essere soprattutto eseguita dal vivo. Affascinato dall’idea di ambientare le sue composizioni in grandi ambienti aperti e di sperimentare nuove fusioni tra musica e immagine, il 14 luglio del 1979, a Parigi, in Place de la Concorde dirige di fronte a più di un milione di spettatori l'esecuzione all’aperto delle sue musiche corredata da giganteschi giochi di luce. Due anni dopo è il primo musicista moderno occidentale invitato a esibirsi nella Repubblica Popolare Cinese. La registrazione delle sue performances in Cina, pubblicata nel doppio live The Concert in China si trasforma in un nuovo successo mondiale. Compagno dell’attrice Charlotte Rampling, intelligente e colto, tornato dall'oriente dichiara di non sopportare le pressioni e i trucchi del music business, per il quale «contano soltanto i dischi venduti e non la musica». Per questa ragione realizza Music for supermarkets con la stessa cura di un album destinato al mercato, ma per contratto esso dovrà essere stampato in una sola, rarissima, copia.


5 luglio 1966 – I Beatles? Linciateli pure!


Il 5 luglio 1966 è l’ultimo giorno di permanenza dei Beatles a Manila, una tappa della loro tournée asiatica. Tutto è andato bene, nonostante il soliti eccessi d'entusiasmo del pubblico. Si sono rivelate infondate anche le preoccupazioni circa i rischi di contestazione in un paese cattolico come le Filippine dopo le dichiarazioni rilasciate da John Lennon un paio di mesi prima sui «Beatles più famosi di Gesù Cristo». Il clima nell'entourage del gruppo è eccellente. Un incidente, per la verità, c’è stato, ma appartiene più alla sfera diplomatica che al loro modo di concepire la vita. Nessuno dei quattro, infatti, se l’è sentita di partecipare a un ricevimento organizzato in loro onore dalla terribile Imelda, la moglie di Marcos, padre-padrone delle Filippine. Fino all’ultimo la rappresentanza diplomatica britannica a Manila ha fatto pressione perchè i quattro cambiassero idea, ma non c’è stato nulla da fare. «Siamo stanchi e poi ci annoieremmo a morte. Non ci va di essere ostentati come gioielli. Preferiamo starcene per conto nostro...». L’ufficio stampa della band ha ritenuto opportuno, comunque, inviare alla first lady una serie di fotografie autografate e vari regali di cortesia. Tutto a posto? Tutt’altro. Il presidente Marcos è furente con «quei quattro capelloni spocchiosi». Presto, però, sarà tutto finito. I Beatles e i loro collaboratori salgono sul piccolo corteo di auto che li deve condurre all’aeroporto. La folla che li attende è immensa. Un robusto cordone di polizia li protegge mentre entrano nella grande hall dell'aerostazione. Improvvisamente, però, gli agenti si ritirano e se ne vanno. Le migliaia di fans urlanti ci mettono un po’ a capire quello che sta succedendo, ma poi, aizzati da alcuni provocatori disposti in modo strategico, si accorgono che la band non più alcuna protezione. È un assalto. C’è chi tenta di strappare loro un pezzetto d’abito o una ciocca di capelli per ricordo, ma c’è anche chi lancia oggetti e brandisce bastoni con l’evidente scopo di colpire per far male. È la vendetta di Marcos che si materializza in questo modo. In tutta l’area dell’aeroporto non c’è più un solo agente in divisa. Protetti più dalla velocità delle gambe che dai loro collaboratori i quattro si riparano in un locale di difficile accesso. Potranno imbarcarsi sull’aereo soltanto dopo l’intervento della rappresentanza diplomatica britannica e grazie all'aiuto materiale e alla protezione di un nutrito gruppo di volontari scelti tra il personale dell’aeroporto.



