15 marzo, 2020

15 marzo 1908 - Spencer Clark, un pilota al sax basso

Il 15 marzo 1908 nasce a Baltimora, nel Maryland, il sassofonista Spencer Clark. Muove i primi passi nella musica cimentandosi con vari strumenti a fiato e con un mandolino recuperato chissà dove. Quando è ancora indeciso sullo strumento la sorte sceglie per lui. Nel 1923, infatti, a soli quindici anni ottiene il suo primo ingaggio professionale come sassofonista a New Rochelle, una cittadina vicino a New York. Ammiratore di Adrian Rollini, considerato uno dei più grandi virtuosi di sax basso che il jazz abbia avuto, si dedica a quello strumento cogliendo anche l'opportunità di sostituire lo stesso Rollini in seno ai California Ramblers riuscendo a non far avvertire l'assenza del maestro. Nel 1926 suona al Ramblers Inn con un gruppo da lui stesso formato, i Little Ramblers, di cui fanno parte, tra gli altri, il pianista Lennie Hayton e il chitarrista Carl Kress. Chiusa questa esperienza entra a far parte dei Vagabonds con Tommy Dorsey e poi degli University Six. È però il suo sodalizio con i Gufus Five e con i California Ramblers, due gruppi che comprendono più o meno gli stessi musicisti (Chelsea Quealey, Al Philburn, Sam Ruby, Jack Russin, Pete Pumiglio, ecc.) a consentirgli di affermarsi come l'unico grande rivale di Rollini al sax basso. Nel 1928 Spencer Clark si trasferisce in Europa per suonare con l'orchestra di George Carhart, avendo come partner Bud Freeman, Jack Purvis e Babe Russin, e successivamente con quella di Danny Polo. Rientrato negli Stati Uniti nel 1931 lavora con Bert Lown, Will Osborne e Fred Waring, tre personaggi di spicco nell'ambito delle orchestre da ballo. Negli anni successivi suona con le orchestre di Ozzie Nelson, Irving Conn e Dick Stabile. Nel 1939 si arruola in aviazione e anche dopo la guerra continua a lavorare come pilota di società commerciali e pubblicitarie. Negli anni Cinquanta riprende saltuariamente, a suonare e nel corso del 1957 è con i Windy City Seven di Freddie Wacher. La musica e il jazz non sono però più all’apice dei suoi interessi. Tra le sue ultime apparizioni sulla scena jazzistica c’è l’esibizione al festival di Manassas in Virginia nel 1973 con Max Kaminsky, Billy Rank, Tom Gwaltney, John Eaton e Gene Mayl. Muore il 27 maggio 1998.


14 marzo, 2020

14 marzo 1996 – Lucio Fulci, da medico ad autore di canzoni a straordinario regista

Il 14 marzo 1996 muore Lucio Fulci, uno dei protagonisti della nascita del rock and roll in Italia e uno dei più apprezzati registi del cinema di genere di casa nostra. Nato il 17 Giugno 1927 a Roma Lucio Fulci per far contenti i genitori si laurea in medicina ma fin dall’inizio sa che non è il medico la professione cui è destinato. La sua passione sono il jazz, il nascente rock and roll e il cinema. Per raggranellare qualche soldo fa il critico cinematografico del Messaggero e, insieme all’altro regista Piero Vivarelli, scrive canzoni per Adriano Celentano come Il tuo bacio è come un rock e 24000 baci. Nello stesso periodo supera anche il difficile esame di ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lavora poi come sceneggiatore e nel 1959 debutta alla regia con la commedia "I ladri", cui seguono un paio di musicarelli, alcune commedie e, soprattutto, un pugno di film di successo con la coppia Franco Franchi – Ciccio Ingrassia. Il cinema non ha misteri per uomini come lui, abili professionisti cresciuti lavorando giorno dopo giorno in un ambiente di cui conoscono e sanno gestire ogni aspetto, dalla produzione alla regia, dal montaggio alla musica agli effetti speciali. Osannato all’estero e bistrattato in patria dalla critica come molti altri protagonisti della scena cinematografica italiana degli anni Sessanta e Settanta alla fine è stato tardivamente riscoperto anche in Italia. Colto sperimentatore inizia ad approfondire il tema della rappresentazione cinematografica della violenza partendo dal “Teatro della crudeltà” teorizzato da Antonin Artaud nel suo celebre testo “Il teatro e il suo doppio”. L’autore francese sostiene la rappresentazione scenica della crudeltà come linguaggio per scuotere lo spettatore e per stimolarlo a una diversa percezione della realtà. Fulci tenta con successo di applicarne la lezione nel cinema. Ammalatosi di diabete muore il 14 marzo 1996 alla vigilia dell’inizio delle riprese del "M.D.C. - Maschera di cera", prodotto da Dario Argento e affidato poi a Sergio Stivaletti.

13 marzo, 2020

13 marzo 2003 – I PGR per la prima volta in tour

Il 13 marzo 2003 i PGR (Per Grazia Ricevuta) partono per la prima volta in tour. Li accompagna un nuovo album sul quale è stata fermata la magia della loro nascita. Si intitola Montesole e contiene gran parte dei brani di quella serata tranne due, tratti dalle session di registrazione del primo album. «È il 29 giugno 2001. Una sera d'estate nitida in cielo e serena in terra, negli occhi che si scrutano, si salutano, sorridono». Così Giovanni Lindo Ferretti, cantautore ispirato di lungo corso, ispiratore e protagonista dell'avventura dei CCCP e dei CSI racconta la nascita dei PGR, ennesima metamorfosi di un gruppo di musicisti costretto dalla natura e dalla sorte a non sciogliersi mai davvero permettendo a «una storia finita e rifinita di rigenerarsi in altro senza rinnegarsi in niente». In quel giorno non così lontano da apparire leggendario il Parco Storico di Montesole, ospita un concerto in memoria di Don Dossetti organizzato proprio da Giovanni Lindo Ferretti con la collaborazione delle amministrazioni comunali di Monzuno e Marzabotto. Sul palco con lui salgono Ginevra Di Marco, Gianni Maroccolo, Giorgio Canali e Francesco Magnelli, vale a dire l'intera formazione dei disciolti CSI meno Massimo Zamboni, da tempo incamminatosi su altre strade. Ad applaudirli c'è una folla immensa che Lindo Ferretti così definisce: «… ragazze e ragazzi, uomini e donne che arrivati, seguendo poche e confuse indicazioni, ai parcheggi o in stazione si sono incamminati salendo le dolci ma ripide colline dell'Appennino verso "un non so che si trova a volte a caso"… Sandali e ciabatte, scarponi e anfibi. Qualcuno arriva uscendo dai vespri e incrocia qualcuno che bestemmiando gli chiede chi glielo ha fatto fare, poi la sorpresa di una piccola conca, un prato in alto, brulicante di umanità fiera e indigesta, una piccola pedana con un pianoforte a coda, qualche microfono, una chitarra, qualche tastiera e un basso e un piccolo impianto di amplificazione. Tante candele a illuminare, tenue, la notte». In quell'atmosfera magica prende vita un nuovo progetto, che si forma e si sviluppa in quel preciso momento e in quel luogo. Le percezioni dal palco vengono così descritte dallo stesso musicista: «Bicchieri di vino, panini, fumo, birra. In basso l'autostrada, la ferrovia, i paesi e le città, invisibili ma percepibili a orecchie e occhi attenti. Intorno le montagne, la linea gotica in tutto il suo splendore, pacificato e rigenerato. Un paradiso terrestre nel luogo dell'onore, della strage, della desolazione, nel tempo di una generazione». Così riparte un'avventura che in molti si auguravano non dovesse finire mai. Su quel palco nel parco di Montesole i cinque musicisti ripercorrono proprio quella storia regalandole colori diversi e nuovi punti di vista. Come in una cavalcata sospesa tra memoria e consapevolezza della realtà scorrono brani nuovi e altri ripescati dal repertorio dei CCCP e dei CSI che appaiono però già percorsi da una nuova pulsione capace di farli sembrare contigui e diversi dalla loro prima versione. Meno di due anni dopo la banda torna in cammino, in un momento in cui soffiano forti i venti di guerra e Giovanni Lindo Ferretti non ha alcuna intenzione di tirarsi indietro sull'argomento: «Nessuno può chiamarsi estraneo, nessuno può dirsi, in onestà, innocente. Uno spazio che va attraversato è il disgregarsi dei mondi, dei modi e ordini di pensiero e il loro tumultuoso incontro-scontro-mutazione. Distruzione e ricomposizione in un equilibrio sempre più difficile per la potenza delle armi in atto, le nostre, dell'Occidente. Armi cedute o imposte a ogni possibile alleato contro ogni possibile nemico in un caotico andirivieni più degno di apprendisti stregoni che di governi democratici». E, per citare una sua canzone, «tra il conto e il tornaconto, i conti non tornano…». Il resto è già nelle silenziose corde della musica di una band arrivata alla terza mutazione. Silenziose perché nascoste e incomprensibili, come tutti i misteri legati alla possibilità di rinascere dalle proprie ceneri, su un palco o nella vita... Non tutte le rinascite sono uguali a se stesse come dimostrerà proprio Lindo Ferretti che nel 2006 si schiererà per la prima volta nella sua vita con la destra clericale.

