Il 2 dicembre 1990 muore Sergio Corbucci, un grande creatore di pellicole di successo. La sua morte avviene a Roma la stessa città in cui è nato il 6 dicembre 1927. Non ha ancora vent’anni quando entra in contatto con il mondo del cinema lavorando come giornalista. Le sue prime esperienze sul campo iniziano nei primi anni Cinquanta quando diventa aiuto di un celebre artigiano del cinema dell’epoca come il regista Aldo Vergano. Varie sceneggiature prevalentemente di commedie precedono il suo debutto alla regia nel 1951 con il drammone Salvate mia figlia. Dotato di un buon intuito e di un notevole eclettismo si cimenta con successo nei generi più disparati. Il primo grande successo arriva nel 1961, con I due marescialli, una commedia degli equivoci interpretata da Totò e Vittorio De Sica. Tra i principali protagonisti della stagione del western all’italiana ottiene negli anni successivi grandi successi dirigendo attori come Giancarlo Giannini, le coppie Renato Pozzetto – Adriano Celentano, Vittorio Gassman – Paolo Villaggio e Bud Spencer Terence Hill, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni, Laura Antonelli, Enrico Montesano e molti altri. Con i suoi amici Sergio Leone e Duccio Tessari è stato considerato uno dei migliori esponenti del western all’italiana, genere nel quale gioca a rovesciare gli stereotipi fissando nuove regole destinate a essere superate dalla pellicola successiva. Se in Django la scelta è quella di portare all’estremo la concezione dell’antieroe, in Johnny Oro del 1966 porta nella storia un branco di cattivissimi apaches rompendo la convenzione tacita dei western all’italiana che esclude di ricalcare la contrapposizione tutta statunitense tra “indiani e cow boy”. L’anno dopo si ripete con Navajo Joe un film che ha per protagonista un indiano interpretato dal quasi debuttante Burt Reynolds. Il gusto per l’azzardo narrativo lo porta a far vincere il cattivo e morire il buono ne Il grande silenzio del 1969 mentre le scommesse sui personaggi lo spingono a far debuttare la rockstar francese Johnny Halliday nel ruolo da protagonista ne Gli specialisti, sempre del 1969.
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio. Un po' come il comunismo.
02 dicembre, 2019
01 dicembre, 2019
1° dicembre 1914 – Nasce la Maserati
Il 1° dicembre 1914 Alfieri Maserati, un giovanotto di origini vogheresi con la passione delle corse automobilistiche, apre a Bologna la Società Anonima Officine Alfieri Maserati un’Officina Meccanica autorizzata a dare assistenza alle vetture prodotte dalla Isotta-Fraschini. Alfieri è considerato una sorta di “mago” della meccanica e un geniale inventore. A lui si deve una candela d’accensione per motori a scoppio prodotta in serie in una fabbrica a Milano. Trasportata anche la produzione di candele in quel di Bologna, inizia a lavorare sui motori. Proprio montando sul telaio di un’auto della Isotta-Fraschini un motore aereo Hispano Suiza realizza la sua prima vettura vincente. Nel 1924 su incarico della Diatto progetta e costruisce un motore di 2000 cc, innovativo per quei tempi. Lo monta su una vettura della casa e, indossati casco e occhialoni, lo porta alla vittoria nella Parma-Poggio di Berceto. Quella che era una sorta di passione diventa l’attività prevalente. I motori di Alfieri Maserati sono competitivi e vincenti. Nel suo lavoro non è solo. Con lui ci sono i fratelli Ettore, Ernesto e Bindo, che nel 1932 lascerà la Isotta-Fraschini per aiutare i fratelli dopo la prematura morte di Alfieri. Ai tre va aggiunto anche Mario, che pur non essendo meccanico ma pittore contribuirà a suo modo alla causa comune disegnandone il marchio del Tridente ispirato alla statua di Nettuno di Bologna. Proprio nell’officina bolognese nel 1926 vede la luce la prima vettura interamente progettata in casa, la Maserati Tipo 26. La morte di Alfieri cambia le prospettive dell’azienda con l’emblema del tridente sul cofano. I fratelli nel 1937 cedono le Officine Alfieri Maserati e la Fabbrica Candele Maserati, ad Adolfo e Omer Orsi, industriali siderurgici Modenesi, mantenendo però il ruolo di responsabili tecnici della marca fino al 1947. In quell’anno, liberi dal contratto con Orsi fonderanno la OSCA (Officine Specializzate Costruzione Automobili) un’azienda con la sede in San Lazzaro di Savena che costruirà piccole Sport Cars e si cimenterà anche nelle corse in Formula 2.