04 luglio, 2019

4 luglio 1934 – Gegè Munari, un batterista jazz targato Napoli


Il 4 luglio 1934 nasce a Fratta Maggiore, in provincia di Napoli, il batterista Gegé Munari, all'anagrafe Eugenio Commonara, uno dei jazzisti più illustri della scuola napoletana. Lui è il secondo batterista di una famiglia di musicisti. Il primo è Pierino, mentre il padre suona il contrabbasso e il fratello Armando si alterna tra clarinetto, sassofono e violino. Quando nel 1944 arrivano gli alleati nella sua terra lui ha dieci anni ma è già inserito nella band famigliare nel ruolo di ballerino intrattenitore. La sua specialità è la "claquette", una sorta di tip tap veloce. All'inizio degli anni cinquanta diventa batterista. Per un po' sostituisce suo fratello Pierino poi si unisce a vari gruppi da ballo di Napoli, ma la sua passione non è la musica leggera. All'inizio degli anni Sessanta se ne va a Roma per dedicarsi quasi esclusivamente al jazz. Nell'inverno del 1964 suona al "Purgatorio" di Roma con una band di talenti che comprende, oltre a lui, Gato Barbieri, Enrico Rava, Franco D'Andrea e Gianni Foccià. La sua collaborazione con Barbieri continua l'anno successivo con la pubblicazione della colonna sonora del film "Una bella grinta", scritta da Piero Umiliani. Partecipa anche al festival di Bologna con Annie Ross e nella stagione invernale con Foccià e il pianista sudamericano Delgado Aparicio fa parte della struttura ritmica fissa che accompagna i grandi jazzisti ospiti del "Clubino" di Roma, come Sal Nistico, Dusko Gojkovic, Milt Jackson e altri del. Nel 1967 è tra i protagonisti dell'esperienza della Swingin' Dance Band di Marcello Rosa. La sua batteria accompagna anche i tout di Martial Solal e Lee Konitz. Quest'ultimo lo vuole con sé anche nella realizzazione dell'album Stereokonitz. Molto apprezzato nell'ambiente jazz accompagnerà alcuni tra i maggiori protagonisti della scena musicale internazionale, da Mary Lou Williams a Jon Hendriks, a Dizzy Reece, a Johnny Griffin, a Dexter Gordon, a Chet Baker, ad Art Farmer e molti altri.



02 luglio, 2019

3 luglio 1969 – Una data per gli Environs


Nel 1989, dopo la fine dell'esperienza dei Franti, il chitarrista, sassofonista e cantante Stefano Giaccone e la cantante Lalli formano a Torino un gruppo aperto che si muove sulla stessa strada del vecchio gruppo, amalgamando impegno politico e ricerca musicale. Dopo un singolo con le versioni di No man can find the war di Tim Buckley e di Todavia cantamos di Heredia Sosa, pubblicano un album che ha per titolo la data del 3 Luglio 1969. Nel disco vengono, tra l'altro, proposte versioni di Close Watch di John Cale e di My Funny Valentine di Rodgers e Hart. L’esperienza instabile degli Environs lascia un nuovo segno l’anno dopo, nel 1990 quando pubblicano l’album Cinque pezzi che raccoglie le musiche di Stefano Giaccone e Toni Ciavarra per l'"Antigone" messa in scena a Torino dalla compagnia teatrale Rote Fabrik.

2 luglio 1987 – Muore la mamma di Sting


Il 1987 è un anno di svolta nella carriera e nella vita di Sting. In primavera si ritira in isolamento per scrivere il materiale destinato al suo nuovo album. Quando, alla fine di giugno, sta ormai per entrare in sala di registrazione viene raggiunto dalla notizia che sua madre, da tempo malata di cancro, è in fin di vita. Il 2 luglio la donna, cui l’ex leader dei Police è molto legato, si spegne e questo fatto lo segna profondamente. Per non richiamare troppa folla intorno a un evento che considera strettamente personale è costretto a disertare i funerali. Nel frattempo la realizzazione del disco procede a rilento, un po’ per l’irrequietezza del cantante, un po’ per i numerosi impegni cui deve far fronte. Sempre in luglio tiene uno straordinario concerto con l’orchestra di Gil Evans allo stadio di Perugia dove si esibisce in occasione di “Umbria Jazz 1987”. A novembre vede finalmente la luce il nuovo album Nothing like the sun che arriva rapidamente al vertice delle classifiche dei dischi più venduti in quasi tutti i paesi d’Europa. Tra i brani più significativi dell’album c’è Fragile, una canzone di chiara ispirazione sudamericana la cui tristezza, più di altre, rispecchia lo stato d’animo del cantante. Qualche mese dopo il brano, insieme ad altri quattro tra cui la famosa They dance alone, dedicata alle madri dei desaparecidos argentini, verrà pubblicato anche in spagnolo, con il titolo di Fragilidad, nell’album Nada como el sol.