12 marzo, 2020

12 marzo 1957 – Bob Graettinger, il compositore preferito da Stan Kenton


Il 12 marzo 1957 muore a Los Angeles, in California, il compositore Robert Graettinger. Nato nella cittadina californiana di Ontario il 31 ottobre 1923, all'età di soli nove anni inizia a studiare il sassofono e nel 1939 fa il suo debutto come compositore scrivendo e arrangiando diverse composizioni per Bobby Sherwood. Lavora poi con Benny Carter, Johnny Richards, Alvino Rey e Jan Savitt, mettendo in luce le sue notevoli qualità come compositore e arrangiatore. Nel 1947 inizia a collaborare con Stan Kenton, per il quale realizza alcune delle sue più importanti e significative realizzazioni: Thermopolae nel 1947, City of Glass nel 1948 poi rielaborata anche nel 1951, House of Strings, Incident in Jazz e This Modern World tra il 1951 e il 1953. Muore prematuramente lasciando un corpus di lavori che dimostrano come sia sbagliato considerare Graettinger soltanto come un semplice arrangiatore jazzistico, visto che le sue elaborazioni lasciano intravedere ambizioni di scrittura molto dissimili da quelle usualmente riscontrabili nei lavori destinati a sorreggere l’improvvisazione jazz. Robert Graettinger ha una sua particolare originalità. Lavori come City of Glass, House of Strings e This Modern World dimostrano un'approfondita conoscenza dei meccanismi espressivi kentoniani. È la nevrosi urbana la principale fonte d’ispirazione delle sue composizioni anche se ha il difetto di non fare mai interamente propria la lezione dell’improvvisazione nera.




11 marzo, 2020

11 marzo 1921 - Astor Piazzolla, il tango incontra il jazz

L’11 marzo 1921 nasce a Mar del Plata, in Argentina, il musicista e compositore Astor Piazzolla, l’artista che con il suo bandoneón, una piccola fisarmonica poligonale viene considerato il massimo esponente del Tango moderno. Dopo aver compiuto regolari studi classici sotto la guida di grandi maestri come Ginastera e Boulanger, la sua opera si orienta quasi esclusivamente alla rivitalizzazione del Tango. La sua scrittura raffinata, tesa e struggente, e i suoi assoli di bandoneón, ricchi di accenti ritmici direttamente derivati dal jazz ne fanno un musicista unico nel panorama mondiale. Nel 1931 incontra a New York il leggendario Carlos Gardel, che, intuendone il talento, gli propone una parte nel film “El dia que me quietas”. Nel 1967 scrive Maria de Buenos Aires, il primo musical interamente ispirato al Tango che viene rappresentato con grande successo nei teatri di tutto il mondo. Con lui la musica da ballo argentina incontra il jazz e diventa adulta. Forma varie orchestre, tra cui il celebre Conjunto 9, collabora con jazzisti come Gerry Mulligan e Gary Burton e con cantanti come Milva. Alla sua fertile vena compositiva si devono due opere, un oratorio, vari brani per orchestra, le colonne sonore dei film “Enrico IV” di Marco Bellocchio, “Tangos” e “Sur” di Fernando Ezequiel Solanas e oltre 300 tanghi. Muore a Buenos Aires il 4 luglio 1992.


10 marzo, 2020

10 marzo 1970 – Elton John, un pianista per gli Hollies anzi no


Il 10 marzo 1970 nei leggendari Abbey Road Studios, la tana in cui sono nati i successi dei Beatles, c’è molta agitazione. Si sta registrando, infatti, I can’t tell the bottom from the top, il brano che dovrebbe segnare il rilancio degli Hollies. La band, considerata uno dei grandi gruppi beat degli anni Sessanta, è in piena crisi dopo che, un anno prima, il suo chitarrista Graham Nash se n’è andato oltreoceano a cercare fortuna. Nonostante l’inserimento di Terry Silvester il gruppo, la cui formazione è completata dai chitarristi Allan Clarke e Tony Hicks, dal batterista Bobby Elliot e dal bassista Bernie Calvert, fatica a mantenersi a galla. Per la verità, dopo la fuga di Nash, gli Hollies hanno pubblicato qualche singolo di successo come Listen to me, Sorry Suzanne e He ain't heavy, he's my brother, ma la loro storia sembra arrivata alla fine. «Scordatevi gli Hollies. Senza Graham Nash assomigliano a una minestra costantemente riscaldata» scrive di loro uno dei più famosi critici musicali britannici. Per questo il 10 marzo 1970 entrano negli studi di Abbey Road decisi a dare una svolta nella loro carriera. Dopo qualche ora di lavoro decidono di fare una pausa, insoddisfatti del risultato. Mentre stanno discutendo tra loro vedono un ragazzotto brufoloso, basso di statura, con una frangetta sulla fronte e un paio di occhiali spessi che s’aggira con aria un po’ persa nei corridoi. Il suo nome d’arte è Elton John, ha pubblicato qualche disco senza particolari risultati e in quel periodo sbarca il lunario cercando ingaggi come pianista in sala di registrazione. «Un pianoforte, ecco quel che ci vuole!» Allan Clarke convince i compagni che per dare maggior corpo al suono del gruppo è indispensabile aggiungere alla formazione un pianoforte. «Ehi, ragazzo, te la senti di darci una mano?» Il giovane pianista guarda un po’ emozionato il leader di uno dei gruppi più famosi della Gran Bretagna che lo invita a suonare con lui. Inizialmente si schermisce, ma poi accetta, anche perché non sa dir di no al compenso che gli viene proposto. Gli Hollies registrano così, con l’apporto di quel brufoloso e sconosciuto pianista, I can't tell the bottom from the top, il brano del loro rilancio. Allan Clarke è entusiasta del risultato e glielo dice: «Ci sai fare davvero». Per un attimo il ragazzo pensa di aver trovato un lavoro, ma non c’è niente da fare. La formazione degli Hollies non si tocca e lui dovrà aspettare per qualche tempo ancora prima di arrivare al successo.