30 novembre, 2019
30 novembre 1957 – Beniamino Gigli, il più grande tenore
Il 30 novembre 1957 muore a Roma Beniamino Gigli. Considerato uno dei più grandi tenori di tutti i tempi nasce il 20 marzo 1890 a Recanati e fin dalla più tenera età mette in mostra notevoli qualità vocali. Le umili condizioni della famiglia, però, sembrano costituire un ostacolo alla sua carriera. Nel 1911, insieme al fratello si trasferisce a Roma e, dopo varie peripezie, riesce a entrare al liceo musicale di Santa Cecilia. Nel 1914, dopo essersi diplomato a pieni voti, vince a Parma il concorso per cantanti lirici che segna l'inizio della sua straordinaria carriera di tenore. Il 15 ottobre 1914 debutta a Rovigo ne “La gioconda”, cui segue la “Manon” di Massenet al Teatro Carlo Felice di Genova. Da quel momento la sua popolarità cresce a dismisura. Nel numero di maggio del 1924, Musical America, la più autorevole rivista internazionale di musica di quegli anni, lo proclama “il più grande tenore del mondo”. Parallelamente alla carriera di tenore lirico sviluppa un’intensa attività nel campo della musica leggera e anche il cinema si accorge di lui e ne fa un divo di film musicali come “Non ti scordare di me” nel 1935 e “Mamma” nel 1940. Tra le sue interpretazioni più famose, nel campo della musica leggera, oltre a un vasto repertorio di canzoni napoletane ci sono brani come Mamma, Ave Maria, Non ti scordar di me e La canzone del cuore.
29 novembre, 2019
29 novembre 1917 - Nat Gershman, un violoncello prestato al jazz
Il 29 novembre 1917 nasce a Philadelphia il violoncellista Nathan Gershman detto Nat. Cresciuto in una famiglia di musicisti (suo fratello è un noto violinista) comincia a studiare musica da ragazzo, perfezionandosi al Curtis Institute of Music di Philadelphia. Prima di passare alla musica leggera e al jazz si dedica attivamente per molti anni alla musica classica, esibendosi dal 1940 al 1947 anche con la Cleveland Symphony Orchestra. Trasferitosi a New York all'inizio degli anni Cinquanta lavora intensamente come musicista di studio per varie stazioni radio-televisive e partecipando a varie sedute di registrazione con jazzisti di primo piano. La prima vera occasione per farsi conoscere dal pubblico arriva all'inizio del 1958 quando raggiunge Los Angeles per entrare a far parte del gruppo di Chico Hamilton, che con Fred Katz ha già sperimentato con successo l’utilizzo nel jazz del violoncello. Con il quintetto di Hamilton Nat Gershman lavora intensamente per diversi anni, partecipando ai maggiori festival e registrando una nutrita serie di dischi, tra i quali spiccano quelli pubblicati dalla Warner Brothers con la partecipazione di Eric Dolphy il cui flauto si integra magistralmente con le armonie ricamate dal violoncello di Gershman, contribuendo a creare un suono originale e suggestivo.
28 novembre, 2019
28 novembre 1969 – Le tute blu invadono Roma
Il 28 novembre 1969 la mobilitazione dei metalmeccanici, impegnati in una difficile trattativa per il contratto tocca il culmine quando centomila lavoratori e lavoratrici arrivati con cinque treni speciali e centinaia di pullman sfilano per la prima volta nella vie di Roma in una grande manifestazione nazionale. È la risposta delle organizzazioni sindacali alla rottura delle trattative voluta dalla Confindustria. Al centro delle manifestazioni non c’è soltanto la richiesta di un aumento dei salari che sono tra i più bassi d’Europa ma la stessa qualità del lavoro. In quel periodo, come denuncia l'allora segretario della CISL, Pierre Carniti, sui luoghi di lavoro «...in Italia c'è un morto ogni ora, un invalido ogni venti minuti, un infortunio ogni 4 secondi». Sono soprattutto le giovani generazioni a chiedere il rispetto dei diritti e della dignità umana. Dopo il 1968, l’anno che ha segnato l’inizio anche in Italia della contestazione studentesca con l’occupazione delle scuole e delle università, nel 1969 irrompono sulla scena gli operai. Ricorda Pio Galli che «...La manifestazione esplodeva in un crescendo di rumori – campanacci, tamburi, fischietti, megafoni – che turbava l’ordine di una città abituata a ignorare i sacrifici, l’emarginazione, il logoramento fisico e psichico della vita in fabbrica. Ma era anche una festa, un momento di liberazione dal vincolo e dalla disciplina del lavoro alla catena, un’espressione di sé negli slogan gridati e scritti sui cartelli, nei pupazzi portati in corteo. In piazza del Popolo, all’imbrunire, si accesero migliaia di fiaccole. Un elicottero della polizia ci sorvolava, provocando fischi e reazioni. Dal palco dissero che la televisione stava filmando la manifestazione. Quel giorno non cadde un vetro. Centomila metalmeccanici avevano preso possesso della città e sfilato per ore, senza che accadesse un incidente. Dal dopoguerra ad oggi non c’erano mai state manifestazioni a Roma…un corteo operaio possente, composto e determinato fece impressione. I metalmeccanici cominciavano a contare…»
27 novembre, 2019
27 novembre 1981 – Non registrate!