01 luglio, 2019

1 luglio 1971 – Bobby Donaldson la batteria del jazz tradizionale


Il 1° luglio 1971 muore a New York il batterista Bobby Donaldson uno dei migliori batteristi che il jazz tradizionale abbia avuto. Nato a Boston, nel Massachusetts, il 29 novembre 1922 il suo nome completo è Robert Stanley Donaldson. Cresciuto in una famiglia di musicisti studia musica fin da ragazzo e ottiene le sue prime scritture tra il 1939 e il 1941 con varie orchestre della sua città natale tra cui quella di Tasker Crosson. Durante il servizio militare suona con Russell Procope e successivamente con Cat Anderson. Nel 1947 perfeziona negli studi musicali alla Schillinger House e verso la fine degli anni Quaranta lavora con Paul Bascomb e con Willis Jackson. Tra il 1950 e il 1952 è con l'orchestra del clarinettista Edmond Hall al Café Society di Boston. Nella prima metà degli anni Cinquanta è attivissimo e suona, spesso in contemporanea, con le orchestre di Sy Oliver, Lucky Millinder e Andy Kirk. Successivamente la sua batteria scandisce il ritmo delle orchestre più prestigiose dell’epoca come quelle di Buck Clayton, con cui suona al “Basin Street" di New York, Benny Goodman, Red Norvo, Eddie Condon; Ruby Braff e Mel Powell solo per citare le più conosciute. Instancabile, nel 1957 i Seven Avenue Stompers, una band di stampo dixieland, composta da musicisti dotati come Emmett Berry, Vic Dickenson, Buster Bailey, Red Richards e Al Lucas, con la quale registra anche una serie di dischi per la World Wide e la Savoy.

30 giugno, 2019

30 giugno 1963 – Yngwie Malmsteen, il chitarrista metallico che ama Bach


Il 30 giugno 1963 nasce a Stoccolma, in Svezia, il chitarrista Yngwie Malmsteen, uno dei più apprezzati chitarristi heavy metal degli anni Ottanta. Già a otto anni la sua principale passione è la chitarra. I genitori, lungi dall'ostacolarlo, lo mettono in contatto con i migliori maestri di quello strumento. La sua formazione musicale è intensa e decisamente classica. «Ascoltavo Bach e Mozart, ma non disprezzavo neanche i gruppi del rock progressivo che arrivavano in Svezia, come i Deep Purple e i Pink Floyd.» Quando a quattordici anni forma la band dei Rising ha già alle spalle una breve esperienza con i Powerhouse. Periodicamente registra le sue performance su nastri che invia poi in ogni parte del mondo ai talent scout delle case discografiche. Il primo ad accorgersi di lui è Mike Varney, che gli telefona e lo convince a raggiungerlo a Los Angeles città dove, gli dice, «c'è fame di buoni chitarristi». Il ventenne Yngwie se ne va così dall'altra parte dell'oceano e ottiene la sua prima scrittura come chitarrista degli Steeler di Ron Keel. Le sue virtù attirano l'attenzione di band di primo piano della scena heavy degli States, ma tra tutte le proposte lui accetta quella del cantante Graham Bonnet, che ha alle spalle un paio d'esperienze interessanti con i Rainbow e con il Michael Schenker Group. I due formano così gli Alcatrazz, con il bassista Gary Shea, il batterista Jan Uvena e il tastierista Jimmy Waldo. L'avventura non dura molto perché, nel 1984, dopo un paio di album Yngwie saluta e se ne va. Intenzionato a non farsi più imprigionare in schemi troppo rigidi forma una propria band d'accompagnamento, i Rising Force, e debutta come solista. L'album si intitola Rising force come il nome della sua band. Il pubblico e la critica mostrano di gradire le sue scelte a anche gli album successivi vengono accolti bene. Quando tutto sembra andare ormai per il verso giusto nel 1987 Yngwie resta fermo per un lungo periodo con un braccio bloccato dai postumi di un grave incidente stradale. Si riprende l'anno dopo e nel 1989 va in Unione Sovietica a registrare in due tornate successive lo splendido live Trial by fire - Live in Leningrad con Barry Dunaway al basso. Gli anni Novanta e la sostanziale ripetitività dell'heavy metal lo stimoleranno a cimentarsi su altre strade come la realizzazione dell'album No mercy, contenente una lunga serie di brani classici eseguiti con l'accompagnamento di un'orchestra di strumenti a corda. Nonostante tutto, però, non rinnegherà mai il furore del metallo che gli ha dato la notorietà.