09 marzo, 2020

9 marzo 1994 – Fernando Rey, l’attore preferito da Luis Buñuel

Il 9 marzo 1994 muore di cancro a Madrid Fernando Rey, l’attore preferito da Luis Buñuel. Nato a La Coruña, in Spagna, il 20 settembre 1917 viene registrato all’anagrafe con il nome di Fernando Casado Arambillet ed è figlio del capitano d’artiglieria Fernando Casado Vega. Dopo un’infanzia e un’adolescenza relativamente tranquille frequenta la facoltà di Architettura dell'Università di Madrid quando nel 1936 allo scoppio della guerra civile lascia gli studi per combattere al fianco del padre con l’esercito repubblicano. Finita la guerra inizia a lavorare nel mondo del cinema come doppiatore e comparsa utilizzando per il suo nome d’arte il secondo cognome della madre Sara Arambillet Rey. Solo nel 1948 ottiene la sua prima parte da protagonista nel film Mare nostrum di Rafael Gil conosciuto in Italia anche con il titolo Alba di sangue. Il grande successo arriva dopo l’incontro con Luis Buñuel con il quale gira Viridiana nel 1961, Tristana nel 1970, Il fascino discreto della borghesia nel 1972 e Quell’oscuro oggetto del desiderio nel 1977. A partire dagli anni Sessanta interpreta film importanti, diretti da grandi registi come Falstaff di Orson Welles nel 1966, Il braccio violento della legge di William Friedkin nel 1971, Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi nel 1976 e molti altri, tra i quali Elisa, vita mia di Carlos Saura con il quale, nel 1976, vince al Festival di Cannes il premio come miglior attore straniero. Nel 1992 diventa presidente dell'Accademia delle Scienze Cinematografiche di Spagna.

08 marzo, 2020

8 marzo 1946 - Carole Bayer Sager, la più giovane autrice di Broadway

L’8 marzo 1946 nasce a New York la compositrice Carole Bayer Sager, una delle rare donne di successo in un mondo, quello della composizione, caratterizzato da un predominio maschile e talvolta maschilista. La geniale ragazza inizia a comporre all'età di quindici anni sotto la guida di una professoressa che, intuite le potenzialità del suo talento creativo, si impegna per aiutarla a entrare nello Screen Gems, il team di creativi musicali messo in piedi e capitanato da Don Kirshner. Proprio in questa factory nel 1966 ottiene il suo primo successo scrivendo con Tony Wein il brano Groovy kind of love per i Mindbenders. Nel 1970 compone le musiche del musical "Georgy" che, nonostante il modesto successo ottenuto, fa di lei la più giovane autrice rappresentata a Broadway. Negli anni Settanta e Ottanta da sola o insieme ad altri compone brani di successo per artisti come Captain and Tennille, Rita Coolidge, Leo Sayer, Aretha Franklin, Carly Simon, Elton John, Dolly Parton, Neil Diamond, Stevie Wonder, Frank Sinatra e molti altri. Carole è anche l'autrice delle colonne sonore di film come di film come “Castelli di ghiaccio” di Donald Wryne, “E ora punto e a capo" di Alan J. Pakula e "Il campione" di Franco Zeffirelli per i quali ottiene la nomination all'Oscar. Di grande successo è anche Nobody does it better, il tema conduttore del film "La spia che mi amava", della serie dell'agente 007. Carole Bayer Sager, pur senza ottenere gli stessi successi della sua attività di compositrice, pubblica anche alcuni dischi come cantante. Il suo primo album è Carole Bayer Sager del 1977, seguito da Too del 1978 e da Sometimes late at night del 1981 con il quale entra per la prima e unica volta nella classifica statunitense dei dischi più venduti, non andando oltre il sessantesimo posto. Nel 1981 vince l'Oscar come coautrice del tema conduttore del film "Arthur" e nel 1982 unisce il suo destino a quello di un altro famoso compositore Burt Bacharach e dopo il matrimonio annuncia la sua intenzione di rinunciare alle esperienze come cantante per dedicarsi esclusivamente alla composizione.

07 marzo, 2020

7 marzo 1964 – I marines in Vietnam

Il 7 marzo 1964 sbarcano sul territorio del Vietnam i primi contingenti di marines statunitensi inviati a sostenere il governo filoamericano in difficoltà contro la guerriglia dei partigiani vietcong. Ufficialmente viene dichiarato che la loro presenza è finalizzata esclusivamente all’addestramento dei contingenti antiguerriglia sud-vietnamiti e non comporta l’impiego di truppe americane nei combattimenti. In realtà è l’inizio delle operazioni che porteranno gli Stati Uniti a un impegnativo e totale coinvolgimento in quella che verrà ricordata come la “sporca guerra” in territorio vientnamita con la conseguente bruciante sconfitta militare. Il 3 agosto dello stesso anno, infatti, prendendo a pretesto un attacco che alcune motosiluranti nordvietnamite avrebbero portato alla nave americana "Maddox" nel golfo del Tonkino, gli Stati Uniti daranno il via alle operazioni militari su larga scala contro la guerriglia e il Nord Vietnam. Molti anni più tardi gli stessi americani ammetteranno di aver deliberatamente “costruito” l’incidente del golfo del Tonkino per giustificare il loro intervento.

06 marzo, 2020

6 marzo 1975 - Maggiorenni tre anni prima

A partire dal 6 marzo 1975 in Italia si diventa maggiorenni a diciotto anni e non più a ventuno. Si conclude così, dopo non pochi contrasti, una lunga battaglia culturale e, soprattutto, un faticoso iter legislativo tendente ad allineare la normativa italiana a quella di altri paesi d’Europa. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, nelle elezioni amministrative del 15 e 16 giugno, gran parte di questi nuovi elettori, figli della grande ribellione generazionale e sociale di quel periodo, deciderà di orientare i suoi voti sui partiti della sinistra con il risultato di provocare un vero e proprio terremoto nella situazione politica italiana.

05 marzo, 2020

4 marzo 1920 - Stanley Freeman, dalla classica al jazz

Il 4 marzo 1920 nasce a Waterbury, nel Connecticut, il pianista, compositore e cantante Stanley Freeman. Di estrazione classica fin dai primi anni in cui esercita la professione di musicista evita di farsi ingabbiare da un genere e passa indifferentemente e con uguale talento da un concerto di musiche di Gershwin con la New York Philharmonic nel 1951 a un lungo contratto londinese come pianista da night nel 1952 e a varie esibizioni come solista jazz. Nel 1946 il suo pianoforte affianca Tex Benecke e qualche tempo dopo Charlie Parker. Freeman è espressione di un jazz particolare, mutuato dalla lezione di pianisti come Calvin Jackson e Johnny Guarnieri, che prevede una sorta di cornice classica per motivi di jazz eseguiti con notevole abilità, con un buon senso ritmico e con discreta inventiva. Pur non toccando grandi vertici di popolarità partecipa a molte interessanti incisioni tra le quali spiccano quelle del 1946 con Karl Kress e del 1949 con Charlie Parker.