Il 27 novembre 1981 Elton John, Gary Numan, Cliff Richard, i 10CC e i Boomtown Rats sono i testimonial di una curiosa, quanto martellante campagna pubblicitaria lanciata dalla British Phonographic Industry, l’associazione che raggruppa quasi tutte le più importanti case discografiche britanniche, denominata “Home taping is killing music” (la riproduzione casalinga uccide la musica). L’obiettivo dichiarato della campagna è quello di contenere il fenomeno della riproduzione su cassette dei dischi, ritenuto uno dei principali motivi di un gravissimo calo delle vendite di materiale musicale che sta mettendo in crisi anche le grandi case discografiche. In realtà, come spesso accade, quella che viene individuata come causa non è che l’effetto di una grave crisi mondiale non solo economica dell’intero settore. All’inizio degli anni Ottanta le major discografiche, dopo aver contrastato ferocemente le iniziative indipendenti e autogestite che negli anni precedenti avevano guidato le innovazioni caricandosene i rischi, non sanno più che pesci pigliare. A questo va aggiunto che le sempre più ampie sacche di crisi economica rendono insostenibile il costante lievitare dei prezzi dei dischi. Non tutti pensano, però, che i nemici siano i registratori. In Italia, per esempio, nello stesso periodo le case discografiche, nel tentativo di rilanciare il mercato agiscono proprio sulla leva dei prezzi, ripubblicando antologie di vecchi successi in collane economiche e inventando soluzioni alternative come i Q-disc, un disco di grande formato a medio prezzo che contiene solo quattro brani: una sorta di via di mezzo tra il singolo e l’album. I risultati sono incoraggianti e dimostrano che più che la riproduzione casalinga sono i costi e la mancanza di idee a uccidere la musica. Anche in Gran Bretagna c’è chi si accorge di questo fatto e si dissocia dal fronte anti-registrazioni. È la piccola ma combattiva Island Records di Chris Blackwell che, incurante delle critiche, getta benzina sul fuoco lanciando le cassette “One plus One” che su un lato contengono un intero album di uno degli artisti della scuderia e sull’altro offrono la stessa durata di nastro vergine da registrare.
26 novembre, 2019
26 novembre 1936 – Leopoldo Fregoli, il trasformista
Il 26 novembre 1936 muore a Viareggio Leopoldo Fregoli, un personaggio leggendario del varietà italiano nato a Roma il 2 luglio 1867. Attore, cantante e soprattutto trasformista, dopo aver debuttato nel varietà come macchiettista e illusionista, nel 1893 forma la Compagnia di Varietà Internazionale e, successivamente, la Compagnia Fin di Secolo nelle quali canta, recita, interpreta personaggi maschili e femminili con un susseguirsi frenetico di trasformazioni, tanto che la parola "fregolismo" diventa un termine proverbiale. Il suo successo travalica i confini nazionali per arrivare a New York, Londra, Pietroburgo, Berlino, Vienna e, soprattutto, a Parigi dove nel 1910 manda in visibilio il pubblico esibendosi peraltro un francese perfetto. Nel 1922 travolto dai debiti dovuti a investimenti sbagliati vende tutto quello che gli rimane e nel 1924 parte per l'ultima tournée in Sudamerica. Nel 1925, ancora all'apice della popolarità da' l'addio alle scene e si ritira a Viareggio la città in cui morirà una decina d’anni dopo.
25 novembre, 2019
25 novembre 1921 - Matthew Gee jr, un trombone sofisticato
Il 25 novembre 1921 nasce a Houston, nel Texas Matthew Gee jr. considerato uno dei principali trombonisti di stile be bop del dopoguerra. Influenzato soprattutto agli inizi da Trummy Young, preferisce poi prendere la strada indicata da J. J. Johnson adottando uno stile molto sofisticato che gli consente di trasferire su uno strumento massiccio come il trombone le melodie complicate e sottili proprie del be bop. Gee questa sua caratteristica la conserva sia quando suona in piccoli gruppi sia quando si trova in formazioni più grosse. Da giovane affina la sua preparazione musicale all'Alabama State Teachers' College e quindi comincia a suonare professionalmente con musicisti come Joe Morris, Gene Ammons, Dizzy Gillespie e Count Basie. Nel 1952 collabora con il sassofonista Illinois Jacquet con cui compie una tournée in Europa nel 1954. Da allora continua a suonare sempre su buoni livelli. Nel dicembre del 1959 fa parte della formazione orchestrale di Duke Ellington che incide gli undici pezzi contenuti nell’album Blues in Orbit nel quale suona anche il flicorno in Swingers Get. Muore il 18 luglio 1979 a New York.
