Nella notte tra il 18 e il 19 febbraio 2001 muore Charles Trenet. C'è chi l'ha definito il più grande chansonnier del ventesimo secolo, anche se è difficile stabilire una classifica in un genere che ha conosciuto il suo miglior momento proprio nel Novecento. Certamente Charles Trenet è stato uno dei giganti de la "chanson", la moderna canzone francese. Un attacco cerebrale in un ospedale di Creteil, spegne per sempre quel sorriso e quella gioia di vivere che l'avevano fatto entrare nel cuore di milioni di persone. «Sono entrato nell'infanzia a diciannove anni e non ne sono più uscito… prima ero troppo serio…» Quando muore ha 87 anni e per almeno sessanta è stato per tutti "le fou chantant”, il cantante folle, per l'esuberanza e la gioia che sprigionava nei suoi concerti. Quando nessuno ancora aveva inventato la parola cantautore lui è stato autore, compositore e interprete. Fin dal periodo in cui muove i primi passi nel teatro di rivista si impone come una sorta di trovatore moderno, capace di far incontrare la poesia con i ritmi derivati dal jazz. Un critico francese ha detto che nelle canzoni di Charles Trenet sembra che «Verlaine abbia incontrato Duke Ellington e insieme abbiano deciso di scrivere canzoni». Con lui muore un pezzo importante del Novecento musicale. A diciannove anni è già popolare nella Parigi notturna. A ventuno, affiancato dall'inseparabile amico Johnny Hess ottiene il suo primo contratto discografico. È il 1933 e i due, che si chiamano Charles et Johnny, nel giro di un paio d'anni registrano ben quindici dischi a settantotto giri. Ci vogliono ancora quattro anni prima che Charles recuperi il suo cognome, ridiventi Charles Trenet e realizzi, sotto l'ala protettiva di Maurice Chevalier, Je chante, il suo primo successo come solista. Da quel momento la crescita della sua popolarità diventa geometrica. Nel 1938 vince il "Prix du disque" e tutta Parigi impazzisce per questo giovane che mescola swing e poesia, tradizioni e rinnovamento attingendo a piene mani dalla straordinaria ed effimera vivacità di un periodo che vive con la stessa intensità il Fronte Popolare, il jazz e il surrealismo. In breve tempo assurge a mito e le sue canzoni, Je chante, Y'a d'la joie, Le soleil et la lune, La mer, Douce France e tante altre diventano la fonte d'ispirazione primaria per gran parte dei protagonisti della canzone francese contemporanea, da Georges Brassens, che lo ha sempre considerato suo padre spirituale, a Jacques Higelin. Nel 1978 pubblica un libro di memorie, "I miei anni giovanili", e annuncia di voler cantare fino a quando la salute lo regge. Quando, nel 1991, viene invitato in Italia al Premio Tenco, lui non si accontenta del ruolo di "ospite di riguardo". Si lancia in una indiavolata e travolgente esibizione nella quale ripropone le sue più famose canzoni senza dimenticarsi neanche un accenno di tip tap. «Ha settantotto anni, ma la voglia di vivere è quella di un ragazzino!» osservano i cronisti e la voce, impostata e senza incertezze appare del tutto immune al passare del tempo. Con il trascorrere degli anni diventa una sorta di icona immortale, un prestigiatore della canzone capace di estrarre dal cilindro sempre nuove sorprese. Nel novembre del 1999, a ottantasei anni compiuti, accetta di esibirsi ancora una volta a Parigi, di fronte a un pubblico emozionato più di lui. Nessuno fa più caso alla sua età. Nessuno pensa a lui come a qualcuno di passaggio. Quando ormai tutti cominciano a credere che sia davvero immortale, nella primavera del 2000 un ictus aggredisce il suo corpo. L'eterno ragazzo reagisce con la forza dello spirito e con una straordinaria voglia di vivere. Viene ricoverato ad aprile nell'ospedale americano di Neuilly-sur-Seine, dove resta per un mese e mezzo. Quando viene dimesso accetta di buon grado le faticose terapie di riabilitazione, e ride delle indiscrezioni dei giornali popolari sul suo abbandono definitivo delle scene. Per il suo ritorno in pubblico sceglie un evento eccezionale come l'ennesimo concerto di un altro grande personaggio della canzone francese: Charles Aznavour. In occasione della prima parigina della tournée di Aznavour arriva a sorpresa tra il pubblico. Si muove con qualche difficoltà ma sorride e appare lucido. Risponde con arguzia ai cronisti che gli si affollano intorno. «Sono obbligato a essere qui, visto che Aznavour ha rilevato le edizioni musicali Raoul Breton, che hanno in catalogo tutte le mie canzoni… è lui il mio padrone ora, non potevo mancare, non me l'avrebbe perdonata…». Le sue parole sono accompagnate dal solito sorriso ammiccante. Trova anche il tempo di alludere scherzosamente all'ictus che l'ha colpito. A un giornalista che gli chiede come abbia trovato Aznavour risponde «Senza difficoltà». Seduto tra gli invitati assiste al concerto nelle vicinanze del primo ministro Lionel Jospin e dà appuntamento a tutti per un suo prossimo ritorno in scena. Per la prima volta nella sua vita non manterrà la parola. Un attacco cerebrale glielo impedisce per sempre. Juliette Gréco alla notizia della sua scomparsa invita tutti a non piangerlo. «Io conservo di lui dei ricordi solari. Non servono le lacrime né le orazioni funebri: sarebbe come riconoscere la morte, e Trenet è la vita. Bisogna semplicemente cantare, e lui sentirà la nostra riconoscenza e il nostro amore».
Quello che viene chiamato "rock" non è soltanto un genere musicale. È uno stato d'animo, un modo d'essere che incrocia la musica, il cinema, la letteratura, il teatro e la creatività in genere compresa quella destinata alla produzione industriale. Per chi è nato negli anni Cinquanta e Sessanta è un sottofondo, una colonna sonora di ogni momento della vita, di pensieri e ricordi. Esiste da sempre e aiuta a vivere meglio...
19 febbraio, 2020
18 febbraio, 2020
18 febbraio 1965 – Nasce la Giulia Sprint GTA