29 giugno, 2019

29 giugno 1910 – Il colonnello Parker, dal circo a Elvis


Il 29 giugno 1910 nasce in West Virginia Tom Parker soprannominato "Il Colonnello", l'artefice principale del successo di Elvis Presley di cui resta confidente, consigliere e manager per tutta la carriera e del cui mito continuerà a occuparsi anche dopo la sua morte. Praticamente dalla nascita Parker cresce nell'ambiente del circo e quando si può reggere da solo sulle gambe si occupa di svariate incombenze in una sorta di spettacolo itinerante messo in piedi da suo zio e che gira l'America con il nome di "The Great Parker Pony Circus". Per lungo tempo la sua vita scorre nell'ambiente delle attrazioni viaggianti, dei saltimbanchi e dei circhi, prima come addetto stampa e, dagli anni Quaranta, come impresario e promotore di spettacoli in cui i numeri da circo si alternano a intermezzi country. Diventa così manager di vari esponenti di spicco del country di quel periodo come Hank Snow ed Eddy Arnold. La sua decisione, venata da malcelate inclinazioni autoritarie gli valgono nel 1953 titolo onorifico di "colonnello", che gli viene ufficialmente conferito nel corso di una spiritosa cerimonia svoltasi nel 1953 in Tennessee e che gli resterà appiccicato per tutta la vita. Una sera, dopo averlo ascoltato in concerto nell'Arkansas, offre i suoi servigi a Elvis Presley. Nel novembre del 1955 mette a segno il suo primo colpo vendendo il contratto già firmato da Presley con la Sun Records alla RCA Victor. La sua influenza determina anche l'atteggiamento da tenere in alcune scelte cruciali della sua vita di Elvis. È Parker che gli suggerisce di non sottrarsi al servizio di leva e di continuare a pagare le tasse anche quando risiederà alle Hawaii, perché questo è quello che deve fare ogni "buon americano". È sempre lui che quando il rock and roll inizia a declinare lo convince a dedicarsi maggiormente al cinema e alla sua intuizione si deve, passata la buriana del beat, il ritorno sensazionale di Elvis sulla scena musicale alla fine degli anni Sessanta. Il "Colonnello" Parker è tuttora considerato l'esempio del perfetto manager dello show-businnes statunitense. In realtà il suo lungo legame con Elvis Presley è la dimostrazione dell'intelligenza di entrambi che fa sì che lo spirito di collaborazione tra l'ex impresario circense e la star del rock and roll rimanga inalterato anche dopo il successo planetario del cantante. Alla morte di Presley sarà sempre il "Colonnello" Parker, per lungo tempo affiancato dal padre di Elvis, a occuparsi dell'immagine e degli interessi commerciali legati al suo mito. Muore a Las Vegas il 21 gennaio 1997.



