
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
28 gennaio, 2020
28 gennaio 1930 – Angel "Pocho" Gatti, il jazzista venuto dall’Argentina

26 gennaio, 2020
26 gennaio 2006 - Letze nacht, l’ultima notte

25 gennaio, 2020
25 gennaio 1975 – Antonello Venditti dall’impegno alla curva

Antonello Venditti, uno dei più amati e impegnati cantautori della nuova generazione compone una canzone dedicata alla sua squadra del cuore. Il 25 gennaio 1975, in occasione del derby calcistico Roma-Lazio, presenta il singolo Roma Roma (La Roma non si discute si ama), un brano del tutto controcorrente rispetto alla sua produzione che per alcuni è un segno dei tempi e del progressivo affievolirsi delle illusioni sulla possibilità di cambiare la società, per altri solo un’idea per guadagnare di più e per altri ancora soltanto un atto d'amore. Sul retro del disco, pubblicato dalla RCA, si possono ascoltare i cori dei tifosi della Curva Sud dello Stadio Olimpico di Roma registrati dal vivo. I suoi ammiratori ‘della prima ora’ faticano a digerire quello che considerano come un cedimento commerciale e un tradimento della sua linea d’impegno politico e sociale, tanto che in alcuni concerti nasceranno furibonde discussioni sull’argomento tra il pubblico e il cantante.
24 gennaio, 2020
24 gennaio 1939 - Julius Hemphill, il sax del Black Artist Group

Il 24 gennaio 1939 nasce il sassofonista Julius Hemphill. La città che gli dà i natali è Fort Worth, nel Texas la stessa dove sono nati tra gli altri i sassofonisti Ornette Coleman e Dewey Redman e il batterista Charles Moffett. A dodici anni Hemphill soffia già nel clarinetto sotto la guida di John Carter e successivamente passa al sassofono tenore e trova qualche ingaggio in vari gruppi, soprattutto di blues. Chiamato alle armi, viene destinato a Saint Louis, nel Missouri. La città lo conquista al punto da convincerlo a restare lì anche dopo la fine del servizio di leva. Proprio a Saint Louis nel 1968 dà vita al BAG (Black Artist Group), un'associazione simile alla chicagoana AACM (Association For Advancement of Creative Musician), che, però, allarga la sua sfera d’interesse anche a campi espressivi diversi dalla musica improvvisata quali la danza, il teatro, la poesia e la pittura. Con lui nel BAG ci sono vari musicisti come Jerome Harris, Charles Bobo Shaw, Oliver Lake, Arzinia Richardson e tanti altri. Nel 1971 Hemphill forma un gruppo di cui divide la leadership con il pianista John Hicks, uno dei più frequenti compagni d’avventura artistica della sua carriera con il quale nel 1974 partecipa all'incisione di Fast Last! di Lester Bowie. A Chicago collabora con il polistrumentista Anthony Braxton. A partire dal 1975 i suoi interessi sembrano orientarsi alle esperienze solistiche, spesso sperimentali, nonostante l’esperienza collettiva del World Saxophone Quartet il gruppo formato nel 1976 con Hamlet Bluiett, David Murray e Oliver Lake. Muore a New York il 2 aprile 1995.
23 gennaio, 2020
23 gennaio 1951 – Alibert, la stella dell’Operetta Marsigliese

22 gennaio, 2020
22 gennaio 1977 - Mai più aborti clandestini

Il 22 gennaio 1977 la Camera approva la legge che legalizza l’aborto in Italia e rende possibile l’interruzione di gravidanza all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. Chiesta da un ampio schieramento di forze con alla testa il movimento delle donne, la legge dovrebbe, nelle intenzioni dei proponenti, sancire la fine degli aborti clandestini nel nostro paese. L’articolato prevede anche un potenziamento dell’educazione sessuale e dell’informazione, in modo da impedire che l’aborto venga utilizzato in funzione contraccettiva. Non è in questione il giudizio sull’aborto, tanto che i sostenitori della legge dichiarano: «Al di là dei giudizi morali l’aborto è e resta un dramma. Lo scopo di questa legge è quello di toglierlo dagli anfratti bui della clandestinità che arricchisce medici senza scrupoli e praticoni di paese. Ora si tratta di andare oltre, diffondendo la conoscenza sui metodi contraccettivi e portando l’educazione sessuale nelle scuole».
21 gennaio, 2020
21 gennaio 2005 – I Chemical Brothers non sono i salvatori della dance music