23 novembre, 2019
23 novembre 1985 – Joe Turner, grande non soltanto per la mole
Il 23 novembre 1985 un infarto chiude per sempre la carriera di Big Joe Turner una delle grandi voci del blues, considerato un “padre nobile” del rock and roll e del rhythm and blues. Ha settantaquattro anni e da almeno quaranta si muove a fatica a causa di un’acuta e dolorosa forma d’artrite, oltre che per la mole che gli è valsa il nomignolo di “Big Joe”. Canta quasi sempre da seduto appoggiandosi al suo bastone. Con la sua voce piena e dai toni baritonali è stato un esponente di primo piano del “blues di Kansas City”, quel genere in cui la vena triste e malinconica del blues rurale è stata soppiantata da un’atmosfera maliziosa e divertita che ha posto le basi per l’avvento del rhythm and blues. Negli anni Cinquanta, poi, è maestro e anticipatore del rock and roll. A lui si devono le prime versioni di brani entrati di prepotenza nella storia della musica di quel periodo come Corrine, Corrine, Flip flop and fly e Shake rattle and roll. Nato a Kansas City, nel Missouri, il 18 maggio 1911 come molti ragazzi neri arriva alla musica quasi per caso. Comincia, infatti, a cantare il blues con vari gruppi della sua città nei momenti liberi che gli lascia il lavoro. Verso la fine degli anni Venti coltiva qualche ambizione in più e inizia a collaborare con il pianista boogie Pete Johnson. La sua carriera prende decisamente il volo soltanto a partire dal 1938, quando si occupa di lui un grande talent scout come John Hammond che lo porta a New York e gli procura varie scritture. Ha molti amici tra i jazzisti con i quali coltiva saltuari rapporti di collaborazione che a volte sfociano in splendidi album come The bosses: Joe Turner – Count Basie, con l'orchestra di Count Basie, o The trumpet kings meet Joe Turner, con Dizzy Gillespie, Roy Eldridge, Harry Sweet Edison e Clark Terry. Alla fine degli anni Settanta, con l’avanzare dell’età e la sempre più ridotta capacità di movimento, riduce i suoi impegni, senza però rinunciare a coltivare nuovi progetti. Nell’estate del 1985 si torna a parlare di un suo possibile ritorno in sala di registrazione per una sorta di antologica carrellata sulla sua carriera insieme a molte star del rock. La morte improvvisa cancella il progetto.
21 novembre, 2019
21 novembre 1956 – Piero Fidelfatti, un mago del remix
Il 21 novembre 1956 nasce a Padova il disk jockey Piero Fidelfatti. Nel 1981, dopo aver lavorato in varie discoteche del Veneto, inizia a produrre mix di dance riscuotendo un notevole successo soprattutto in Germania, Spagna e Grecia. Nel 1983, Somebody, un suo disco pubblicato con il nome di Video e remissato da David Morales, ottiene un lusinghiero riscontro sul mercato statunitense e arriva al quinto posto della classifica olandese. Nel 1984 vince, con il nome di Time, "Un disco per l'estate", con Don't stop e quattro anni dopo pubblica Baila Chico, uno dei primi brani italiani di house. Nel 1989 inizia a firmare con il proprio nome i suoi dischi e con Just wanna touch entra nella classifica britannica dei singoli più venduti.
17 novembre, 2019
17 novembre 1978 – Il primo album della Polizia
Il 17 novembre 1978 i Police pubblicano il primo album della loro non lunghissima storia. È Outlandos d'amour, un disco accolto con meraviglia dalla critica. Le recensioni sono entusiastiche al limite dell’apologia e descrivono il lavoro di Sting e compagni come «una raccolta di canzoni prepotenti e sfacciate che racchiudono l’intero messaggio di una generazione in piena formazione». Niente male per un gruppo che solo qualche mese prima aveva subito la censura della BBC nei confronti del brano Roxanne, tolto dalla programmazione radiofonica e televisiva per il testo, ritenuto offensivo… Al di là delle esagerazioni dell’epoca, cui non sono estranei i responsabili dell’ufficio promozionale di una casa discografica potente come la A&M, il disco rappresenta davvero una ventata d’aria nuova nella statica situazione del rock britannico di quel periodo, compresso tra lo strappo del punk e la noiosa ripetitività di un pop leggero e danzereccio. A questo va aggiunto che il gruppo, pur essendo di recente costituzione, non è formato da giovani musicisti di primo pelo. Sting, il cui vero nome è Gordon Matthew Sumner, ha alle spalle qualche anno con la Newcastle Big Band e i Last Exit, il batterista Stewart Copeland proviene da un gruppo di culto come i Curved Air e il chitarrista Andy Summers (all’anagrafe Andrew James Somers) ha all'attivo esperienze in gruppi come la Zoot Money's Big Roll Band, Eric Burdon & The Animals, i Soft Machine, le band di Kevin Ayers e Kevin Coyne, oltre ad una lunga collaborazione con il musicista tedesco Eberhard Schoerner. I tre, quindi, nonostante la giovane età, sanno quel che fanno. Outlandos d’amour è un album ricco di tensione, velocità e ritmo. Con la tipica struttura a tre, chitarra – basso – batteria, i Police frullano generi diversi, dal pop al reggae, e ottengono un prodotto gradevolmente provocatorio che non rinuncia alla secca immediatezza del punk. Non è che l’inizio di un lungo lavoro di sperimentazione destinato a proseguire anche dopo lo scioglimento della band, soprattutto per opera di Sting, ma questo è sicuramente uno di quei casi in cui… il buongiorno si vede dal mattino.