28 giugno, 2019

28 giugno 1950 – Jaybird, un bluesman dell'Alabama


Il 28 giugno 1950 muore a Tuskegee, in Alabama, il leggendario cantante, armonicista e chitarrista blues Jaybird Coleman. Ha soltanto cinquantaquattro anni, ma ne dimostra molti di più. La vita di strada ha, infatti, lasciato segni pesanti sul suo corpo, in particolare sul volto e sulle mani. Nato nel 1986 a Gainesville, viene registrato all'anagrafe con il nome di Burl C. Coleman e, salvo per il periodo del servizio militare, si può dire che raramente abbia varcato i confini dell'Alabama. Sulle polverose strade dello stato che l'ha visto crescere, infatti inizia a soffiare in una vecchia armonica raccattata chissà dove quando non ha ancora compiuto dodici anni. Lo fa così bene che il numero degli ascoltatori aumenta ogni volta. Con i primi soldi della questua si procura anche una vecchia chitarra che impara a suonare da solo. I suoi due strumenti lo seguono anche nel lungo periodo passato sotto le armi. Quando viene congedato, nel 1918 si trasferisce a Bessemer, una cittadina nei pressi di Birmingham. Le comunità nere della zona ne fanno un idolo locale e gli regalano il nome d'arte di Jaybird. Pur entrando nella formazione della Birmingham Jug Band non rinuncia al piacere di esibirsi da solo ogni volta che sia possibile. La strada è il suo regno, le feste un'occasione di lusso per esibirsi. Non ci sono ricorrenze famigliari o cerimonie varie che non lo vedano protagonista. La sua popolarità non conosce limiti e un giorno riesce a ottenere anche un modesto contratto discografico. Incapace di adattarsi alle regole ferree delle sale di registrazione Jaybird registra quando può e, soprattutto, quando non ha niente di meglio da fare. Nonostante tutto nel 1927 la Gennett pubblica i suoi primi dischi. Tre anni dopo, terminata una seduta per la Columbia con la Birmingham Jug Band decide di chiudere con i dischi. Ritorna a vagabondare e accompagna fino alla morte lungo le strade dell'Alabama la cognata Lizzie Coleman, cantante e intrattenitrice.



26 giugno, 2019

27 giugno 1970 – Lady Barbara


Il 27 giugno 1970, sull'onda del successo ottenuto alla manifestazione "Un disco per l'estate", arriva al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Italia il brano Lady Barbara. La interpreta Renato Brioschi o, come recita la copertina del disco, Renato dei Profeti, dal nome della band di cui è leader. Resterà al vertice delle classifiche di vendita per oltre quattro mesi, ispirerà un film omonimo e diventerà una delle canzoni simbolo di quello che qualcuno, con un po' d'azzardo, chiamerà "pop sinfonico italiano". Il brano, in realtà, è una furba operazione d'aggancio con le sonorità del pop inglese di quel periodo: una melodia romantica supportata da un sontuoso arrangiamento in stile sinfonico, ricco d'archi. Lady Barbara segna la definitiva rottura tra il cantante e la sua band, che proseguirà in proprio. Il buon Renato, non più "dei Profeti", non riuscirà più a bissare lo straordinario successo del suo debutto come solista, anche se pian piano comincerà a farsi apprezzare come autore e produttore. Nel 1975 una sua canzone, Giochi senza età, passata quasi inosservata in Italia diventerà un grande successo in terra di Francia con il titolo La peure d'aimer nell'interpretazione di Jean Chevalier, il figlio del famoso Maurice. La vicenda si ripete qualche anno dopo quando un altro brano, Io voglio vivere viene snobbato dai discografici italiani ma diventa un successo internazionale nella versione francese di Gerard Lenorman. Come produttore è stato uno dei primi a credere in Eros Ramazzotti e, soprattutto, ha rischiato operazioni di qualità anche se non baciate dal successo, come la produzione di Gunfire, l'unico disco da solista del batterista Andy Surdi. La sua carriera di cantante sembra, invece, contraddire il coraggio dimostrato in altri campi. Costretto a ripetere all'infinito Lady Barbara per un pubblico in vena di ricordi, nel 1986 accetta persino di partecipare alla "reunion" nostalgica dei Profeti.