20 gennaio, 2020
20 gennaio 1976 – La tromba nomade di Gus Deloof

19 gennaio, 2020
19 gennaio 2006 - Wilson Pickett ci saluta e se ne va

18 gennaio, 2020
18 gennaio 1964 – Il caso dei coniugi Bebawi

17 gennaio, 2020
17 gennaio 1920 – Il jazz progressista di George Handy

Il 17 gennaio 1920 nasce a Brooklyn, New York, George Joseph Hendleman, destinato a lasciare un segno importante nella storia del jazz con il nome di George Handy. Pianista e arrangiatore legherà il suo nome al progetto di “jazz progressista” dell'orchestra di Boyd Reaburn. I primi rudimenti del “mestiere” li impara ancora bambino da sua madre pianista. Successivamente studia allo Juilliard Institute e alla New York University prendendo anche lezioni private da Aaron Copland, uno sperimentatore di fusioni tra folklore e jazz le cui idee influenzeranno non poco Handy che già nel 1938 suona con Michael Loring. Dopo il servizio militare, nel 1941 scrive composizioni e arrangiamenti per Raymond Scott, un pianista-arrangiatore di Brooklyn, dimostrando un buon talento. Verso la fine del 1943 entra nell’orchestra di Boyd Reaburn. Proprio con questa band si nell’esperienza del progressive-jazz avvicinando le istanze di rinnovamento del jazz alla musica colta europea contemporanea, soprattutto a quella di influenza stravinskiana, e al be bop. L’esperimento viene chiamato “advance jazz” o “progressive jazz” e i brani più significativi come Tone poem in four movements, March of the boys e Sitterburg suite composti e arrangiati da lui. Sempre in quegli anni si avvicina anche al be bop partecipando, tra l'altro, a una seduta di incisione organizzata da Ross Russell. Successivamente lavora come arrangiatore e compositore negli studios della Paramount a Los Angeles. Tra gli arrangiamenti di quel periodo sono da ricordare There's no you e Tonsillectomy. Lavora poi a New York suonando occasionalmente il piano con il batterista Buddy Rich e con il pianista Freddy Slack e scrivendo composizioni per pianoforte e balletti. Muore l'8 gennaio 1997.
16 gennaio, 2020
16 gennaio 2004 – Il Big Day Out australiano è “tutto esaurito”

14 gennaio, 2020
15 gennaio 1974 – Roy Bargy, il pianista di Whiteman

Il 15 gennaio 1974 muore il pianista e arrangiatore Roy Bargy che negli anni Venti e Trenta è stato uno dei più popolari strumentisti dell'orchestra di Paul Whiteman. Nato intorno al 1900 anche se sulla sua data di nascita non ci sono certezze, dal settembre del 1920 al dicembre del 1922 è direttore musicale e pianista della Benson Orchestra of Chicago, con la quale si esibisce al Marigold Gardens e al Trianon Ballroom di Chicago. Dopo un lungo periodo come pianista in teatri, alberghi e locali notturni, a partire dal 1928 si unisce all’orchestra di Paul Whiteman con la quale resta per dieci anni suonando al fianco di Bix Beiderbecke, Frankie Trumbauer, Eddie Lang, Joe Venuti e altre stelle del firmamento jazzistico. Dai primi anni Quaranta si dedica maggiormente all’attività di organizzatore e direttore di orchestre per spettacoli alla radio.
14 gennaio 1941 - Lolo Bellonzi, dalla fanfara al jazz