«Una vittoria al giorno con la macchina di tutti i giorni». Con questo slogan l’Alfa Romeo il 18 febbraio 1965 presenta ad Amsterdam la Giulia Sprint GTA. Il modello, aggressivo e potente, nasce con l’esplicita intenzione di lasciare un segno nelle corse riservate alla categoria Turismo. La vettura deriva dalla Giulia Sprint CT, disegnata nel 1963 da Nuccio Bertone e presentata nello stesso anno prima ad Arese e poi a Francoforte che ha ottenuto uno straordinario successo di pubblico e di critica al punto che la rivista inglese “Car & Driver”, in genere restia a utilizzare toni eccessivi, scrive «Guidare questa macchina è divertimento puro». La Giulia Sprint GTA (A significa Alleggerita) ne sviluppa le potenzialità sportive e nasce con l’intenzione esplicita di essere una formidabile protagonista delle corse da Turismo. L’impegno progettuale è notevole. L’alleggerimento della vettura viene ottenuto grazie all’impiego di una lega chiamata Peraluman 25 e composta di alluminio, magnesio, manganese, rame e zinco a elevata resistenza meccanica. Con questo materiale il peso a secco si riduce così di oltre 200 Kg rispetto alla normale versione GT. Le qualità della GTA non si riducono, però, soltanto alla maggior leggerezza. Le sue caratteristiche da competizione vengono ancora più esaltate dall’elaborazione dell’Autodelta, la squadra corse Alfa Romeo, che apporta numerose modifiche non solo al motore ma anche ai gruppi meccanici. I preparatori che più si dannano l’anima per migliorarne le prestazioni si chiamano Conrero, Bosato, Facetti e Angelici. Le vetture destinate alle competizioni hanno le valvole più piccole, il differenziale autobloccante, il roll bar e altre dotazioni specifiche che ne perfezionano la trasformazione. Non è un modello alla portata di tutte le tasche visto che se il prezzo della GTA standard è di lire 2.955.000 le versioni destinate alle competizione raddoppiano il loro valore che sale a lire 5.033.000. Sono soldi ben spesi visto che i successi sportivi non si contano con piazzamenti di gran lunga superiori a quelli di automobili ben più qualificate e una lunga serie di primi posti assoluti nelle difficili gare in salita dove sembra non avere rivali. Fin dall’esordio, che avviene il 20 marzo del 1966 a Monza, centra la vittoria. Quell’anno vince tutto quello che c’è da vincere, dalle 4 ore di Sebring alle 6 Ore del Nurburgring, al circuito del Mugello e poi ancora in Germania, Gran Bretagna, Olanda e Francia. Questa sequenza di successi le vale la conquista, nel 1966, del Challenge Europeo Marche per vetture da turismo guidata da Andrea De Adamich. Al trofeo l’imbattibile GTA si abbona anche negli anni successivi vincendolo a mani basse anche nella stagione 1967 sempre con De Adamich e nel 1969 con Spartaco Dini. Tra il 1966 e il 1968 la vettura sembra non avere rivali in grado di mettere in discussione la sua superiorità. L’elenco dei risultati ottenuti dai piloti della Casa e dei privati al volante della GTA è incredibile: centinaia di vittorie, decine di titoli nazionali (perfino negli Stati Uniti e un Sudamerica), tre Challenge Europei e un campionato europeo della montagna con Ignazio Giunti, soltanto per citare quelli più significativi. Nonostante i successi i progettisti dell’Autodelta non rinunciano a migliorare ulteriormente la vettura. Tra il 1967 e il 1968 una decina di esemplari vengono ulteriormente potenziati con l’adozione di un particolare sistema di sovralimentazione. Sono le GTA-SA, sigla nella quale SA sta per sovralimentata, che dominano le gare di categoria in vari paesi d’Europa, soprattutto in Belgio, Francia e Germania, ottenendo risultati di rilievo. Un’ulteriore evoluzione, a partire dal 1968, è rappresentata dalla GTA 1300 Junior. Questa vettura, nata nel 1968 conferma la supremazia dell’Alfa Romeo nelle competizioni Turismo. Costruita in 447 esemplari domina fra le vetture della sua cilindrata per quattro anni consecutivi aggiudicandosi il titolo assoluto nel 1971 e nel 1972. All’inizio degli anni Settanta fa il suo debutto la 1750 GTA-M (M sta per “Maggiorata”) che vince il Campionato Europeo nel 1970 con il pilota tedesco Toine Hezemans. La stessa vettura l’anno dopo, pur senza nessuna variazione, viene ribattezzata 2000 GTA-M e rivince il titolo nella sua classe. La lunga cavalcata della GTA è, però, arrivata alla fine. Nuovi modelli si affacciano alle corse e l’evoluzione tecnica non si ferma. Nonostante la fine del suo dominio la GTA resta nel mito dell’automobilismo mondiale e sopravvive ancora oggi in alcuni esemplari perfettamente restaurati e sempre oggetto di ammirazione per i numerosi appassionati e cultori delle Alfa Romeo di razza.
17 febbraio, 2020
17 febbraio 1977 - Lama vattene!