25 giugno, 2019

26 giugno 1976 – Parco lambro, l’ultima Festa del Proletariato Giovanile


Il 26 giugno 1976 al Parco Lambro di Milano si apre la VI Festa del Proletariato Giovanile. Sesta e ultima. Organizzata dalla mitica e discussa testata dell’underground milanese Re Nudo con l’adesione di altre riviste come Falce e martello, A Rivista Anarchica, Umanità Nova e Rosso nonché di organizzazioni come il Partito Radicale, Lotta Continua e la IV Internazionale, promette «tre giorni di musica, cultura e dibattito politico». Come spesso accade le sigle non significano niente. Ogni ragazza e ogni ragazzo che confluisce in quell’immenso e spelacchiato spiazzo dove la terra e la polvere finiscono rapidamente per avere il sopravvento sulle sparute zolle d’erba rappresenta, innanzitutto se stessa o se stesso e la propria storia. Non è una festa asettica né viene percepita come tale, ma la vera molla della partecipazione è l’idea di passare cinque giornate in una sorta di paradiso possibile dove l’impegno politico e la gioia di vivere si mescolano con musica e divertimento. Se si fa l’analisi politica delle appartenenze ci sono gli anarchici, i radicali, i trotzkisti, quelli di Lotta Continua e dell’autonomia, tutti rappresentati nel cartello organizzatore, ma non mancano gruppi nutriti e visibili di militanti dell’MLS o di Avanguardia Operaia, giovani iscritti al PCI e al PSI, hippies un po’ fuori tempo e un gran numero di ragazzi e ragazze arrivati fin lì per esserci, vedere che cosa succede, ascoltare la musica e farsi sostanzialmente i fatti propri. I tempi sono frizzanti. Nelle elezioni politiche il PCI, che l’anno prima ha trionfato nelle consultazioni regionali cogliendo i frutti del clima nuovo che si respira nel paese, ha sfiorato il sorpasso della DC. La complicata e variegata galassia delle organizzazioni extraparlamentari di sinistra sta discutendo sulla possibilità di unificare gli sforzi per spostare in avanti teoria, prassi, comportamenti e vanità. Tra gli organizzatori (o in gran parte di essi) si dà quasi per scontato che il “dibattito” sull’argomento sia una passione che finirà per attraversare quasi per grazia divina tutto quel magma che viene definito “proletariato giovanile”. Molte sono le voci che vedono in questa definizione una sorta di nuovo soggetto politico da contrapporre a quello di “classe” e in ogni caso quasi tutti sono convinti che l’appuntamento al Parco Lambro debba essere per forza uno snodo fondamentale di questo dibattito. Chi osa soltanto pensare che il “proletariato giovanile” più che un concetto politico sia solo una semplificazione linguistica per definire una realtà frammentata e complessa di umori, speranze, bisogni, passioni e (perché no?) indifferenze, viene tacciato sostanzialmente di disfattismo. L’elemento centrale dell’evento dovrebbe essere, comunque, la musica. Tanta, buona e militante. Tutti gli artisti in programma, con l’eccezione parziale dell’unica “star” internazionale Don Cherry, sono accasati con etichette che oggi si chiamerebbero “indipendenti” (Ultima Spiaggia, Cramps, Intingo solo per citare le più note). Tra gli artisti annunciati ci sono, oltre al già citato Don Cherry, Sensations’ Fix, Ricky Gianco, Eugenio Finardi, Taberna Mylaensis, Canzoniere del Lazio, Area, Tony Esposito, Agorà, Carrozzone, Paolo Castaldi, Gianfranco Manfredi e un’infinità di improvvisate. Nessuno di loro percepisce il becco di un quattrino salvo un rimborso garantito soltanto a chi non è accasato con nessuna casa discografica. La scelta “indipendente” è rigorosa anche nella scelta di affidare la registrazione dei concerti all’etichetta “indipendente” Laboratorio che poi ne pubblicherà una parte nell’album Parco Lambro. Il cuore pulsante di quello che oggi chiameremmo con un po’ di disinvoltura “evento” è o dovrebbe essere la musica da vivere nella più completa libertà in un’area libera dalle suggestioni del capitale e, almeno in teoria, della società dei consumi. Gran parte dei ragazzi e delle ragazze che arrivano lì hanno in mente questo. Contrariamente a quanto scritto in postume esaltazioni, ma anche in postume denigrazioni, l’ingresso non è libero. C’è una tessera per tutte le giornate che costa 1.000 lire. Dà diritto