Il 14 gennaio 1941 nasce a Nizza il batterista Lolo Bellonzi, all’anagrafe registrato con il nome di Charles. A sette anni picchia sul tamburo di una banda paesana, quella che tecnicamente si chiama “fanfara”. Fino a tredici anni è quella la sua scuola principale. Studia anche la fisarmonica, ma il fascino che esercitano su di lui le percussioni è irresistibile. Nel 1956 grazie anche ai consigli di Barney Wilen, comincia a dedicarsi al jazz. Alla fine degli anni Cinquanta suona sulla Costa Azzurra con vari gruppi anche se la musica è più un hobby che un mestiere. La svolta nella sua vita arriva nel 1960 quando rompe gli indugi e va a Parigi per diventare un batterista a tempo pieno. Nella capitale suona con molti musicisti statunitensi in club che hanno fatto la storia del jazz, come il Tabou, il Cameleon, il Chat-qui-Pêche, il Club Saint-Germain o il Mars Club. Fa anche parte del quintetto di Georges Arvanitas. Suona poi al Blue Note con Bud Powell, Johnny Griffin, Dexter Gordon, Lou Bennett, Kenny Drew e molti altri. Dal 1965 al 1968 è il batterista del trio di Martial Solal con cui si esibisce in numerosi concerti. In seguito lascia il jazz e diventa il batterista del cantante Claude Nougaro ma non è un addio definitivo perchè a partire dal 1979 riprende la sua attività nel campo del jazz suonando con Kay Winding, Harry Edison e con il trio di Maurice Vander.
13 gennaio, 2020
13 gennaio 1963 – Sonny Clark,il pianista frenetico

Il 13 gennaio 1963 un infarto chiude a soli trentadue anni la carriera di Conrad Yeatis Clark, in arte Sonny Clark, uno dei migliori talenti pianistici del jazz di quel periodo. Nato a Herminie, in Pennsylvania, il 21 luglio 1931 inizia a studiare pianoforte a quattro anni. All’impegno sui tasti bianchi e neri si affiancano poi alcuni corsi di contrabbasso e vibrafono per “curiosità culturale”. Nel 1940 si trasferisce con la famiglia a Pittsburgh e nel 1947 inizia a esibirsi in pubblico come pianista. Alla morte della madre si trasferisce a Los Angeles, in California, ospite di una zia. Qui comincia a farsi conoscere lavorando con Wardell Gray, Teddy Edwards, Jack Sheldon e Harold Land. Si trasferisce poi a San Francisco, dove entra a far parte di un gruppo guidato da Oscar Pettiford. Tra il 1953 e il 1956, per due anni e mezzo entra far parte del quartetto del clarinettista Buddy De Franco sostituendo Kenny Drew. Proprio con il clarinettista, tra il gennaio e il febbraio 1954, effettua anche una tournée in Europa. Chiusa quell’esperienza nel 1956 suona con i Lighthouse All Stars del contrabbassista Howard Rumsey e nel 1957 si trasferisce a New York come accompagnatore della cantante Dinah Washington. In quel periodo lavora attivamente anche in sala di incisione soprattutto per la etichetta Blue Note che lo ingaggia e come solista e come strumentista di studio. Vedono così la luce sei album a suo nome con partner quali Philly Joe Jones, Hank Mobley, Louis Hayes, Art Farmer, Paul Chambers, John Coltrane, Jackie McLean, Billy Higgins. Nello stesso periodo registra moltissimi brani al fianco di Sonny Rollins, Clifford Jordan, Curtis Fuller, John Jenkins, Johnny Griffin, Dexter Gordon, Ike Quebec e altri. A queste vanno poi aggiunte anche le registrazioni realizzate per altre case discografiche. L’intensa e frenetica attività si interrompe nel 1962, quando Clark, che da tempo era diventato un po’ troppo amico di sostanze stupefacenti viene ricoverato in ospedale perchè evidenzia i sintomi di un’infezione. Nei primi giorni del 1963, dopo alcuni mesi di degenza, viene dimesso. Tornato a casa viene colto da un infarto. A poco più di trent’anni il nome di Sonny Clark si aggiunge così alla lunga lista di giovani talenti morti prematuramente.
12 gennaio, 2020
12 gennaio 1946 – George Duke, uno dei migliori tastieristi del jazz-rock