16 febbraio, 2020
16 febbraio 1957 – Il settimo sigillo
Il 16 febbraio 1957 esce nelle sale svedesi il film “Det sjunde inseglet” di Ingmar Bergman, conosciuto nel nostro paese con il titolo “Il settimo sigillo”, ispirato alla piéce teatrale “Pittura su legno” scritta dallo stesso Bergman nel 1955 per la sua compagnia teatrale. Girato nel 1956 a Hovs Hallar, nella riserva naturale di Scania, il lungometraggio racconta la lunga partita a scacchi tra la morte, interpretata da Bengt Ekerot e Antonius Block, un cavaliere tornato dalle crociate stanco e disilluso che ha il volto di Max Von Sydow. “Il settimo sigillo” segna una tappa fondamentale nella storia del cinema e consacra definitivamente il talento di Bergman. L’aspetto curioso della vicenda è che la partita non è né leale né lineare, visto che alla fine la morte sarà costretta a barare per avere ragione del suo avversario. Negli stessi luoghi dove è stato girato “Il settimo sigillo” Ingmar Bergman ambienterà successivamente anche il film “L'ora del lupo” del 1968.
15 febbraio, 2020
15 febbraio 1910 - Walter Fuller, trombettista e qualche volta cantante

14 febbraio, 2020
14 febbraio 1965 – È un bel giovane moro, si chiama Lucio Battisti

13 febbraio, 2020
13 febbraio 1977 - Cicciolina a Radio Luna

12 febbraio, 2020
12 febbraio 1944 - Claudia Mori, una donna di talento

11 febbraio, 2020
11 febbraio 1925 – Aristide Bruant, il poeta dal tabarro

10 febbraio, 2020
10 febbraio 1966 – Caro Bob Marley, ti decidi a baciarmi?