04 marzo, 2020

5 marzo 1952 – Muore Joe Eldridge


Il 5 marzo 1952 muore a New York il sassofonista Joe Eldridge. Nato a Pittsburgh, in Pennsylvania, il 17 giugno 1908 muove i suoi primi passi nel mondo del jazz nel 1927 con la big band di Henry Saparo, in quel periodo tra le più apprezzate. Più tardi forma un proprio gruppo chiamato The Elite Serenaders, con il quale suona al Reinassance Ballroom di New York e successivamente in vari locali di Pittsburgh. All'inizio degli anni Trenta collabora con Speed Webb, Cecil Scott, e Ken Murray, prima di mettersi in proprio formando una big band insieme al fratello, il più celebre Roy Eldridge. Qualche anno dopo, trasferitosi a Baltimora, suona con i Cotton Pickers e quindi, dal 1935 al 1937, entra a far parte del gruppo di Blanche Calloway. Alla fine del 1937 si trasferisce a Chicago per suonare nuovamente con l'orchestra del fratello con cui resta fino al 1940. Lasciata la formazione di Roy, Joe Eldridge fa parte del gruppo di Buddy Johnson, e dal 1941 al 1943 del quartetto di Zutty Singleton. Nel 1944 un nuovo ritorno con la big band di Roy precede il passaggio al gruppo del trombettista Hot Lips Page. Verso la fine degli anni Quaranta se ne va nel Quebec dove suona con la Raymond Vin's Band. Negli ultimi anni della sua vita abbandona l’attività per dedicarsi all’insegnamento.



03 marzo, 2020

3 marzo 1967 – Cuchillo, l’eroe della generazione che voleva cambiare il mondo

Il 3 marzo 1967 viene proiettato per la prima volta in pubblico “La resa dei conti”, il primo western diretto da Sergio Sollima nel quale si racconta la storia di una caccia all’uomo cercando di dare voce alle ragioni della preda, alle sue paure e anche alle sue furbizie. Il film lancia un personaggio destinato a calamitare l’attenzione del pubblico giovanile dell’epoca. Si tratta del peone messicano Cuchillo, quella che sembra la la vittima predestinata, che diventa l’eroe dei giovani della fine degli anni Sessanta, in particolare di quelli più politicizzati, e viene citato anche in opere letterarie e teatrali. La frase con cui il peone messicano irride il suo cacciatore, «Non mi prenderai mai, Cuchillo se ne va!» diventa un sorta di tormentone presso una generazione che ha iniziato a mettere in discussione i rapporti con i genitori, con gli insegnanti e con le autorità in genere e che pochi mesi dopo comincerà a mettere in discussione l’intera struttura sociale e civile dell’Italia della ricostruzione e del dopoguerra. Il messicano capace di mettere nel sacco gli inseguitori si trasforma così nell'eroe preferito da molti giovani impegnati nei movimenti studenteschi e sociali di quel periodo di lotte e contestazioni che è destinato a restare nell’immaginario collettivo con il nome di Sessantotto. La sua popolarità è tale che il movimento politico d’estrema sinistra Lotta Continua lo adotta come simbolo. Proprio la popolarità di Cuchillo convincerà Sollima a riportare sullo schermo l’anno dopo il fortunato personaggio in “Corri uomo corri”.