16 novembre, 2019
16 novembre 1929 – Inizia la leggenda delle rosse
Le rosse. Tutto il mondo ormai le chiama così, anche se non sono più i tempi in cui i colori delle auto in corsa corrispondevano alle nazioni produttrici e il rosso era, appunto, il colore dell’Italia. Oggi che gli sponsor e la commercializzazione degli spazi hanno cancellato questa identificazione tra colore e il paese, la Ferrari resta per tutti la nazionale rossa. Non si può spiegare compiutamente una passione, se no che passione sarebbe? E la storia della Ferrari è interamente scritta con le tinte vivide della passione fin da quando, Enzo Ferrari, un appassionato e competente collaudatore oltre che pilota alla corte dell’Alfa Romeo, inizia a sognare di poter costruire bolidi a quattro ruote interamente suoi. Il primo passo è la costituzione, il 16 novembre 1929, di una scuderia che porta il suo nome e che all’apparenza ha il solo scopo di far correre i soci. La sua sede è in Viale Trento e Trieste a Modena e, di fatto, è una filiale tecnico-agonistica dell’Alfa Romeo. Il tentativo di affrancarsi dall’ingombrante partnership dell’azienda milanese subisce un’accelerazione nel 1938 quando la casa del biscione decide di non affidare più le sue vetture a piloti e scuderie diverse da quella ufficiale. Un po’ per forza e molto per passione la “Scuderia Ferrari” si tramuta così nella Auto Avio Costruzioni Ferrari che oltre a fornire prodotti meccanici alla Compagnia Nazionale Aeronautica di Roma, alla Piaggio e alla RIV, inizia a lavorare alacremente a un progetto di una vettura da competizione. Nasce così la 815, la prima vettura fabbricata da Ferrari, un modello con un motore da otto cilindri in linea da 1,5 litri che ha lo chassis e le sospensioni della Fiat. Ne vengono realizzati due modelli che partecipano alla Mille Miglia del 1940. Una delle due è guidata da un giovane pilota che risponde al nome di Alberto Ascari. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la Auto Avio Costruzioni accantona le velleità automobilistiche e produce macchine rettificatrici oleodinamiche per cuscinetti a sfere. Gli stabilimenti, trasferiti a Maranello, vengono semidistrutti dai bombardamenti. Enzo Ferrari non s’arrende. Alla fine del conflitto ricomincia da capo e il suo sogno finisce per diventare emblematico del sentimento del popolo italiano impegnato nella ricostruzione. Nei primi mesi del 1946 è già pronta la 125 Sport, l’auto della rinascita della Ferrari, un bolide rosso che porta il marchio del cavallino rampante nero su un rettangolo giallo. È l’inizio di una leggenda costellata di successi sportivi e di auto da sogno destinate a un pubblico ristretto ma competente, costruite una per una con la stessa cura maniacale che ha caratterizzato il rapporto tra Enzo Ferrari e l’automobile. La morte dell’antico fondatore, avvenuta nel 1988, non fermerà la passione..
14 novembre, 2019
14 novembre 1902 - Carlo Buti, l’ispiratore del “canto melodico all’italiana”
Il 14 novembre 1902 nasce a Firenze Carlo Buti, il cantante considerato uno degli artefici di quel genere che verrà più tardi definito come “canto melodico all’italiana”. Il suo stile innova profondamente le tecniche canore del tempo, contaminando l’impostazione lirico-tenorile dei cantanti da romanza con gli abbellimenti vocali e i gorgheggi degli stornellatori. Comincia a cantare fin da ragazzo nei locali della campagna fiorentina e nel 1931 si dedica a tempo pieno alla canzone napoletana cogliendo l’occasione offertagli dall’editore Francesco Feola, l’artefice delle edizioni “La canzonetta”, che lo presenta alla Piedigrotta di quell’anno. L’incontro con la melodia napoletana determina una svolta nella sua carriera: pubblica vari dischi di canzoni napoletane e comincia a farsi conoscere da un pubblico più vasto. Sul finire degli anni Trenta è protagonista del primo boom discografico della storia italiana con canzoni come Portami tante rose e Violino tzigano, grazie anche alla grande popolarità che gli deriva dal fatto di essere il primo cantante lanciato dalla radio. La sua voce diventa popolarissima e il suo successo attraversa anche i confini d’Italia. I suoi dischi ottengono, infatti, qualche anno dopo, un buon successo di vendite anche negli Stati Uniti. Eclettico e dinamico personaggio di spettacolo, interpreta anche film musicali di successo, come “Per uomini soli” del 1939 diretto da Guido Brignone. Tra i suoi successi, oltre alle già citate Portami tante rose e Violino tzigano, sono da ricordare Bombolo, Firenze, Stornelli toscani, Quel motivetto che mi piace tanto, Parlami d’amore Mariù, Reginella campagnola, Firenze sogna, Chitarra romana e Signorinella. Muore a Montelupo Fiorentino il 16 novembre 1963.
12 novembre, 2019
13 novembre 1921 – Eddie Calhoun, l'autodidatta
Il 13 novembre 1921 nasce a Clarksdale, in Mississippi, il contrabbassista Eddie Calhoun. Completamente autodidatta, dice di aver imparato la musica nelle strade di Chicago. Fa le sue prime esperienze professionali con Prince Cooper dopo aver prestato servizio militare nell'esercito. Tra il 1947 e il 1954 fa parte dei gruppi di Dick Davis, Ahmad Jamal, Horace Henderson, Johnny Griffin e ha suonato saltuariamente anche con Roy Eldridge, Billie Holiday, Miles Davis. Ma la sua collaborazione più duratura, dal 1955 in avanti, è stata quella con Erroll Garner; con il trio del famoso pianista scomparso ha partecipato a numerosi concerti negli Stati Uniti e In Europa e ha inciso molti dischi tra i quali i 33 giri Concert by the Sea e Campus Concert. Contrabbassista di grande esperienza, ha i suoi punti di riferimento in Red Callender e Wilbur Ware.