09 febbraio, 2020
9 febbraio 1942 – Barbara Donald, la trombettista che suona con Coltrane

Il 9 febbraio 1942 a Minneapolis, nel Minnesota, nasce Barbara Kay Donald. A nove anni inizia a studiare la cornetta e poi passa alla tromba. Trasferitasi a Los Angeles prosegue la sua formazione musicale perfezionandosi in vari ottoni e nel canto. Tra i suoi maestri figura anche Little Benny Harris. A partire dal 1960, a soli diciotto anni, si dedica a tempo pieno alla musica dando inizio a una carriera destinata a regalarle numerose soddisfazioni sia come leader di propri gruppi che come strumentista in orchestre jazz come quella di Chuck Cabot e in vari gruppi di rock & roll. Negli anni Sessanta suona al fianco di solisti come Dexter Gordon, Gene Russell, Stan Cowell e Burt Wilson. Nel 1962 sposa il pianista norvegese Ole Calmeyer da cui divorzia nel 1965 per unirsi al sassofonista Sonny Simmons. Da quel momento lavora quasi esclusivamente con il marito con il quale suona e incidere con musicisti come Michael White, Clifford Jordan, Richard Davis, Cecil McBee, Billy Higgins, Charles Moffett, Prince Lasha, Roland Kirk, Lonnie Liston Smith, John Hicks e tanti altri. Nel 1965 la trombettista lavora anche con John Coltrane. Muore il 23 marzo 2013 a Olympia, nello stato di Washington.
08 febbraio, 2020
8 febbraio 1967 – A Pisa la prima occupazione