all’ingresso e basta. Per la verità occorre riconoscere che con il procedere delle ore e delle giornate il numero di chi passa senza pagare nulla da varchi improvvisati tenderà a crescere. Il servizio d’ordine messo in piedi dagli organizzatori infatti, soprattutto negli ultimi giorni, è più occupato a sedare o a collaborare ai vari tumulti per occuparsi di portoghesi e autoriduttori o per presidiare militarmente il recinto che cinge il parco. Con o senza biglietto chi entra si trova in una sorta di grande e colorata fiera di stand politici e commerciali, iniziative, proposte e momenti di discussione, divertimento o anche soltanto di chiacchiera. Gli stand politici offrono materiale vario e anche vettovaglie e bevande a prezzi inizialmente modici e comunque inferiori a quelli dei chioschi affittati ai privati. I luoghi destinati alla musica sono fondamentalmente due: il palco centrale per i concerti degli artisti “da cartellone” e un prato laterale per le improvvisazioni e la musica acustica. Lo stesso prato ha il compito di ospitare anche dibattiti, spettacoli, teatrali, massaggi e momenti di meditazione collettiva. Nelle intenzioni e anche nella dislocazione la VI edizione della Festa del Proletariato Giovanile sembra davvero aver fatto tesoro delle esperienze precedenti visto che solo pochi anni prima sulle rive del Ticino a Zerbo in provincia di Pavia il “proletariato giovanile” si erano ritrovato, per dirla con Finardi, «a fare Woodstock sulla riva del fiume» attrezzati con acqua, sole e poco altro. Insomma, tutto dovrebbe andare per il verso giusto, ma non è così. Fin dalla sua costruzione la VI Festa del Proletariato Giovanile sembra nascere sotto nefasti auspici. Il Comune di Milano, che pure concede l’uso del Parco, nega l’allacciamento dell’acqua e decide di non svolgere il servizio di pulizia concordato. Per l’acqua in qualche modo si supplisce anche perché il cielo spesso fa le bizze, ma per la pulizia ben presto il fai da te lascia spazio al più prevedibile letamaio diffuso. I dispetti del Comune non finiscono qui visto che, inopinatamente, arriva anche a interrompere la fornitura di energia elettrica. Per metterci una pezza gli organizzatori sono costretti a noleggiare generatori e ad aggiustarsi con allacciamenti di fortuna. Tutto questo sotto una pioggia battente e di fronte a decine di migliaia di persone arrivate nel pomeriggio e costrette ad attendere per ore tra acqua e cavi sparsi l’inizio dei concerti. Nonostante tutto la Festa parte e la musica riesce a far dimenticare i piccoli inconvenienti. Le difficoltà, però, se da un lato rendono epiche le giornate e i concerti, dall’altro fanno da catalizzatore delle differenze e del nervosismo latente che attraversa i rapporti tra i vari gruppi che compongono quello che oggi definiremmo “movimento”. Le contraddizioni si mutano in conflitto e la dialettica muore di fronte al vibrare della violenza. A dispetto delle ricostruzioni un po’ forzate va subito detto che la maggioranza dei ragazzi arrivati al Parco Lambro non è direttamente protagonista degli episodi più inutili e odiosi. La parte musicale finisce per diventare un’oasi di ristoro e viaggia per conto suo mentre la maionese della politica impazzisce e invece di amalgamarsi finisce per separare irrimediabilmente i suoi componenti. L’idea di una Festa che si trasforma in una rissa generale è stata inventata dai media dell’epoca e anche dall’eccessiva enfasi data da ogni gruppo alle responsabilità degli “altri”. Il casino coinvolge una frangia corposa ma non la totalità dei partecipanti che osserva con curiosità e qualche volta con stizza quel che accade. Tutto accade nel secondo giorno. La situazione precaria delle strutture e l’afflusso di persone superiore a quello previsto fanno sì che gli stand (anche quelli politici) si adeguino rapidamente alle leggi di mercato applicando consistenti aumenti a panini e bevande (una lattina di birra vine portata a 350 lire da tutti). La stessa regola, con qualche aggiustamento verso l’alto, viene applicata anche dallo stand dei polli arrosto per recuperare le perdite subite con il cattivo funzionamento dell’impianto elettrico. Il disagio provocato da queste decisioni invece di essere risolto con