Il 12 gennaio 1946 a San Rafael, in California, nasce il tastierista George Duke, uno dei musicisti che alla fine degli anni Sessanta ha rivoluzionato il rock con nuovi impieghi delle tastiere e del sintetizzatore. Studia musica fin dai primi anni di vita diplomandosi nel 1967 al conservatorio di San Francisco. Dal 1965 al 1967 si fa le ossa suonando all'Half Note di San Francisco e formato un trio che dal 1966 al 1970 accompagna il gruppo vocale The Third Wave e si esibisce anche al festival di Monterey del 1968. Il trio di Duke accompagna poi vari musicisti di passaggio, tra cui Dizzy Gillespie e Kenny Dorham, e nel 1969 fa da sezione ritmica al gruppo di Jean-Luc Ponty. Chiusa l’esperienza, Georges Duke nel 1971 inizia a collaborare con Frank Zappa. In questo periodo pubblica anche una serie di album solisti come Feels, Faces in reflection, I love the blues, The aura will prevail e Liberated fantasies per i quali una parte consistente della critica lo considera “il miglior tastierista del jazz-rock”. Nel 1976 effettua con Billy Cobham un tour europeo da cui viene tratto l'album live Cobham and Duke live Negli anni seguenti consolida la sua fama e nel 1981 forma, insieme a Stanley Clarke il Clarke-Duke Project. Tra i musicisti che si avvalgono del suo lavoro ci sono Airto Moreira, Flora Purim, Stanley Clarke, Eddie Henderson, Sonny Rollins, Aretha Franklin, Quincy Jones, Sarah Vaughan, Jeffrey Osborne, Rufus, Angela Bofill, Smokey Robinson, Sister Sledge, Stephanie Mills, Deniece William e altri. Il 5 agosto 2013 muore all'età di sessantasette anni al St. John’s Hospital di Los Angeles.
11 gennaio, 2020
11 gennaio 1952 – La cornetta di Henry Allen sr.

10 gennaio, 2020
10 gennaio 1960 – Con “Tutto il calcio minuto per minuto” nasce il calcio raccontato

Il 10 gennaio 1960 allo Stadio di San Siro non ancora ribattezzato “Meazza” si gioca Milan-Juventus. All’inizio del secondo tempo la radio si collega con quel campo per la consueta radiocronaca di quella che viene considerata “partita di cartello”. Questa volta, però, c’è una novità, anzi due. Prima del collegamento vengono snocciolati i risultati di tutti i primi tempi delle partite della massima serie e delle altre inserite nella schedina del Totocalcio. In più la partita di cartello non è più l’unica a godere della radiocronaca, ma è soltanto il “campo principale” di una nuova trasmissione. Si chiama “Tutto il calcio minuto per minuto” e prevede, in rapida successione, collegamenti con vari campi di gioco. Ad aggiornare gli ascoltatori sull’andamento delle partite non collegate provvede l’ineffabile voce di Roberto Bortoluzzi che snocciola in modo professionale notizie destinate a far sobbalzare il cuore dei tifosi. Nasce così la più longeva trasmissione radiofonica italiana. Nei primi anni il programma è molto diverso da quello che si può ascoltare oggi, innanzitutto perché trasmette soltanto il secondo tempo delle partite. La scelta è motivata dal desiderio di non danneggiare gli spettatori che vanno allo stadio. È una specie di penalizzazione nei confronti di chi non partecipa direttamente all’evento. Il calcio, in quel periodo, non ha ancora la forza invasiva di oggi. Altri sport, a partire dal ciclismo e dal pugilato, sono il pretesto per interminabili discussioni da bar e le società calcistiche hanno nei biglietti d’ingresso una delle principali fonti d’entrata visto che le sponsorizzazioni sono vietate dai regolamenti federali e la pubblicità negli stadi è modesta. “Tutto il calcio minuto per minuto” cambia le domeniche degli italiani e contribuisce alla diffusione della famosa “radiolina a transistor”, l’apparecchio portatile che accompagna pomeriggi al mare, visite ai parenti e appuntamenti degli innamorati. Provoca passioni, nuove amicizie e liti furibonde e avvicina al calcio anche chi non ha mai visto una partita in vita sua. Pian piano cambia anche la lingua degli italiani, introducendo espressioni colorite, spesso suggestive, molte delle quali sono diventate parte del linguaggio parlato a partire da «Scusa Ameri, sono Ciotti…» per finire con quel «clamoroso al Cibali!», diventato un'espressione idiomatica sinonimo di grande sorpresa, di avvenimento imprevisto e imprevedibile. La necessità di “raccontare” l’evento a chi non era in grado di vederlo, ha prodotto però altre perle linguistiche, alcune delle quali decisamente di grande suggestione. Maestro insuperato di fantasia e di neologismi al limite della poesia è stato Sandro Ciotti. Lui non si limitava a comunicare la notizia, cercava di regalare l’immagine, di farla percepire al di là della descrizione. Con lui i campi da gioco venivano descritti come prati «con erba smeraldina», l’assenza di vento diventava «ventilazione inapprezzabile», e una bella giornata aveva un sole «formato cartolina illustrata». Anche il racconto della partita abbandonava la crudezza del fatto tecnico per diventare poesia. Le difese chiuse e decise diventavano «arcigne», le trasferte difficili «ostiche», un gol in slancio di Boninsegna veniva catalogato come «estirada», un errore dell’arbitro era «un calcio franco punendo un fallo che ha visto solo lui…» e un malinteso fra il portiere del Cagliari Albertosi e il difensore Niccolai, sfruttato da Anastasi, veniva raccontato come «il classico caso di mia, tua, mia, tua …sua!».
09 gennaio, 2020
9 gennaio 1925 – Lee Van Cleef, da ragioniere a pistolero