07 febbraio, 2020
7 febbraio 1980 - Sanremo fa trenta e si rilancia con Benigni
Il 7 febbraio 1980 prende il via il Festival di Sanremo. È l’anno del trentennale di questa manifestazione, data più volte per morta, e che miracolosamente sembra, invece, suscitare nuovi interessi. Alla rassegna partecipano, accanto ai nomi affermati di Bobby Solo, Gianni Morandi o Peppino Di Capri, i nuovi protagonisti della musica leggera italiana di quel periodo, da Toto Cutugno a Pupo, al graffiante e ironico cantautore Stefano Rosso. Tra i debuttanti particolare interesse suscitano i Decibel, un gruppo proveniente dalle file del punk milanese, il cui cantante, un ossigenato e biondissimo Enrico Ruggeri, è destinato a segnare profondamente la storia della canzone italiana a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta. L’evento più significativo è, però, la presenza sul palcoscenico, nelle vesti di presentatore, di uno scatenato e straripante Roberto Benigni, affiancato da Olimpia Carlisi e da Claudio Cecchetto. Il comico toscano fa scalpore per la sua conduzione del tutto fuori dall’ordinario e riesce anche a collezionare una denuncia da parte di un gruppo integralista cattolico per l’epiteto “Wojtilaccio”, rivolto al Papa. Il vincitore dell’edizione del trentennale è Toto Cutugno, l’ex leader degli Albatros, che conferma il suo buon momento con il brano Solo noi, seguito da un sorprendente Enzo Malepasso con Ti voglio bene e da Pupo con Su di noi.
06 febbraio, 2020
6 febbraio 1965 – La prima volta dei Righteous Brothers
Il 6 febbraio 1965 sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti al vertice delle classifiche dei dischi più venduti c’è il brano You've lost that lovin' feelin' dei Righteous Brothers. È il primo grande successo del duo formato da Bill Medley e Bobby Hatfield, due ragazzoti che, dopo aver iniziato in band diverse, hanno unito i loro destini in un’unica ditta nel 1962. Considerati i successori degli Everly Brothers, fanno il loro debutto discografico nel 1963 con l'album Righteous Brothers e con il singolo Little latin lupe lu catturando l'attenzione del pubblico per l'impasto e la pulizia delle loro voci. Tra il 1963 e il 1964 i Righteous Brothers portano in classifica brani come Fanny Mae, Koko Joe e Try and find yourself another man, ma è solo nel 1965 che, sotto l'abile guida di Phil Spector centrano il grande successo internazionale con You've lost that lovin' feelin' e Unchained melody, divenuti poi due classici degli anni Sessanta. Il loro successo viene poi confermato da singoli come Just once in my life e Soul and inspiration. Nel 1967 i due fondatori si separano. Medley prosegue come solista mentre Bobby Hatfield tiene vivo il nome dei Righteous Brothers con Jimmy Walker come nuovo socio. Non è però la fine del sodalizio originale. Nel 1974, infatti, Medley e Hatfield tornano insieme come Righteous Brothers ottenendo un notevole successo con l'album Give it to the people e con il singolo Rock 'n' Roll heaven. È la prima di una lunga serie di riunificazioni occasionali del duo grazie al periodico recupero dei loro brani di successo.
04 febbraio, 2020
5 febbraio 1903 - Earl Fouché, saxoclarinettista di Sam Morgan
Il 5 febbraio 1903 nasce a New Orleans, in Louisiana, il saxoclarinettista Earl Fouché. Nipote di John Joseph, uno dei primi maestri di contrabbasso di New Orleans, inizia a suonare il sassofono proprio sotto la guida dello zio quando è ancora ragazzo. Trasferitosi a New York con la famiglia verso il 1920 continua i suoi studi musicali con il professor Henry Nickerson, un insegnante creolo molto quotato tra i musicisti di colore residenti ad Harlem. Rientra poi a New Orleans nel 1925 e viene subito ingaggiato dai fratelli Morgan (Isahia e Sam), con i quali lavora per diversi anni consecutivi; esibendosi nei più rinomati locali della città e conquistandosi una grossa popolarità anche in grazie alla quotazione e alla fama di cui godeva la jazz band di Sam Morgan. Con questa formazione Fouchè registra una serie di dischi per la Columbia che sono oggi annoverati tra i migliori in assoluto incisi a New Orleans nel corso degli anni Venti e nei quali ha modo di emergere come solista di sax alto dimostrando delle doti tecnico-strumentali non comuni per quell'epoca. Nel 1932, dopo lo scioglimento dell'orchestra di Morgan, suona al Country Club a fianco di Steve Lewis e Johnny St. Cyr e poi si aggrega alla Tuxedo Orchestra di Bebè Ridgely. Nel 1937 si trasferisce a San Antonio nel Texas per suonare nel gruppo di Don Albert con il quale effettua un lungo tour. Nel dopoguerra si stabilisce a Santa Barbara in California dove riprende a suonare alla testa di un suo gruppo a struttura variabile che manterrà per anni.
03 febbraio, 2020
4 febbraio 1981 - La prima volta di J.R.

02 febbraio, 2020
2 febbraio 2002 – I Subsonica al vertice della classifica

Il 2 febbraio 2002 fa un certo effetto vedere al vertice della classifica dei dischi più venduti in Italia un album decisamente inusuale come Amorematico dei Subsonica. Il successo della band torinese nata nel 1996 dall'incontro di Samuel, il cantante degli Amici di Roland, con il chitarrista C-Max proveniente dagli Africa Unite conferma le tesi di chi sostiene che la crisi di vendite dell'industria discografica italiana nasca, oltre che dai prezzi, dalla sostanziale mancanza di idee. Lo pensano anche i Subsonica: «Quando cominci a vendere dischi, arriva un sacco di gente che ti spiega come hai fatto e come devi comportarti per restare in vetta. A noi non interessava uniformarci a un format sonoro gradevole e scacciapensieri che fa contenti gli uffici marketing ma che ha distrutto il mercato discografico». Il disco conferma le qualità del gruppo cresciuto nel vivace nightclubbing torinese ed esalta l'apporto di DJ Roger Rama, uno che pensa che la contaminazione espressiva sia una pratica e non una vuota teorizzazione. In più ci sono i testi, che affondano l'ispirazione nella realtà e raccontano anche la persecuzione del diverso, le manifestazioni no-global e gli scontri di Genova. Non è un album rivoluzionario, ma segnala la possibilità che qualcosa possa cambiare nel panorama e nel linguaggio della musica italiana. Alla conferenza stampa di presentazione i Subsonica hanno giustificato l'assenza del rapper marocchino Rachid dicendo «avrebbe dovuto essere qui, ma è stato pestato a sangue da tre carabinieri mentre camminava nel parco del Valentino». Sono fatti così e vederli in vetta alla classifica mette di buon umore tutti quelli che vogliono bene alla musica e al mondo…
31 gennaio, 2020
31 gennaio 1937 - Philip Glass, un minimalista nella new age