una discussione che coinvolga tutti, compresi i gruppi politici che nei loro stand si sono adeguati all’andazzo generale, provoca la rottura del fragile equilibrio tra le componenti. Ciascuno cerca di egemonizzare la protesta per proprio conto. Il gioco a “chi ce l’ha più lungo” vede un’escalation di azioni “esemplari”. La più pericolosa è il tentativo di esproprio proletario al vicino Supermercato di Via Feltre, che rischia di dare il pretesto alla polizia per entrare nel parco affollato da migliaia di ragazzi e ragazze arrivati solo per la musica. Poi ci sono le “bravate” inutili come l’assalto alla “Capanna dello Zio Tom”, uno storico chiosco del parco, e il saccheggio del furgone che trasporta i polli surgelati destinato a diventare il simbolo negativo delle giornate. Infine ci sono le cazzate, vale a dire, regolamenti di conti interni ai servizi d’ordine e ai militanti delle varie organizzazioni con qualche pestaggio sparso e la distruzione totale dello stand del FUORI, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, per la prima volta presente e non senza discussioni alla Festa. L’unica iniziativa utile appare l’occupazione del vicino Istituto “Molinari” che consente ai partecipanti di non passare la notte sotto la pioggia. L’esplosione violenta delle contraddizioni lascia tracce pesanti sulla Festa e non solo perché evidenzia come il grosso dei partecipanti non si sia lasciato coinvolgere dalle “paturnie” e dagli scazzi, ma perché il rischio è che salti tutto. Viene quindi indetta un’assemblea per decidere il da farsi. Inizia nel prato destinato ai dibattiti ma poi, vista la scarsa partecipazione, si trasferisce sul Palco Centrale per “coinvolgere tutti”. In realtà non riesce ad appassionare il grosso dei ragazzi e delle ragazze e quando poco più di un migliaio votano per alzata di mano la stragrande maggioranza decide che è tempo di smetterla con le cazzate e di andare avanti con la musica. I concerti continuano e restano nel cuore di chi ci è stato come una gemma preziosa da portare nel proprio scrigno dei ricordi. Non così per le valutazioni politiche di fatti che vedono la rottura in mille rivoli del movimento. Alcuni degli artisti presenti mettono in musica questi concetti. E se Gianfranco Manfredi canta lo sgomento di fronte al riemergere delle divisioni («E stiamo tutti insieme, ma ognuno sta per sé/la ricomposizione si sogna ma non c’è/ognuno nel suo sacco o nudo fra il letame/solo come un pulcino bagnato o come un cane») Eugenio Finardi va giù duro e diretto («All’alba del ‘76 il mito era crollato/perso nei calci a un pollo surgelato/tra fiumi di cazzate nella foga del momento/ci si prende a sprangate anche dentro al movimento»). Negli anni successivi in molti rifletteranno su quegli episodi a partire dallo stesso Andrea Valcarenghi, deus ex machina della Festa, fondatore e direttore di “Re Nudo” che in “Non contate su di noi” scrive «Nessuno ipotizzò quello che sarebbe successo, nessuno accennò alla possibilità che la proiezione collettiva dei fantasmi della disperazione avrebbe materializzato mostri da combattere. Nessuno previde che per tanti di noi ancora è necessario darsi un nemico esterno per potere sentirsi uniti contro qualcosa o qualcuno…». C’è il senso della delusione e dello sfacelo in quelle anche l’analisi non si può concludere lì. La VI Festa del Proletariato Giovanile ha messo a nudo le contraddizioni e i limiti delle organizzazioni extraparlamentari e l’incapacità di percepire le diversità come un valore. Ha messo in discussione l’idea della continua frantumazione organizzativa pian piano degenerata in una sorta di guerra per bande poco politica e molto adolescenziale (indipendentemente dall’età dei partecipanti). Scrive Marisa Rusconi nell’introduzione al libro fotografico “La Festa del Parco Lambro”: «…Proprio lì, dallo sfacelo del mito di un certo modo di stare insieme... c’era già l’embrione di un nuovo movimento, o meglio, della trasformazione del movimento e della sua separazione in diversi filoni, spesso contraddittori…». Ecco, forse la chiave è proprio lì. Nel giugno 1976 finiva un’epoca e ne iniziava un’altra. Il crocevia era nel Parco Lambro anche se, come spesso succede, chi c’era non poteva accorgersene.