Il 9 gennaio 1925 a Somerville, nel New Jersey nasce Lee Van Cleef.. Il suo primo lavoro è quello di ragioniere nello studio di un commercialista anche se, come molti ragazzi di quel periodo, finisce per ritrovarsi in una divisa che, nel suo caso è quella della Marina. Chiamato a combattere nella seconda guerra mondiale, dopo il 1945 recupera il suo vecchio impiego ritagliandosi un po’ di spazio nel tempo libero per recitare in teatro con una compagnia amatoriale. Proprio in una di queste esibizioni viene notato da Joshua Logan che lo convince a lasciare l’impiego per dedicarsi al teatro a tempo pieno. Dalle assi del palcoscenico agli studi di Hollywood il passo è meno lungo di quel che sembra e Lee Van Cleef si ritrova a interpretare la parte di uno dei cattivi con i quali deve fare i conti Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinneman. È il 1952. Da quel momento il cinema diventa il suo unico mestiere e il western il genere nel quale viene scritturato con più frequenza. Quando sbarca in Italia chiamato da Sergio Leone che gli affida il ruolo del colonnello Douglas Mortimer in Per qualche dollaro in più non è una star, sfiora già i quarant’anni e sulle spalle ha una lunga carriera passata a dare volto e voce a personaggi destinati a finire male per mano del “buono” di turno. Il regista romano lo sceglie un po’ perché non costa moltissimo e un po’ perché si ricorda di aver visto la sua faccia in western entrati nella leggenda come Mezzogiorno di fuoco, Sfida all’OK Corral o L’uomo che uccise Liberty Valance. L’incontro con Sergio Leone e il successo di Per qualche dollaro in più danno inizio a una nuova fase della sua carriera. A differenza di Clint Eastwood non torna subito in patria, ma diventa una delle icone dell’intera epopea del western all’italiana. Con i suoi occhi felini a fessura, lo sguardo acuto, il naso adunco e la notevole prestanza fisica diventa uno dei più popolari duri e cinici cacciatori di uomini che si siano mai aggirati sui sentieri del western all’italiana. Del resto in un genere i cui codici non distinguono mai troppo bene il ruolo del buono da quello del cattivo un personaggio con le sue caratteristiche non poteva che avere fortuna. Accompagna poi le successive evoluzioni del western all’italiana e dopo l’esaurimento del genere alla fine degli anni Settanta torna a lavorare prevalentemente negli Stati Uniti. Tra le ultime interpretazioni di rilievo c’è 1997 - fuga da New York di John Carpenter. Il 16 dicembre 1989 muore per un infarto. Le sue ceneri riposano a Forest Lawn, vicino a Hollywood.
08 gennaio, 2020
8 gennaio 1970 – Georgius, un talento macchiato dal collaborazionismo