02 marzo, 2020

2 marzo 1991 – Serge Gainsbourg, il musicista che giocava a fare il diavolo

Il 2 marzo 1991 muore Serge Gainsbourg, uno dei personaggi più contraddittori e discussi della scena musicale e dello spettacolo francese. Si chiude così la vicenda di un artista che, pur non essendo il diavolo nella sua vita e nella sua produzione artistica ha giocato spesso ad assomigliare al sulfureo genio tentatore. Lo ha fatto fin dal primo giorno in cui è salito su un palcoscenico senza aver neppure compiuto undici anni vestito da diavoletto in una rivista della sensuale Fréhel. Come in un magico gioco di specchi tra le diverse pieghe del suo talento si può trovare di tutto, dalla musica alle arti figurative, dal gusto per la parola a quello per l’immagine alla voglia di stupire che non l’abbandona mai per tutta la vita. La sua scomparsa ha lasciato al mondo un’opera complessa e imponente nella quale la musica ha un ruolo fondamentale perché fa da collante al resto. Gainsbourg è uno chansonnier che sposta il proprio linguaggio musicale e letterario al di là di ogni limite immaginato. Scrive canzoni capaci di durare nel tempo contaminandosi con tutti i generi che incontra, dal pop britannico e statunitense al jazz, alle vibrazioni afro-cubane, al progressive fino al reggae, alla disco e al rap. Come se non bastasse nella sua lunga carriera scrive una quarantina di colonne sonore e lascia tracce di sè in quasi tutto il panorama musicale del dopoguerra. Nonostante una parte della critica sostenga che l’originalità del suo stile si manifesti in primo luogo nei testi è invece nella particolarità del lavoro d’arrangiamento e nella ricerca musicale che la differenza con tutti gli altri chansonniers si fa strutturale. Serge Gainsbourg nasce a Parigi il 2 aprile 1928 pochi istanti prima di Lilianne, la sua gemella. All’anagrafe è registrato come Lucien Ginzburg, figlio di Joseph e Ollia, una coppia di ebrei russi fuggiti una decina d’anni prima dalle terre degli zar in piena rivoluzione bolscevica. Il padre è pittore e musicista. Suona un po’ di tutto ma la sua specialità sembra essere il pianoforte classico, anche se a Parigi si converte velocemente al jazz. Il piccolo Lucien impara presto a pigiare con le dita i tasti bianchi e neri e le sue frequentazioni del mondo dello spettacolo al seguito del padre diventano un fatto quasi abituale. Il primo debutto nel rutilante mondo delle riviste musicali avviene nel 1938 quando la grande Fréhel lo vuole sul palcoscenico con una buffa divisa da diavoletto. L’occupazione nazista di Parigi spinge i Ginzburg a spostarsi verso Limoges e quando tornano nella capitale la Liberazione è già avvenuta e Parigi è attraversata da grande fermento. Frequenta per un po’ l’Accademia della Belle Arti di Montmartre, insegna disegno, fa il precettore in una casa di piccoli ebrei rifugiati e suona dove, quando e come può, soprattutto jazz. Nel 1954 deposita i suoi primi sei brani alla Società degli Autori che l’ha appena iscritto con lo pseudonimo di Julien Grix. Tra essi ci sono Défense d’afficher che nel 1959 verrà cantata da Pia Colombo e Les amour perdues, destinato a entrare nel repertorio di Juliette Gréco. La sua popolarità intanto si allarga così come la cerchia di chi lo ascolta nelle serate del cabaret Chez Madame Arthur o al Milord l’arsouille dove accompagna la cantante Michèle Arnaud. In questo periodo cambia nome e diventa Serge Gainsbourg. Serge in omaggio alle sue origini russe e il cognome per ricordare il pittore britannico Gainsborough. Alla fine degli anni Cinquanta conosce un altro chansonnier di frontiera come Boris Vian che lo affascina e ne guida i gusti. Proprio sotto la guida di Vian pubblica per la Philips il suo primo album nel 1959, da cui arriva anche il primo grande successo con Le poinconnier de lilas destinato a vivere di nuove versioni anche nel futuro con i Frères Jacques, Jean Claude Pascal e Hugues Aufray. Dopo la morte di Vian, Gainsbourg comincia guardare molto oltre i limiti della chanson tradizionale e nel 1964 con l’album Gainsbourg percussion anticipa i gusti degli anni Settanta e gioca a recuperare i suoni afro del jazz in un periodo di beat trionfante. Le sue pulsioni innovative , però, per essere travolte sul piano mediatico finiscono dall’eco suscitata da Je t’aime, moi non plus, un divertimento musicale ricco di allusioni sessuali che lo farà entrare nella storia del costume. La canzone, inizialmente pensata per Brigitte Bardot e incisa con lei, finisce per diventare un mito nell’interpretazione con la sua compagna di allora, Jane Birkin, recuperata in tutta fretta dopo che la Bardot s’era chiamata fuori per inaspettati scrupoli. Se da una parte il brano gli regala la popolarità internazionale, dall’altra finisce per appiccicargli addosso come una divisa l’idea del sulfureo cantore di un erotismo spinto al limite della pornografia. Per la verità lui non se ne cura granché, anzi pare che ogniqualvolta si trovi nella necessità di far accendere i riflettori sulla sua attività torni volutamente a far frusciare la seta da lingérie di quell’ispirazione e di quel brano. Al di là e, forse, nonostante il successo di Je t’aime, moi non plus, Serge Gainsbourg continua la sua ricerca regalando pezzi di successo a personaggi come Petula Clark, Juliette Gréco, Dalida e tante altre protagoniste della scena musicale di quel periodo. Parallelamente si avventura in operazioni decisamente innovative come la realizzazione, nel 1971 del concept album Histoire de Melody Nelson, considerato dalla critica come «una sorta di monumento all’erotismo come elemento di sintesi tra purezza e morte». L’anno dopo ottiene ancora un buon successo con il singolo La decadanse, troppo simile a Je t’ame… per essere solo il frutto di una fortunata combinazione. Nonostante gli spiccioli di successo sta già lavorando a un nuovo progetto del tutto diverso. Nel 1975 pubblica Rock around the bunker, un concept album in cui lui, ebreo e perseguitato, affronta il tema del nazismo in chiave grottesca e di humour nero e l’anno dopo, in piena esplosione punk, torna sui suoi passi con L'homme à la tête de chou, un disco dalla poetica musicale simile a Histoire de Melody Nelson. Nel 1978 se ne va in Giamaica per registrare insieme alla band di Peter Tosh Aux armes et cetera, una versione reggae de La Marsigliese che gli procura qualche minaccia di morte da parte dei reduci delle associazioni paramilitari di destra della Guerra d'indipendenza algerina. Incapace di fermarsi, timoroso di farsi rinchiudere in un ruolo o in un genere, attraversa gli anni Ottanta da protagonista con lavori importanti come gli album Mauvaises nouvelles des étoiles o Love on the beat, varie colonne sonore e brani per artisti come Isabelle Adjani, Julien Clerc, Diane Dufresne e tanti altri ancora compresa la sua ex compagna Jane Birkin. In quel decennio non mancano neppure atteggiamenti ed esibizioni che fanno scandalo come la scelta di dare fuoco in diretta televisiva a una banconota francese (un reato per le leggi d’oltralpe) o un “fuori onda” sempre in diretta tv nel quale, in perfetto inglese, chiede a Whitney Houston, ospite con lui di un programma, di potersela portare a letto alla fine del programma in cui sono ospiti. Alla fine degli anni Ottanta Serge Gainsbourg comincia ad avere i primi problemi di salute. Il cuore fa le bizze ma è soprattutto il fegato a mostrare i segni di un precoce degrado. Nel 1988 festeggia i suoi sessant’anni lavorando a un album per Bambou, la sua compagna di quel periodo e partecipando a qualche festival, ma più che altro affrontando i problemi che gli derivano dalle sue condizioni di salute. Il 14 aprile 1989 viene operato al fegato. Nonostante le difficoltà crescenti non smette di lavorare. Regala le ultime perle della sua creatività a Vanessa Paradis, scrive per Joëlle Ursull la canzone White and black blues che si piazza seconda all’Eurofestival e, soprattutto, firma Amours des feintes, un nuovo album per Jane Birkin. È l’ultimo. Il 2 marzo 1991 Bambou trova il corpo senza vita del suo compagno. È stato ucciso dall’ennesima crisi cardiaca. Viene seppellito Parigi, nel Cimitero di Montparnasse, nel corso di una cerimonia in cui Catherine Deneuve legge il testo della sua canzone Fuir le bonheur de peur qu’il ne se sauve.

29 febbraio, 2020

1° marzo 1933 - Guerrino Allifranchini, il vagabondo del jazz italiano

Il 1° marzo 1933 nasce a Romagnano Sesia, in provincia di Novara, Guerrino Allifranchini, uno dei personaggi più significativi del jazz italiano della seconda metà del Novecento. La sua storia musicale inizia nell’immediato dopoguerra quando, approfondisce privatamente lo studio del clarinetto, perfezionandosi poi a Novara e in seguito al conservatorio di Torino. Proprio negli anni torinesi si avvicina al jazz suonando con vari gruppi. Nel 1954 entra a far parte dell’orchestra di Bruno Canfora suonando il sassofono contralto e due anni dopo se ne va a Stoccolma, in Svezia, per cercare fortuna. Qui trova nuovi stimoli e nuovi esempi in vari sassofonisti locali come Rolf Billberg e Arne Domnerus. Nel 1960 torna in Italia alternando il sassofono al canto, prima con uno stile vicino a quello di Louis Armstrong e, successivamente, a quello di Fred Buscaglione. Nel 1968 ottiene un buon successo discografico con la sua versione di Avanti e indrè pubblicata su disco con lo pseudonimo di Alì Guerrino. L’anno dopo torna decisamente al jazz con il pianista Sante Palumbo e con il contrabbassista Giorgio Buratti. Incurante del passare del tempo nel nuovo millennio continua a soffiare sia nel sax che nel clarinetto insegnando l'arte ai giovani della Banda Musicale del suo paese natale e partecipando a vari festival internazionali di jazz con il quintetto dei Denner. Dal 2019 ha ridotto ulteriormente la sua attività.

28 febbraio, 2020

28 febbraio 1990 – Quando a Sanremo tornarono gli stranieri

Il Festival di Sanremo del 1990 si svolge dal 28 febbraio al 3 marzo. L'edizione ripropone, molti anni dopo i primi interessanti esperimenti, l’accoppiata tra artisti italiani e stranieri. La trovata finisce per funzionare anche questa volta probabilmente grazie alla presenza di alcuni interpreti internazionali di grande valore come Miriam Makeba, Ray Charles, Jorge Ben, Toquinho, Dee Dee Bridgewater e La Toya Jackson, oltre ai redivivi Village People e America. Come ampiamente previsto (addirittura c’è chi l’annuncia con un giorno d’anticipo) vince il brano Uomini soli, interpretato dai Pooh e da Dee Dee Bridgewater, davanti all’accoppiata tra Ray Charles e Toto Cutugno con Gli amori e ai sorprendenti Amedeo Minghi e Mietta che con Vattene amore sono destinati a scalare le classifiche di vendita nonostante l’infelice accoppiamento con l’ex bambina-prodigio Nikka Costa.