Il 31 gennaio 1937 nasce a Baltimora il tastierista Philip Glass forse il più osannato esponente del movimento minimalista e uno degli iniziatori della "new age music". Diplomatosi alla Juilliard School, nel 1964 si stabilisce a Parigi dove avvia una ricerca particolare influenzato dalla musica tibetana e dal sitarista indiano Ravi Shankar, oltre che, per la parte teorica del suo lavoro, dalla pedagoga musicale francese Nadia Boulanger. Proprio l'adattamento della musica di Ravi Shankar per il film "Chappaqua" è considerato il primo lavoro di rilievo della sua carriera. Tornato a New York all'inizio degli anni Settanta lavora con La Monte Young, Terry Riley e Steve Reich. Successivamente forma il Philip Glass Ensemble e diventa rapidamente uno dei maggiori esponenti di quel movimento minimalista che ha preso avvio dall'album In C di Terry Riley pubblicando album come Music in similar motion & music in 5ths nel 1973, Music in 12 parts 1 & 2 nel 1974, North star nel 1977 e molti altri. Tra le sue creazioni musicali legate alle immagini hanno particolare importanza la colonna sonora del film "Toscando", l'opera Einstein on the beach (, composta nel 1976 insieme al direttore d'orchestra Robert Wilson, Satyaghra nel 1979 sulla vita di Gandhi) e Akhnaten nel 1984 sulla vita del faraone Ajnatòn. In quest'ultima Glass utilizza ben sei voci soliste più l'orchestra e i cori della Stuttgart State Opera. Philip Glass è stato il primo artista, dopo Igor Stravinsky, a firmare un contratto discografico esclusivo con la CBS Masterworks. Nel 1984 Philip compone la musica per la cerimonia d'apertura delle Olimpiadi di Los Angeles e nel 1986 pubblica Songs from liquid days con la collaborazione di David Byrne, Laurie Anderson, Suzanne Vega, Paul Simon per i testi e con alcune interpretazioni di Linda Ronstadt, Douglas Perry e del Kronos Quartet. Nel 2015 ha pubblicato la propria Autobiografia, dal titolo
"Parole senza musica".
29 gennaio, 2020
29 gennaio 1959 – Jula De Palma scandalizza l'italietta bigotta
Alle ore 22,20 di giovedì 29 gennaio 1959 sul palcoscenico del Festival di Sanremo sale Jula De Palma, all’anagrafe registrata con il nome di Iolanda De Palma, una ragazza milanese di ventisette anni che da tempo non fa dormire sonni tranquilli a bigotti e moralisti. Cinque anni prima, infatti, in un’intervista rilasciata al settimanale “Sorrisi e Canzoni” quando le era stato chiesto se ammettesse il divorzio, invece di allinearsi alla tesi ufficiale dell’indissolubilità del matrimonio o trincerarsi dietro a un riserbo sospetto (il massimo della dissociazione consentito in quel periodo) aveva candidamente risposto: «Si, nel senso di non creare situazioni illegali in un matrimonio sbagliato». Nata nell’ambiente del jazz e scoperta da Lelio Luttazzi, che a soli diciotto anni l’ha aiutata a entrare nel ristretto gruppo dei cantanti della Rai, si è conquistata stima e simpatia per il suo stile ispirato alle grandi vocalist del jazz e la voce carica di sensualità. Considerata una delle più innovative cantanti della musica leggera italiana di quel periodo è però insofferente alle limitazioni. Per questa ragione piace molto al pubblico e meno a impresari e manager che vivono ogni sua esibizione pubblica con il fiato sospeso. Nonostante tutto in quella serata del 29 gennaio 1959 non ci sembrano esserci motivi di preoccupazione. Jula De Palma deve cantare Tua, una canzone composta da Pallesi e Malgoni che in gara viene eseguita anche dalla voce tranquilla di Tonina Torrielli, l’ex operaia di una fabbrica dolciaria soprannominata “la caramellaia di Novi Ligure”. Eppure quando la ragazza sale sul palcoscenico del Festival succede qualcosa di particolare. La sensualità sbarca per la prima volta sul proscenio del festival musicale