L’8 gennaio 1970 a Basoche-sur-Guyonne, in Francia, muore Georgius, un uomo dal talento multiforme che nella sua lunga carriera è stato cantante, attore, compositore, soggettista e anche romanziere di successo. Alla sua creatività sono ascrivibili una trentina di romanzi polizieschi, un numero imprecisato di opere teatrali, riviste e commedie cui, per essere precisi, andrebbero aggiunti più di duemila tra scenette, sketch e farse di breve durata. Dalla sua penna sono nate anche le parole di più di millecinquecento canzoni. Alla luce di una carriera così intensa e fertile l’appellativo di “Amuseur public n° 1” (letteralmente “trastullatore pubblico n° 1”) rende onore alla sua straordinaria dote, quasi naturale, di entrare in relazione con gli spettatori, capirne le aspettative e soddisfarle. Come ha scritto Robert Desnos «L’impostazione artistica di Georgius può essere apparentata ai graffiti. Egli traccia un segno veloce per abbozzare un contorno, un’apparenza quasi simbolica, ma non s’attarda a definirne i particolari». Abbozza, delinea e poi lascia che a riempire gli interstizi della sua creazione siano il frastuono della strada e i rumori a volte assordanti, a volte appena percepibili, della vita e della realtà delle persone. C’è chi ha avvicinato il suo stile a quello dei surrealisti, ma lui ha sempre evitato di farsi etichettare. Le sue canzoni hanno superato i confini del tempo e, come le sorgenti d’acqua buona, continuano a regalare freschezza anche in anni diversi da quelli in cui sono nate. Accade così che negli anni Sessanta della grande ribellione contro la tradizione e tutto ciò che ha il sapore del passato la sua Sur la route de Pen-Zac, scritta e portata al successo per la prima volta nel 1930, diventi un simbolo di rinnovamento. Nell’ondata dissacrante di quel periodo, infatti, la canzone viene recuperata da Les Charlots, uno dei gruppi più stralunati e surreali, nati come band di Antoine e divenuti un mito generazionale grazie anche a una fortunata serie di film. Georges Auguste Charles Guibourg, il futuro Georgius, nasce a Mantes-la-Ville il 3 giugno 1891 da Clémentine Augustine Bouteilly e da Georges Charles Joseph Guiborg, istitutore e giornalista. Poco tempo dopo la nascita del piccolo Georges la famiglia si trasferisce a Parigi seguendo il padre che ha iniziato a lavorare come redattore nel settimanale “La France aérienne”. Nelle intenzioni dei genitori il ragazzo dovrebbe diventare medico o, proprio come ripiego, avvocato. Studia anche il pianoforte e quando può lavora in una pellicceria. Nel 1907 inizia a esibirsi per i soci di un club privato cantando romanze e brani tratti dalle operette più in voga. L’anno dopo è uno dei cantanti scritturati per il Concerto del XX secolo che si svolge a Ménilmontant. Il suo modo di cantare e soprattutto il repertorio lo fanno assomigliare a quel tipo di interpreti che lui metterà alla berlina qualche anno dopo. «La mia vera natura era ancora ben nascosta e io cantavo con voce piagnucolante quelle canzoni che avrei così tanto preso in giro negli anni seguenti. Per la verità già allora mi sentivo ridicolo però ero davvero convinto che al pubblico piacesse soltanto quella roba». Nel 1909 l’impresario Dalos gli trova una serie di scritture in locali prestigiosi come l’Alhambra di Montreuil, l’Univers, la Fauvette e molti altri. Il repertorio è il solito, ma tra una romanza e un’aria da operetta Georgius si diverte a inserire qualche canzoncina comica come La polka des thunes e, soprattutto, Dans la fourrure (nella pellicceria), ritagliata sulla sua esperienza personale. Proprio questi siparietti umoristici convincono la direzione artistica del teatro Gaîté-Montparnasse a chiedergli di coprire provvisoriamente il ruolo di cantante comico nel varietà in cartellone. È il 1912. Il contratto da provvisorio diventa definitivo. Georgius resta sui manifesti del Gaîté-Montparnasse per tre anni regalando al pubblico cinque canzoni nuove alla settimana. Siccome non trova autori