27 febbraio, 2020

27 febbraio 1906 - Chester Boone, la tromba di Houston

Il 27 febbraio 1906 a Houston, nel Texas, nasce il trombettista Chester Boone. Il ragazzo inizia a suonare nell'orchestra della scuola della sua città nei primi anni Venti e poco tempo dopo entra nella Richardson's Jazz Band al Lincoln Pool. Tra il 1929 e il 1932 fa parte delle orchestre di Dee Johnson e di Cassino Simpson. Sul finire del 1932 forma un proprio gruppo con il quale ottiene un notevole successo all'Harlem Grill di Houston. Trasferitosi a New York nei primi mesi del 1937, suona con varie orchestre locali, compresa quella di Louis Jordan. In quegli anni partecipa a varie registrazioni con Lloyd Phillips e Sammy Price. Nel 1940 è al fianco di Kaiser Marshall e l'anno successivo, dopo aver suonato con Horace Henderson, suona con Buddy Johnson. Proprio con la formazione di Johnson, che in quegli anni gode di una vasta popolarità, prende parte a diverse sedute di incisione per la Decca mettendosi in luce sia come trombettista che come cantante. Sempre per la Decca registra vari brani sotto il proprio nome con un’orchestra che comprende tra gli altri il clarinettista Buster Smith e il sassofonista George Johnson. Dal 1943 al 1946 suona con Luis Russell e nell'area del Pacifico con la U.S.O. Band. A partire dalla fine degli anni Quaranta preferisce non assumere impegni stabili ed esibirsi come free-lance.

26 febbraio, 2020

26 febbraio 1971 – Fernandel, uno del trio dei marsigliesi

Il 26 febbraio 1971 l’attore e cantante Fernandel muore consumato da un tumore nel suo appartamento sull’avenue Foch di Parigi. Popolarissimo anche in Italia dove il pubblico lo identifica con il personaggio cinematografico di Don Camillo, in Francia è un protagonista di primo piano della storia dello spettacolo. «Mi chiedete se sono legato a Don Camillo? Come potrei non amare quel personaggio? Pensate che avevo come partner Gesù Cristo...». Così Fernandel rispondeva a chi osava insinuare che in fondo vestire i panni del prete “da battaglia” della bassa padana nato dalla fantasia di Guareschi lo stesse annoiando. La noia nella sua concezione del lavoro non esiste perchè, come ripete mille volte nel corso della sua carriera, è felice di aver trasformato in un lavoro la più grande passione della sua vita: il palcoscenico. Attore, cantante, fantasista, intrattenitore, ballerino, fin dagli inizi della sua carriera non c’è ruolo nel quale non si sia sperimentato con buoni risultati. Famoso per le sue per le sue folgoranti battute («Il pastis è come le tette. Una non basta e tre sono troppe!» o «De Gaulle? Credo che sia l’unico francese che nel mondo è più popolare di me») Fernandel insieme a Jules Muraire, in arte Raimu, e Henri Allibert, in arte Alibert compone il cosiddetto “trio dei marsigliesi”, una piccola pattuglia di uomini di spettacolo provenienti dal meridione della Francia che, a partire dagli anni Trenta, è riuscita nel non facile compito di conquistare le scene di Parigi. Fernand Joseph Désiré Contandin, in arte Fernandel, nasce a Marsiglia l’8 maggio 1903. Il suo primo vagito risuona al n° 72 di Boulevard Chave nell’appartamento dove in quel periodo vive la sua famiglia. I suoi genitori tirano avanti come possono. Suo padre canta nei caffé concerto e l’intera famiglia vive ai margini del mondo dello spettacolo. «A cinque anni avevo già corso e giocato in tutte le quinte, i retroscena e i camerini dei migliori e dei peggiori luoghi di spettacolo di Marsiglia... Ero affascinato in particolare da tutto ciò che aveva a che fare con la canzone e spesso insieme a mio fratello Marcel giocavo a ripetere le pose e i gesti che mio padre faceva in scena. Giocavo ma imparavo perchè io eseguivo e mio fratello mi correggeva...». Il figlio di un artista poi non può perdere troppo tempo a scuola per cui il rapporto del piccolo Fernand con l’istruzione è saltuario e ricco di fughe e ravvedimenti. Il suo sogno resta sempre il palcoscenico dove debutta prestissimo interpretando al Teatro Chave il ruolo che più gli riesce in quel periodo, cioè quello di... bambino nel dramma “Marceau ou les enfants de la révolution”. È poco più di un gioco ma gli applausi del pubblico gli piacciono e rafforzano la sua convinzione che quella sia la strada giusta per lui. Poco tempo dopo arriva anche la sua prima esibizione canora. Avviene sul palcoscenico dello Scala, un locale che diventerà poi famoso con il nome di Eldorado, dove in una pausa dell’esibizione del padre canta M.lle Rose di fronte a un pubblico che l’applaude convinto. Il piccolo Fernand ci prende gusto. Canta un paio di brani in un gala al Châtelet, poi al Palace de Cristal quindi al Variétés in quello che lui stesso definirà in futuro «il primo tour della mia vita effettuato in una serie di locali che distano qualche centinaio di metri l’uno dall’altro». Di giorno la scuola e la sera sul palcoscenico. La sua famiglia non naviga nell’oro ma per un bambino di quell’epoca la vita potrebbe essere peggiore. Tutto sembra funzionare senza intoppi fino al 1915 quando alla vigilia di quella che i posteri chiameranno Prima Guerra Mondiale il padre viene chiamato sotto le armi. Fernand ha dodici anni e la sua vita cambia improvvisamente. La famiglia ha bisogno anche del suo aiuto per tirare avanti. Trova un posto come fattorino nell’agenzia di Rue St. Ferréol della Banque Nationale de Crédit e corre in giro per la città in cambio di 25 franchi al mese. Qui conosce Jean Manse, un amico che resterà con lui per tutta la vita. Terminata l’esperienza come fattorino, il giovane Fernand Contandin si adatta a una lunga serie di lavori passando dal saponificio Bellon alla cartiera Granger, alla società elettrica e tante altre esperienze. Nonostante le difficoltà, però, non abbandona il mondo dello spettacolo e affianca l’attività lavorativa con le esibizioni come cantante e caratterista nei caffé-concerto dove si diverte a mettere esageratamente in mostra il suo profilo equino e gioca a prendersi in giro. In quegli anni corteggia assiduamente Henriette, la sorella minore del suo amico Jean Manse. Proprio la madre dei due ragazzi diventa l’artefice inconsapevole del nome d’arte del ragazzo. Racconta lo stesso Fernandel che la donna, divertita dall’insistenza con il quale il giovane frequenta Henriette, quando lo vede arrivare lo saluta dicendo «Voilà le Fernand d’elle» (Ecco il suo (di Henriette) Fernand!). Proprio da questa frase nasce lo pseudonimo di Fernandel destinato ad accompagnarlo per sempre. Il 4 aprile 1925, a ventidue anni non ancora compiuti, sposa Henriette e poi parte per il servizio militare. Quando torna a casa è padre e non ha più un lavoro. La salvezza arriva da Louis Valette, il direttore dell’Odéon che lo scrittura per sostituire un’artista contestato dal pubblico. Lui sale sul palco e sciorina tutto il repertorio di canzoni e gags rodato nei caffé-concerto. Tra il pubblico che l’applaude con grande entusiasmo c’è Jean Faraud, il direttore della Paramount francese che gli propone un contratto per animare gli intervalli nelle sale gestite dalla sua società. L’avventura con la Paramount inizia il 19 marzo 1927 a Bordeaux, poi prosegue a Nizza, Lille e, dopo un lungo peregrinare nelle varie città francesi, nel dicembre del 1927 arriva finalmente al mitico Bobino di Parigi. La sua esibizione dura esattamente dodici minuti ma lascia il segno visto che gli frutta un contratto per ben diciannove settimane di animazione degli intervalli al cinema Pathé. Nel 1929 quando torna al Bobino è ormai un artista affermato. Nel 1931 fa il suo debutto cinematografico interpretando un piccolo ruolo nel film “Le Blanc et le noir”, seguito da una partecipazione a “On purge bébé” di Jean Renoir. Nello stesso anno Bernard Deschamps gli affida il ruolo del protagonista nel film “Le Rosier de Madame Huston”, dove interpreta per la prima volta il ruolo di giovanotto ingenuo che diventerà un po’ la sua specialità negli anni successivi. Nonostante il successo cinematografico Fernandel non lascia né la musica né gli spettacoli di varietà. Come lui stesso racconterà in seguito «Di giorno giravo e di sera mi esibivo in scena». Nel 1933 partecipa a un applaudissimo tour che lo porta in tutti i migliori teatri del territorio francese, dall’Eldorado di Marsiglia all’Elysée Palace di Vichy al Bobino e alle Folies-Bergère di Parigi. Interpreta anche numerose commedie musicali, molte delle quali finiranno poi sullo schermo. Nel 1934 Marcel Pagnol lo vuole nel suo film “Angéle” nel quale è costretto per la prima volta nella sua carriera a cimentarsi con successo in un ruolo drammatico. Il risultato è lusinghiero e ne rafforza il prestigio e la popolarità. Per esplicita ammissione di Fernandel «Grazie a Pagnol sono stato costretto a dimostrare innanzitutto a me stesso se avessi o no la stoffa dell’attore». Sempre nel 1934 torna con successo di fronte al difficile pubblico delle Folies-Bergère al fianco di una vedette come Mistinguett. Nella seconda metà degli anni Trenta il suo successo sembra destinato a non conoscere fine ma le nubi di guerra che s’addensano sulla Francia gli cambiano la vita. Richiamato sotto le armi viene aggregato al “servizio cinematografico” dell’esercito francese. La guerra diventa una tragedia con i terribili anni dell’occupazione tedesca, del governo collaborazionista e dello smembramento della nazione. Fernandel non collabora con i nuovi potenti ed è costretto a lasciare le scene. Torna da trionfatore dopo la Liberazione e la fine della guerra ritrovando immediatamente il successo sia nel cinema che nei teatri di varietà. Il pubblico non l’ha dimenticato. In Italia il suo nome è legato all’interpretazione di Don Camillo nei film della serie omonima tratta dai romanzi di Guareschi. Alla fine della carriera si cimenta nella regia e fonda insieme a Jean Gabin la casa di produzione Ga-Fer.