12 novembre 1970 – Harold Eugene Gifford, in arte Gene Gifford
Il 12 novembre 1970 muore a Memphis, nel Tennessee il chitarrista Harold Eugene Gifford, conosciuto dagli appassionati di jazz come Gene Gifford. Nato ad Americus, in Georgia, il 31 maggio 1908 cresce musicalmente a Memphis, nel Tennessee. Dopo aver fatto le prime esperienze in complessi studenteschi, per qualche tempo suona come banjoista con l'orchestra di Bob Foster a El Dorado e successivamente con la formazione di Lloyd Williams e con i Watson's Bell Hops. Nel 1927 dà vita a un suo gruppo con cui si esibisce in vari locali e teatri del Texas. L’anno dopo è con Blue Steele e in questo periodo passa dal banjo alla chitarra. All’inizio degli anni Trenta è a Detroit dove il noto impresario Jean Goldkette lo scrittura come chitarrista nella Orange Blossom Band, primo nucleo della famosa Casaloma. È l'arrangiatore principale di quell’orchestra di cui determina lo stile e le caratteristiche. Alla fine degli anni Trenta se ne va per dedicarsi all’attività di orchestratore prima di diventare, nel 1943, il chitarrista-arrangiatore della formazione di Bob Strong. Nel 1948 torna per un paio d’anni con Glen Gray in una nuova formazione della celebre Casaloma. Negli anni Cinquanta lascia l’attività di strumnentista per lavorare come fonico e arrangiatore. Alla fine degli anni Sessanta si stabilisce a Memphis dove insegna musica. Brillante arrangiatore di orientamento jazzistico deve la sua fama a brani come Casaloma Stomp, White Jazz o Stompin' Around, considerati anticipatori dello swing.
09 novembre, 2019
9 novembre 1963 – La prima volta di Joan Baez
Il 9 novembre 1963 Joan Baez entra per la prima volta nella classifica dei dischi più venduti negli Stati Uniti. È soltanto al novantesimo posto, ma la presenza assume una valenza simbolica, perché ottenuta con un singolo che ha sulla facciata principale una versione di We shall overcome registrata dal vivo durante una manifestazione antirazzista svoltasi al Miles College di Birmingham, in Alabama. A questo va aggiunto che il brano è stato eseguito dalla stessa folk singer a Washington qualche mese prima, il 28 agosto, durante la grande marcia per i diritti civili che ha bloccato il centro della capitale degli Stati Uniti. La sua presenza in classifica, al di là del significato commerciale, diventa un modo per verificare i passi avanti compiuti dalla battaglia per la propagazione di nuove idee di libertà, pace e fratellanza all’interno della società statunitense, soprattutto tra le generazioni più giovani. È un inno, una colonna sonora che accompagna la lunga marcia di chi insegue il sogno di un’America diversa. Non a caso tre anni prima, in una chiesa assediata dai razzisti, la voce di Martin Luther King aveva intonato proprio We shall overcome e le sue note, a partire dal 4 maggio 1961, sono state diffuse in tutte le strade degli stati del sud dai colorati autobus dei predicatori erranti di libertà, ribattezzati Freedom Riders dalla nazione nera. L’ingresso nella classifica dei dischi più venduti di Joan Baez, una bianca dal cuore d’ogni colore, funziona da cassa di risonanza e dà forza al movimento per i diritti civili. Il messaggio politico viaggia sulle ali della musica ed entra nelle case di tutti. Anni dopo la stessa Baez così ricorderà quell’evento: «Fu allora che cominciai a vedere nella canzone folk un vero strumento di cultura alternativa e a capire che la coscienza politica poteva essere mescolata alla musica e diventare un messaggio forte. Fu Pete Seeger, furono i vecchi folksinger a farmelo capire. Prima non lo accettavo. Ero una purista, musicalmente parlando, e non potevo sopportare la commistione tra musica e politica, non sopportavo nulla che non fosse il folk tradizionale, asettico e lontano nel tempo. Poi ho aperto gli occhi…».
08 novembre, 2019
8 novembre 1987 – Jacques Anquetil, l’uomo-orologio
L’8 novembre 1987 il cancro uccide il francese Jacques Anquetil, una leggenda del ciclismo. Amante dello champagne e dei piaceri della vita, l'atleta che i tifosi francesi hanno ribattezzato “Maître Jacques” è stato il più grande cronoman della storia del ciclismo. Vincitore di due Giri d’Italia, nel 1960 e nel 1964, è stato un attento amministratore della sua forza, preferendo all’impegno assiduo, una scelta oculata delle gare che gli permettesse di potersi godere anche la vita senza doversi sottoporre alle restrizioni tipiche della vita degli atleti della sua epoca. Nato l’8 gennaio 1934 a Mont Saint-Aignan, in Francia, ha spesso assunto posizioni di aperta contestazione dell’establishment ciclistico, da lui considerato in più occasioni autoritario e indifferente alla fatica e ai problemi dei ciclisti. Conclusa la carriera ha lavorato nel campo del giornalismo e svolse l’incarico di Commissario Tecnico della nazionale ciclistica transalpina ai mondiali.