disposti ad assecondare quel ritmo decide di fare tutto da solo scrivendo parole nuove su arie già conosciute o affidandosi a una cerchia di amici musicisti disposti a dargli retta. La parodia diventa una delle sue specialità più apprezzate dal pubblico. Nel 1916 Georgius scrive “L’heure de la sieste”, la prima piéce teatrale della sua carriera, cui segue, due anni dopo, il primo spettacolo di rivista scritto, interpretato e diretto da lui: “La grande revue montmartroise”. Nel 1919 dà vita anche a Les Joyeux Compagnons, la propria compagnia teatrale. Il 28 gennaio 1921 sul palcoscenico de l’Européen presenta per la prima volta al pubblico il brano Sur un air de shimmy, destinato a diventare l’anno dopo il suo primo successo su disco. Alla metà degli anni Venti è al culmine della popolarità e il suo nome viene inserito nella ristretta rosa degli chansonniers di maggior successo. A differenza di quanto accade ad altri protagonisti di quel periodo la cui popolarità è immensa nella capitale ma scarsa nel resto del territorio francese, Georgius ottiene consensi in tutta la Francia. Non esiste città in cui i suoi concerti e, soprattutto, le sue riviste non siano letteralmente prese d’assalto dal pubblico entusiasta. In qualche caso, come all’Alcazar di Marsiglia dove le persone che non riescono a entrare provocano tumulti, si rende necessaria l’aggiunta di alcune repliche a quelle già previste dal programma. La gente canta in coro le sua canzoni, soprattutto Plus bath des javas, un brano che si prende gioco della Java, il ballo di moda di quegli anni. Nel 1926 la sua compagnia cambia nome e Les Joyeux Compagnons diventano Le Théâtre Chantant. Dietro il cambiamento c’è anche una novità nell’impostazione perchè Georgius sostituisce all’impianto del teatro di rivista tradizionale uno spettacolo basato su una serie di canzoni sceneggiate. Nel 1929 il suo spettacolo “Allô, ici Paris...” scandalizza il pubblico borghese del Moulin Rouge che si sente bersagliato dalla sua vena satirica e reagisce con freddezza. Lui non se ne cura. Due settimane più tardi viene portato in trionfo dagli spettatori che affollano all’inverosimile il cabaret Aux Buffes du Nord. Nel 1930 anche gli intellettuali cominciano ad accorgersi di Georgius e i critici musicali scrivono meraviglie della sua “vena surreale” regalandogli l’appellativo di “Amuseur public n° 1”. Nello stesso anno incide Sur la route de Pen-Zac un brano destinato a vendere ben 160.000 copie, una cifra assolutamente fuori dall’ordinario per l’epoca e che non ha alcun precedente nella ancor giovane storia dell’industria discografica francese. Meglio ancora va nel 1936 il disco di Au Lycée Papillon, che batte il suo record precedente diventa il brano di maggior successo commerciale di un periodo, gli anni Trenta, nel quale vedono la luce alcune delle canzoni più famose del suo repertorio come On ne peut pas plaire à tout le monde o Ça c’est d’la bagnole. Partecipa a vari programmi radiofonici e non rifiuta di sperimentarsi nel cinema. Nel 1941 veste i panni di Sganarello in una versione de “Il medico per forza” di Molière messa in scena dalla Comédie Française. Negli anni dell’occupazione nazista non abbandona il palcoscenico. Questa scelta gli vale l’accusa infamante di “collaborazionismo”. Nei mesi immediatamente successivi alla Liberazione viene processato e condannato a stare lontano dalle scene per un anno. In quel periodo inizia a scrivere i primi romanzi polizieschi di una lunga serie destinata a durare per circa vent’anni. Nel 1946 torna a esibirsi sul palcoscenico del Bobino, ma si accorge che i tempi stanno cambiando. Nuove mode, nuovi stili e nuovi protagonisti si stanno affacciando sulla scena e lui non se la sente di ricominciare da capo. Proprio dal palcoscenico del Bobino nel 1951 annuncia quello che lui stesso definisce il suo «ritiro dalla competizione». Non rinuncerà però a scrivere e registrerà ancora un disco prima della morte.
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