25 febbraio, 2020

25 febbraio 2007 – A Ennio Morricone un Oscar tardivo

Il 25 febbraio 2007, dopo cinque nomination infruttuose Ennio Morricone riceve finalmente il Premio Oscar alla carriera «...per i suoi magnifici e plurisfaccettati contributi nell'arte della musica per film...» dalle mani di Clint Eastwood, l’antico pistolero senza nome della “trilogia del dollaro”, icona dei film western di Sergio Leone. Pur senza impugnare una colt di fronte al cattivo di turno con il cappellone calato sugli occhi Ennio Morricone è uno dei personaggi fondamentali del western all’italiana. Le sue musiche, infatti, accompagnano il genere dalla nascita fino all’esaurimento. Sue, infatti, sono le musiche di "Duello nel Texas", "Le pistole non discutono" e, soprattutto, "Per un pugno di dollari", le tre produzioni della Jolly Film che nei primi anni Sessanta segnano l’inizio della grande avventura di quello che gli americani con disprezzo ribattezzeranno “spaghetti western”. In quel periodo nasce anche il rapporto con Sergio Leone, destinato a non interrompersi più fino alla morte del regista. Le sue musiche lasciano sulle storie di frontiera made in Italy un’impronta indelebile nonostante il numero, tutto sommato, modesto visto che sono poco più di una trentina i western le cui colonne sonore portano la sua firma. Hanno però due pregi. Il primo è l’inconfondibile sonorità nata dal gusto particolare per gli arrangiamenti che ha caratterizzato tutta la sua carriera. Il secondo è che caratterizzano l’intera storia del genere dall’inizio alla fine comprendendo anche gli omaggi postumi, come dimostra la sua firma insieme a quella di Max Casacci in calce alla colonna sonora del cortometraggio "L’ultimo pistolero" realizzato nel 2002 da Angelo Dominici. Ennio Morricone nasce il 10 novembre 1928 a Roma e si diploma in composizione nel 1954 con Goffredo Petrassi al Conservatorio di Santa Cecilia, dove nel 1946 si era già diplomato in Tromba e nel 1952 in Strumentazione per banda. Attento alle innovazioni e curioso elaboratore di sonorità caratterizza la produzione di una parte della nascente industria discografica italiana portando in primo piano, prima ancora dei grandi del rock, il suono del basso elettrico. La prima colonna sonora con la sua firma è quella de Il federale di Luciano Salce del 1961. Successivamente lavora con quasi tutti i grandi registi italiani, da Maselli a Leone, da Petri a Pontecorvo, a Bolognini, Pasolini, Montaldo, Tornatore e tanti altri. La sua attività spazia in campi molto diversi, dal teatro alla televisione alla musica cosiddetta “colta” dove negli anni Sessanta è fra gli animatori del Gruppo Improvvisazione Nuova Consonanza.