più popolare d’Italia. Fin dalle prime note la sua voce si muove su tonalità inusuali, di derivazione jazzistica. Profonda e sensuale, quasi impercettibile sussurra confidenziale «Tua, tra le braccia tue...» in solitudine, accompagnata soltanto dal contrabbasso. È una voce nuda, cioè senza accompagnamento orchestrale, che si riveste progressivamente con l’ingresso successivo dei vari strumenti. Dopo il contrabbasso tocca alla batteria, che entra in punta di... spazzola, per non turbare l’atmosfera e poi via via gli altri ma senza mai coprire la voce che, come un serpentello, si avviluppa alle note con grazia tentatrice. La sua straordinaria interpretazione, ricca di sensualità, viene accusata di essere «...scandalosa al limite dell’offesa al pudore». L’accusa oggi può far sorridere ma nell’Italia bigotta degli anni Cinquanta c’è poco da scherzare. Alla Rai e ai giornali arriva una lunga serie di lettere di protesta. Una tra le molte che vengono rese pubbliche finisce per restare emblematica dell’epoca. È di una donna che si definisce “una sposina” e chiede addirittura l’intervento della magistratura contro la “scandalosa cantante” perchè il suo modo di cantare potrebbe configurare il reato di “istigazione all’adulterio”. Un incauto critico giornalista scrive che la ragazza ha eseguito la canzone «...come se fosse in camera da letto» e altri non perdono l’occasione per rilevare come il morbido e leggero vestito da sera indossato per l’occasione assomigli a una camicia da notte. Insomma sulla testa della povera Jula De Palma si scatena una vera e propria tempesta mediatica che rischia di travolgerla. Poi finalmente il Festival finisce con Tua che si piazza al quarto posto. Le polemiche invece continuano ancora per un po’ anche se la casa discografica della cantante accetta di modificare il passaggio «Tua/sulla bocca tua/finalmente mia...» in «Tua/ogni istante tua/dolcemente tua...». Se l’accorgimento consente al disco di evitare rischi non così accade a Jula De Palma che da quel momento si vede oggetto di censure ripetute. Non viene bandita dalla scena radiotelevisiva italiana come accadrà a Mina, ma nei suoi confronti l’Italia bigotta e codina dell’epoca mette in atto una serie di “ritorsioni” e “dispetti” che finiscono per condizionarne la carriera. Per anni le viene attribuita la fama di essere un “personaggio incontrollabile” sul piano caratteriale e una cantante troppo snob per il grande pubblico. In realtà è una delle pochissime interpreti che dopo essere arrivate alla musica pop dal jazz non tradiscono le proprie origini ma tentano di mettere in relazione i due differenti generi musicali. Nonostante tutto nella sua lunga carriera partecipa a varie manifestazioni musicali e pubblica molti dischi, tra cui due divertenti EP intitolati Quando una ragazza si chiama Jula 1 e Quando una ragazza si chiama Jula 2 oltre a un album ispirato al jazz dei suoi primi anni intitolato Whisky e Dixie. Nel 1972 dà l’addio al palcoscenico con un recital al Teatro Sistina di Roma accompagnata dall’orchestra di Gianni Ferrio e nel 1974 si esibisce per l’ultima volta in televisione cantando una divertente versione di Tulipan con Raffaella Carrà e Mina nel programma “Milleluci”. Qualche tempo dopo decide di lasciare l'Italia con il marito Carlo Lanzi per stabilirsi in Canada. Le sue qualità interpretative e la sua ecletticità musicale le valgono il rispetto della critica e un buon successo di pubblico. A dispetto delle emarginazioni e delle censure con il passare degli anni la sua figura artistica è stata rivalutata anche nel confronto con le interpreti più popolari dell'epoca.
28 gennaio, 2020
28 gennaio 1930 – Angel "Pocho" Gatti, il jazzista venuto dall’Argentina

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