05 novembre, 2019
6 novembre 1938 – P. J. Proby, il rocker col codino
Il 6 novembre 1938, a Houston, nel Texas nasce James Marcus Smith destinato a diventare un personaggio di spicco della scena musicale con il nome di P. J. Proby. Inizia a esibirsi in pubblico a soli undici anni e a diciassette ottiene, grazie a Jackie De Shannon, il suo primo contratto discografico. Nonostante la sua precocità Proby non riesce a sfondare negli Stati Uniti, ma sotto l'abile guida di Brian Epstein diventa uno dei cantanti più popolari in Inghilterra, debuttando nel 1964 nello show dei Beatles “Around The Beatles”. Famoso anche per il suo codino, inusuale in quel periodo, e per l'abbigliamento in stile “rivoluzione francese”, per un paio d'anni colleziona successi con brani come Hold me, Somewhere I apologize, Let the water run down, That means a lot, Maria, You need love e I can't make it alone. Nel 1968, ormai in declino, torna negli Stati Uniti. Si parla nuovamente di lui nel 1971, quando ritorna a Londra per interpretare Jago nel musical "Catch my soul", versione rock dell'Otello. Nel 1977 è uno dei protagonisti del musical "Elvis" con Shakin' Stevens.
04 novembre, 2019
5 novembre 2002 – Not in my name
Il 5 novembre 2002 a Roma viene presentato ufficialmente Not in my name, un album di canzoni contro la guerra edito dal quotidiano "Liberazione" e realizzato da quattordici gruppi e artisti italiani. Il progetto, curato da Michele Anelli, Gianni Lucini e Paolo Pietrangeli, è nato sottoponendo ai gruppi e agli artisti una lista di canzoni "storiche" del rock, del pop e della tradizione che avessero al centro il tema del rifiuto della guerra e della pace e chiedendo agli stessi di "reinterpretarli" filtrandoli attraverso la loro sensibilità artistica. Il risultato è un disco di notevole interesse e di grande suggestione con brani di una lunga serie di autori che va da Dylan a Fossati, da Country Joe McDonald a De André, da Lennon a Tenco, da Pietrangeli a De Gregori, al "primo" Guccini. Tutti i brani però, appaiono "nuovi" perché ciascuno è "ripensato" e filtrato attraverso la personalità degli interpreti finendo per disegnare una caleidoscopica rassegna dei linguaggi principali della musica di oggi. Accanto a Gang, Paolo Pietrangeli, Ratoblanco, Groovers, Mirafiori Kids e gran parte dei gruppi emergenti della canzone d'impegno la lista degli interpreti vede anche il gradito ritorno in sala di registrazione di Tommaso Leddi e Umberto Fiori, cioè il chitarrista e il cantante dei leggendari Stormy Six, che hanno regalato all'album un brano originale. Molti sono stati gli apporti "illustri" alla realizzazione del progetto, come quella di Jaré, un gruppo dietro al quale si nasconde il nome di Mauro Sabbione, il protagonista della svolta elettropop dei Matia Bazar di Vacanze romane nonché tastiera aggiunta dei "vecchi" Litfiba in El Diablo e dei nuovi in Elettromacumba. Tra le collaborazioni importanti c'è poi da annoverare anche la presenza di Fabrizio Barale degli Yo Yo Mundi nel brano registrato dal Gruppo Spontaneo di Musica Moderna. Il missaggio finale del CD è stato curato da Daniele Denti, l'indimenticato chitarrista dei Settore Out passato poi alla live band di Gianna Nannini. In un periodo in cui da più parti si criticano gli artisti italiani perché, pur prendendo posizione contro la guerra, faticano a elaborare un progetto collettivo, "Liberazione" ha fatto un piccolo miracolo.