24 febbraio, 2020

24 febbraio 1994 - Jean Sablon, il primo crooner europeo

Il 24 febbraio 1994 in una clinica di Cannes-la-Bocca, nelle Alpi Marittime, muore Jean Sablon, il primo vero crooner europeo capace di entusiasmare un ambiente come quello statunitense, diffidente e spesso ostile nei confronti di tutto quello che arriva da fuori dei suoi confini culturali. “The french troubadour” o anche “The French Bing Crosby”, così lo chiamano gli americani, affascinati dalla sua capacità di saldare la canzone francese con le evoluzioni e le atmosfere dello swing. Lo chansonnier francese dal baffo malandrino, il sorriso da conquistatore perennemente stampato sul viso e la voce calda e carezzevole apprende le tecniche dei crooner d’oltreoceano prima ascoltandoli alla radio e poi soggiornando per un po’ negli Stati Uniti. Il suo principale modello è Jack Smith, chiamato anche “The whispering Jack” (il sussurrante Jack), uno dei primi grandi crooner della scena musicale nordamericana, anche se la personale amicizia con Bing Crosby non può non influenzarne impostazione e stile. Quando in Francia fatica ancora a farsi spazio per la diffidenza del pubblico nei confronti del suo stile decisamente innovativo, a Broadway compositori come George Gershwin e Cole Porter gli propongono i loro pezzi mentre il pubblico l’adora. Instancabile e curioso sperimentatore nel dopoguerra si diverte anche a esplorare territori nuovi dove il jazz incontra la canzone d’autore francese avvalendosi dell’amicizia e della collaborazione di strumentisti leggendari come il chitarrista Django Reinhardt, i violinisti Stéphane Grappelli e Léon Ferreri o il pianista Alec Siviane. La sua lezione influenzerà lo stile della generazione degli chansonnier degli anni Cinquanta e Sessanta. Interpreti come André Caveau, Yves Montand o Sacha Distel ammetteranno pubblicamente di essergli debitori. Jean Sablon viene spesso ricordato come “il cantante francese che per primo ha usato il microfono”. L’affermazione, suggestiva, non deve essere intesa in senso letterale. Non è il primo a cantare usufruendo dell’amplificazione, ma è sicuramente il primo a trattare il microfono come un vero e proprio strumento. Lo fa negli anni Trenta, in un periodo in cui molti personaggi dello spettacolo guardano a quello strano aggeggio elettrico con diffidenza quando non con aperta ostilità come la cantante Damia che parlando con un giornalista definisce il microfono come «Uno strumento che ha ucciso il nostro mestiere». In un mondo in cui la potenza e la capacità d’emissione sono stati per lungo tempo l’elemento principale per giudicare un cantante Jean Sablon sostiene che anche un sussurro può essere fondamentale nell’interpretazione di una canzone. In realtà si spinge più in là perché facendo tesoro della lezione appresa negli Stati Uniti pensa che le innovazioni tecnologiche, il microfono per primo, debbano servire a dare al pubblico che ascolta le canzoni dal vivo le stesse sonorità dei dischi o della radio. L’idea che l’esecuzione dal vivo sia una sorta di esercizio a se stante in cui le qualità vocali contano più del risultato sonoro gli sembra una bestemmia. Per lui l’elemento centrale dell’esibizione dal vivo è la cura delle sonorità, la ricerca della perfezione attraverso l’amalgama tra strumento e strumento e tra l’insieme degli strumenti e la voce. Quando nel 1936 al Mogador e al Bobino porta il microfono sul palco utilizzandolo per allargare la gamma delle sue espressioni vocali al sussurro confidenziale, il pubblico applaude ma l’ambiente musicale francese e soprattutto la critica storcono il naso. Viene chiamato con disprezzo «Il cantante senza voce» e sbeffeggiato da battute come quella che dice: «Jean Sablon si esibisce all’ABC. Si può assistere al suo spettacolo, ma non si è sicuri di ascoltarlo». Sono soltanto i contraccolpi di un ambiente tendenzialmente conservatore che fatica a digerire le innovazioni. A dispetto delle resistenze l’arrivo del microfono è destinato a rivoluzionare le tecniche d’interpretazione e Jean Sablon, il primo a capire le possibilità offerte ai cantanti dalle nuove tecniche d’amplificazione, resterà un fondamentale punto di riferimento per tutti i cantanti che arriveranno dopo di lui. Già nei primi anni Trenta Jean Sablon appare impegnato a rompere il muro che fino a quel momento ha tenuto sostanzialmente separati gli interpreti e i protagonisti della chanson dal jazz. Non è l’unico. Da Charles Trenet a George Brassens, a Henri Salvador sono molti gli chansonniers che si muovono in quella direzione. Mentre gli altri, però, sono più concentrati a catturare atmosfere o ad adattare ritmi, lui fa tesoro della lezione statunitense dello swing e tenta un approccio totale. Non a caso è il primo chansonnier a farsi accompagnare da una formazione jazz. La prima esperienza risale al 1931 quando registra brani come Que maravilla, Un cocktail e J’aime les fleurs insieme all’orchestra jazz di Gaston Lapeyronie. Nel 1933 i parigini già lo chiamano “Mister swing” e affollano i locali dove si esibisce con un trio d’eccezione formato dal pianista Alec Siniavine, dal clarinettista Endré Ekyan e dal chitarrista Django Reinhardt. Quando si esibisce sui palcoscenici dei music hall più famosi i musicisti che l’accompagnano non restano confinati nell’angusta “fossa” destinata all’orchestra, ma salgono con lui sul palco. La lezione del jazz si sente anche nella capacità di utilizzare la voce come uno strumento dialogando e fraseggiando con gli accompagnatori. La sua apertura nei confronti delle novità e la curiosità per le nuove tecnologie lo aiutano a capire le potenzialità offerte dalla radio. Gli ascoltatori lo scoprono per la prima volta nel 1933 quando viene radiodiffuso sulle onde di “Le Poste Parisien” un suo intero récital. Nel 1936 conduce una varietà tutto suo nel quale ospita personaggi come Fernandel o Maurice Chevalier. Il successo radiofonico è tale che il direttore della statunitense NBC viene di persona in Francia per proporgli di condurre “The magic key”, un programma di successo ritrasmesso in moltissimi paesi anglofoni. Come le ciliegie, una trasmissione tira l’altra. In Francia nel dopoguerra conduce vari programmi musicali e all’estero, dopo gli Stati Uniti lo vogliono anche in altri paesi, da Radio Hong Kong alla lunga sequenza di radio sudamericane che gli danno spazi, onori e gloria fino agli anni Novanta. Jean Sablon nasce il 25 marzo 1906 a Nogent-sur-Marne. La sua è una famiglia con il “vizio” della musica. Suo padre Charles, infatti, è un apprezzato compositore e capo-orchestra e sua sorella maggiore Germaine è cantante di music hall, pianista e compositrice molto popolare. Ancora adolescente, mentre studia pianoforte al prestigioso Lycée Charlemagne di Parigi, a diciassette anni già si esibisce nei locali notturni della capitale. Il suo primo successo discografico arriva nel 1933 con Ce petit chemin, un brano che porta la firma della sua amica ed estimatrice Mireille, una delle figure popolari della scena francese di quel periodo. Successivamente debutta al Casino de Paris in coppia con Mistinguett. Nel 1937 vince il Gran Prix du Disque con la canzone Vous qui passez sans me voir, scritta per lui da Charles Trenet e Johnny Hess. Sono anni di grande vivacità per il giovane Sablon che accetta le lusinghe che gli arrivano dall’altra parte dell’oceano e vola negli Stati Uniti. Broadway lo ama e personaggi come Cole Porter e George Gershwin stravedono per lui. Nei primi anni Quaranta torna in Francia ma, dopo l’occupazione nazista, preferisce andarsene di nuovo negli States. Le rutilanti luci dei palcoscenici statunitensi e la popolarità crescente non cancellano né la nostalgia né la voglia di rendersi utile alla sua patria. Per combattere i nazisti si arruola volontario nell’esercito francese di liberazione e il 20 novembre 1944 resta ferito in azione. Nel dopoguerra diventa uno dei cantanti francesi più popolari nel mondo e resta sulla breccia a lungo. Nel 1983 tiene il suo concerto d’addio a Rio De Janeiro, ma nel 1984 canta ancora la sua April in Paris in una serie televisiva e all’inizio degli anni Novanta partecipa a qualche trasmissione radiofonica.