02 novembre, 2019
2 novembre 1975 – Muore assassinato Pier Paolo Pasolini, l’eretico fustigatore del boom
Il 2 novembre 1975 su una spiaggia di Ostia viene ritrovato il corpo sfigurato di Pier Paolo Pasolini. Poche ore dopo il ritrovamento viene annunciato l’arresto del suo assassino. È il diciassettenne Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana” che confessa di averlo ucciso dopo un litigio e di averlo poi investito casualmente con l’automobile mentre fuggiva in preda al panico. Muore così uno dei protagonisti assoluti della cultura del Novecento italiano. Scrittore, poeta, critico, sceneggiatore e regista cinematografico, Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922, l’anno in cui Mussolini va al potere. Il padre Carlo Alberto Pasolini è ufficiale di fanteria, mentre la madre, Susanna Colussi, è una maestra elementare. Il piccolo Pier Paolo trascorre l’infanzia e la prima giovinezza girovagando al seguito del padre, ufficiale di carriera. Se ne va prima a Parma, quindi a Belluno, Conegliano, Cremona e Reggio Emilia, anche se il luogo che ama di più è Casarsa, la cittadina friulana dove è nata sua madre, che lui descriverà come un «… vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana». Il rapporto con il padre non è facile e il giovane sviluppa un attaccamento fortissimo nei confronti della madre. Terminato il liceo, nel 1939 s’iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e nel 1942 pubblica a proprie spese, Poesie a Casarsa, una raccolta di composizioni poetiche in dialetto friulano. In quell’anno il padre cade prigioniero degli inglesi in Africa. Chiamato alle armi il giovane figlio dell’ufficiale Pasolini non ci resta per molto. L’8 settembre 1943 butta la divisa e torna a Casarsa dalla madre. Gli ultimi anni della guerra e i primi dopo la liberazione sono tragici e segnati dalla morte del fratello minore partigiano. Alla fine degli anni Quaranta, dopo un periodo d’insegnamento nella scuola media di Valvasone, viene sospeso dall’incarico perché omosessuale e nei suoi confronti viene avviato anche un vero processo. Per tentare di ricominciare se ne va con la madre a Roma dove riesce a sbarcare il lunario insegnando in una scuola privata a Ciampino per ventisettemila lire al mese. Nella capitale vedono la luce “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta” due fra i romanzi più importanti di Pier Paolo Pasolini. Vede la luce anche “Le ceneri di Gramsci”, un’opera poetica che gli vale il Premio Viareggio del 1957. La letteratura però non è sufficiente a mantenerlo. Per arrotondare le scarse entrate inizia a lavorare anche come sceneggiatore cinematografico. Tra il 1957 e il 1961 sono undici le sceneggiature firmate da Pasolini che considera cinema e scrittura due forme espressive strettamente complementari e non alternative. I suoi romanzi e le sue poesie, infatti, sono ricche, infatti, di elementi per cosi dire “cinematografici”, mentre le sceneggiature dei suoi film hanno spesso una autonoma e solida validità letteraria. La sua avventura cinematografica nasce un po’ per incoscienza e un po’ per caso. Pur non essendo in possesso di una particolare preparazione tecnica, ma sorretto dall’ispirazione interiore, fa il suo esordio come regista nel 1961 con il film “Accattone”, con il quale porta sul grande schermo il suo interesse e la sua simpatia per le fasce più marginali del sottoproletariato romano. Nel lavoro di quel periodo è evidente la solidarietà con il mondo che il boom della società italiana sta lasciando al margine. I suoi personaggi sono diseredati, dimenticati da ogni chiesa e partito, dei quali lui cui ammira gli istintivi valori culturali che sopravvivono alla miseria materiale e morale, ma che nella sua visione pessimista sono però destinati a soccombere di fronte ai miti del “benessere” e della normalità piccolo-borghese. Negli anni successivi la sua narrazione cinematografica si arricchisce di un afflato religioso d’impianto squisitamente laico disegnando una sorta di cattolicesimo “eretico” che trova il suo momento culminante nel 1964 con “Il Vangelo secondo Matteo”. Negli anni della contestazione, la sua posizione dissente sia dai palazzi del potere che dai nuovi oppositori, ai quali attribuisce il tentativo di omologare l’intero tessuto sociale dell’Italia al modello piccolo-borghese spazzando via i valori dell’Italia precapitalistica e contadina. Accusa i contestatori del Sessantotto di essere i portatori di un nuovo potere e, negli anni successivi, pur continuando a militare nel Partito Comunista (che lo aveva sospeso nel 1949 per la sua omosessualità) critica aspramente il “conformismo di sinistra”. Le modalità del suo assassinio così come sono state diffuse non convincono. Non tutti credono alla versione raccontata dal ragazzo e molti amici dell’intellettuale scomparso sosterranno negli anni successivi la tesi di un vero proprio agguato premeditato ed eseguito da un gruppo numeroso. Sergio Citti, regista attore e amico di Pasolini dichiara pubblicamente che «...Quella notte Pelosi era insieme ad altre quattro persone e quelle persone erano lì per uccidere Pier Paolo... Pier Paolo era scomodo. Scriveva cose scomode, anche sul Corriere . No, non fu un incidente, una lite: Pier Paolo fu giustiziato. Qualcuno aveva deciso che Pasolini dovesse morire...». Già due settimane dopo il ritrovamento del suo corpo la giornalista Oriana Fallaci in un lungo articolo su “L’Europeo” ipotizza per la prima volta che il poeta, scrittore e regista sia stato ucciso in un agguato premeditato cui avrebbero partecipato più persone. L’ipotesi viene ripresa più volte nel corso degli anni e argomentata anche da inchieste giornalistiche accurate e ben documentate. Nessuna delle ricostruzioni riesce però a far riaprire le indagini finché nel 2005 è lo stesso Pino Pelosi annunciare in un seguitissimo programma televisivo: «Non sono io l’assassino di Pasolini ma tre uomini sui 45 anni, dal forte accento siciliano, scesi da una 1500 Fiat targata Catania, che lo assalirono gridandogli “Fetuso, arruso, sporco comunista” e minacciando di uccidere i miei genitori se non avessi taciuto su ciò che avevo visto quella notte».
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